di Joe Dyke
Libera traduzione da fonte: IRIN, 10 April 2015
Gli avvertimenti sull’entità della catastrofe umanitaria in atto nello Yemen stanno diventando più seri col passare dei giorni.
Mercoledì scorso Chaloka Beyani, Relatore Speciale [sui diritti umani degli sfollati, N.d.T.] delle Nazioni Unite, ha previsto “massicci spostamenti e crisi umanitaria” e ha detto: “La comunità internazionale deve prepararsi al peggiore scenario”.
Il giorno seguente il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha avvertito che numerosi civili sono “deliberatamente abbandonati alla miseria”.
Ecco quattro motivi per cui la situazione dei civili nello Yemen è così grave:
1. C’era una crisi prima di questa crisi
Molti report su questo conflitto hanno riferito sulla crisi umanitaria come se fosse qualcosa di nuovo. Non lo è.
Lo Yemen era già il Paese più povero della Penisola Arabica molto prima che scoppiassero le attuali turbolenze. Due terzi della popolazione aveva bisogno di aiuto, mentre la metà della popolazione di 26 milioni di abitanti non aveva accesso ad acqua pulita. La malnutrizione era a un tasso paragonabile a molti Paesi dell’Africa sub-sahariana.
Alla fine dell’anno scorso l’Arabia Saudita, irritata dalla presa della capitale Ṣan‘ā’ da parte dei ribelli ḥūthi, ha tagliato i cordoni della borsa che stavano sostenendo l’economia yemenita.
“Già prima eravamo molto preoccupati per la crisi fiscale” ha detto a IRIN Trond Jensen, Capo dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite in Yemen. “Ora avete un Paese in caduta libera sotto molti aspetti”.
Molti Yemeniti semplicemente non hanno alcun risparmio o titoli per sopravvivere, perché le aziende hanno chiuso e il reddito si è prosciugato.
“Anche prima di quest’ultima crisi le esigenze umanitarie complessive dello Yemen erano su una scala simile a tutti i nove Paesi della regione del Sahel messi insieme. E lo Yemen aveva quasi il doppio del numero di persone classificate come in gravi condizioni di insicurezza alimentare” ha detto Ban Ki-moon.
2. Molti fronti, pochi fatti
Il conflitto è complesso, con diverse parti sostenute da attori stranieri e principali protagonisti che cambiano posizione. Questo ha complicato gli sforzi per cercare un accordo negoziato e ha portato a combattere su più fronti.
Secondo quanto riferito, carri armati e veicoli blindati hanno condotto l’assalto dei ribelli sulla città meridionale di Aden, dove ‘Abd Rabbuh Manṣūr Hādī, il Presidente dello Yemen riconosciuto a livello internazionale, era inizialmente fuggito prima di cercare rifugio in Arabia Saudita.
Si sono combattute battaglie strada per strada nel centro della città, mentre un assalto di tre settimane da parte degli Ḥūthi ha incontrato la continua fiera resistenza delle milizie sostenute da Hādī.
Nel frattempo, la capitale Ṣan‘ā’ è stata sotto 15 giorni di bombardamenti aerei da parte della coalizione guidata dai Sauditi, che, tra le preoccupazioni che i ribelli siano supportati dall’Iran, spera di reintegrare Hādī.
Scontri tra Ḥūthi e fedelissimi di Hādī sono anche avvenuti nella Provincia orientale di Shabwa, mentre Al-Qāʿida nella Penisola Arabica ha pure approfittato del tumulto per farsi strada verso il centro dello Yemen.
Nel frattempo, gli Yemeniti in fuga dalla violenza si ritrovano intrappolati tra questi diversi fronti e, con i porti chiusi e il traffico aereo limitato, ci sono poche vie di fuga.
Tuttavia, quanti esattamente versino in condizioni di bisogno o dove si trovino rimane poco chiaro.
Le Nazioni Unite e le agenzie umanitarie hanno evacuato quasi tutto il loro personale straniero, mentre quelli che rimangono sono spesso impossibilitati a viaggiare per valutare la situazione umanitaria, a causa dell’insicurezza diffusa.
Statistiche di base per misurare la situazione e contribuire a preparare la risposta sono difficili da trovare. Anche il bilancio delle vittime è una stima approssimativa da diverse fonti che utilizzano parametri differenti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che 614 persone sono morte tra il 19 marzo e il 5 aprile. Il Ministero della Sanità yemenita, andando ancora più indietro, pone il numero a più di 1.000. I ribelli ḥūthi parlano di 1.000 morti e 15.000 feriti.
Ed è la stessa storia per il numero di sfollati. Le Nazioni Unite ne stimano circa 100.000, ma altri esperti dicono che il numero reale potrebbe essere molto più alto. Lo Yemen ha ospitato più di 250.000 rifugiati e un milione di immigrati, anche prima del conflitto in corso.
Hajir Maalim, Direttore nazionale di Azione Contro la Fame (conosciuta con il suo acronimo francese ACF), ha detto che in alcune zone del Paese sono quasi inesistenti informazioni affidabili sui luoghi delle persone bisognose. Maalim ha aggiunto che le Nazioni Unite e le ONG stanno cercando di effettuare una valutazione, ma molti disperati potrebbero semplicemente sfuggire alle rilevazioni.
Ciò che è chiaro è che nessuno sta facendo abbastanza per proteggere i civili. In un incidente particolarmente inquietante, un accampamento preparato per gli sfollati nel nord dello Yemen è stato bombardato – presumibilmente dalla coalizione guidata dai Sauditi – causando la fuga di circa 600 famiglie, dopo che decine di civili, tra cui molte donne e bambini, erano stati uccisi.
3. Fornitura di aiuti sempre più difficile
Agli aiuti è impedito di raggiungere chi ne ha più bisogno in quasi ogni modo possibile.
In primo luogo, la violenza stessa sta impedendo alle organizzazioni umanitarie di svolgere il loro lavoro. Ad Aden i combattimenti sono così intensi che la gente non può neanche portare i feriti in ospedale.
Marie-Élisabeth Ingres, Capo missione di Medici Senza Frontiere (MSF) in Yemen, ha detto che il loro ospedale ad Aden stava inizialmente ricevendo circa 50 feriti al giorno.
Tuttavia, questo numero è diminuito rapidamente da quando la lotta si è intensificata. Semplicemente, per le persone è troppo pericoloso muoversi e le ambulanze, esse stesse sempre più prese di mira, non sono in grado di raggiungere i feriti.
“Gli ultimi giorni abbiamo avuto pochissime persone” ha detto Ingres a IRIN giovedì.
Con la maggior parte dei porti o sotto il controllo dei ribelli ḥūthi, direttamente coinvolti nei combattimenti, o bloccati dalla coalizione guidata dai Sauditi, è difficile far arrivare gli aiuti in Yemen via mare.
Giovedì sui social media era stata ampiamente condivisa una lettera: questa sosteneva che agenti di una nave che trasportava grano si lamentavano che era stato loro bloccato l’accesso al porto da navi da guerra.
Molte compagnie marittime internazionali stanno abbandonando del tutto le consegne.
4. Carenza di cibo, benzina, acqua pulita, forniture mediche
Il problema del trasporto solleva la prospettiva di diffusa penuria alimentare, tanto più che oltre il 90 % dei principali cereali dello Yemen è importato.
Nonostante la mancanza di denaro, il costo dei beni è in forte aumento. Secondo le Nazioni Unite, ad esempio, ad Aden i prezzi alimentari sono già saliti di circa il 20 %.
Ma il cibo è solo uno dei tanti elementi essenziali che i civili in Yemen temono possano esaurirsi.
“A causa della grave carenza di petrolio, non siamo in grado di fornire il maggior numero [di aiuti]” ha detto Maalim dell’ACF. “I nostri team sono impossibilitati. Anche in aree in cui l’accesso è ancora possibile, non c’è carburante”.
Le organizzazioni umanitarie sono pure preoccupate di avere una limitata capacità di reazione se scarseggeranno acqua pulita e forniture mediche.
“L’acqua è un problema per [gli sfollati], in particolare del sud” ha detto Maalim. “Il timore è che se non si fa nulla nei prossimi giorni … ci potrebbe essere un’epidemia di colera, malaria e altre malattie”.
Molti operatori sanitari stranieri, su cui molto si basava il sistema, sono già fuggiti dalla violenza.
“Non abbiamo sufficiente personale medico, [figuriamoci] quello qualificato” ha detto Ingres di MSF. “Abbiamo bisogno di infermieri”.
Senza un improbabile ritorno ai negoziati c’è poca speranza di evitare una crisi umanitaria su vasta scala.
Giovedì Ban Ki-moon ha ribadito il suo appello a tutte le parti a ritornare al negoziato mediato dall’ONU per plasmare la fine della crisi.
“L’ultima cosa di cui la regione e il nostro mondo ha bisogno è il caos e i crimini che abbiamo visto in Libia e Siria” ha detto.