Editorial
Islamic World Analyzes, whose task is to give voice to the Islamic Umma, broadens its perspective here, addressing an issue concerning a Christian Presbyterian-majority country. Why? At our origin, there is not a sectarian defence of an identity, however important, and for which it is ready to fight. There is a problem of ethics in behaviour, therefore a political one. The theme addressed in the following valuable article is the complaint of a pharisaic behaviour by an institution hybrid from the beginning, behaving like a state without being one and revealing more and more its economic-commercial nature as its real bent and mission. There would be nothing wrong with that. There are many economic and commercial organisations in the world working more or less well to give prosperity to the peoples they speak for on the ground of material requirements. The problem is the hypocrisy of this strange profit-based entity when claiming political and moral legitimacy that does not belong to it and hiding its right economic interests behind the mask of ethical values unrelated to shallow transactions of giving and take. The latter have already their legitimacy, but the European Union is ashamed of it. That is, it disclaims its essence, which is currently this and only this.
The European Union is not a federal state, sooner or later will realise that. It is a fair compromise of economic and financial interests that do not need to cloak themselves with good ethical intentions to assert their power. Do not invade the field of those who dedicate their action to that end. You can impose sanctions or equivalent financial measures or even military occupations of sovereign territories by denouncing your interests without resorting to noble humanitarian principles. It’s about clarity in communication. This applies towards Vanuatu, as in this case, but also Iraq, Iran, the Middle East as a whole, the Sahel, Moscow and Beijing’s friends, all those organisations subject to slanders and injunctive reliefs. The reasons base on economics, as it should be in organisations of economic identity. Because this is currently the European Union, which even tried to have a political constitution. An attempt miserably failed due to the ambition to turn legitimate prosaic economic interests into high ethical principles. The pushed bureaucratisation of its institutions makes it evident. It is difficult for bureaucrats to fulfil and, even before, understand peoples needs, mainly if of a spiritual nature!
Editoriale
Islamic World Analyzes, che ha come compito il dare voce alla Umma islamica, allarga qui la sua prospettiva, affrontando un tema che riguarda un Paese a maggioranza cristiana presbiteriana. Perché? Alla sua origine non c’è la difesa settaria di un’identità, pur importante e per cui è diposta a battersi. C’è un problema di etica nel comportamento, quindi di etica politica. Il tema affrontato dall’autore di questo pregevole articolo è la denuncia di un comportamento farisaico da parte di un’istituzione ibrida fin dall’origine, che si comporta come uno Stato senza esserlo e che ogni giorno di più denuncia la sua natura economico-commerciale che è la sua vera propensione e missione. Non ci sarebbe niente di male in questo. Esistono molte organizzazioni economico-commerciali nel mondo e che funzionano più o meno bene cercando di dare prosperità ai popoli di cui si fanno interpreti dal punto di vista dei bisogni materiali. Il problema è l’ipocrisia di questa strana entità basata sul profitto quando pretende legittimità politica e soprattutto morale che non le compete e quando nasconde gli interessi economici (che giustamente rivendica) dietro la maschera di principi etici che nulla hanno a che fare con basse transazioni di dare e avere. Queste ultime hanno già una propria legittimità, ma l’Unione Europea se ne vergogna, cioè disconosce la propria essenza che attualmente è questa e soltanto questa.
L’Unione Europea non è uno Stato federale, prima o poi dovrà rendersene conto. È un giusto compromesso di interessi economici e finanziari che non hanno bisogno di ammantarsi di buone intenzioni etiche per affermare il proprio potere. Non invada il campo di chi a questo fine dedica la propria azione. Le sanzioni o equivalenti provvedimenti sul piano finanziario o addirittura occupazioni militari di territori sovrani possono essere imposte denunciando i propri interessi senza ricorrere a nobili principi umanitari. Si tratta di chiarezza nella comunicazione. Questo vale nei confronti di Vanuatu, come in questo caso, ma anche dell’Iraq, dell’Iran, di tutto il Medio Oriente, del Sahel, degli amici di Mosca e di Pechino, di tutte quelle organizzazioni sottoposte a ingiurie e provvedimenti restrittivi. Le ragioni sono di natura economica, come è giusto che sia da parte di un’organizzazione di natura economica. Perché questo è allo stato l’Unione Europea, che voleva addirittura dotarsi di una Costituzione politica. Tentativo miseramente fallito per la velleità di tradurre in alti principi etici quelli che sono prosaicamente legittimi interessi economici. La burocratizzazione spinta delle sue istituzioni lo rende evidente. Difficile che i burocrati possano soddisfare e, prima ancora, capire le necessità dei popoli. Specialmente se sono di natura spirituale!
Le immagini sono una scelta di Islamic World Analyzes. Questo l’articolo tratto da Geopolitical Monitor e liberamente tradotto in Italiano.
di François Chani Tabisal
Libera traduzione da: Geopolitical Monitor, May 26, 2021
Nel gennaio 2015 il Gruppo Asia/Pacifico sul Riciclaggio di Denaro Sporco (APG) ha segnalato una delle sue giurisdizioni per gravi carenze in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo (AML&CTF). Il membro in questione era Vanuatu: una spolverata di isole vulcaniche nel Pacifico meridionale, con una popolazione di appena 300.000 Ni-Vanuatu. La Financial Action Task Force (FATF), rispondendo all’APG nella sua sessione plenaria di febbraio 2016 a Parigi, ha inserito Vanuatu nella sua temuta lista grigia.
Il FATF rappresenta 39 nazioni e organizzazioni, tra cui l’APG, ed è stato creato nel 1989 dal G-7 per guidare gli sforzi contro il riciclaggio di denaro e, successivamente, contro il finanziamento del terrorismo. Fissando standard mondiali per la conformità finanziaria, funge anche da custode del commercio internazionale. Ed è proprio qui che inizia questa storia.
La lista nera del FATF è uno strumento formidabile. Solo la Corea del Nord e l’Iran godono dello status di paria nella lista. Ma anche la lista grigia ha conseguenze, complicando i trasferimenti di fondi internazionali, gli investimenti diretti esteri e il funzionamento delle banche corrispondenti. È equivalente a una riluttanza burocratica globale, perché altri centri finanziari impongono divieti ufficiali.
Nel caso di Vanuatu, le banche australiane e statunitensi hanno risposto chiudendo i loro conti di corrispondenza a Vanuatu e quindi classificando questa nazione insulare come un luogo ad alto rischio per gli affari. Per un Paese piccolo ma risolutamente indipendente, che lotta per raggiungere lo status di nazione in via di sviluppo, la lista grigia equivaleva a sanzioni economiche totali.
Vale la pena notare che l’inclusione nella lista FATF non era dovuta a prove di riciclaggio di denaro. La penalizzazione era dovuta alla legislazione e sorveglianza ritenute non abbastanza dure. Ma lo stigma ha avuto conseguenze immediate e i leader del Paese erano ben consapevoli che Vanuatu sarebbe presto potuta precipitare in un abisso economico. Solo uno sforzo totale per la piena conformità avrebbe potuto invertire la rotta. Così iniziò un’ambiziosa campagna per la revisione del sistema finanziario di Vanuatu.
È stato istituito un Comitato di Coordinamento Nazionale per affrontare le carenze rispetto a AML&CTF, sostenendo relative politiche, legislazione e istituzioni. In un raro atto di unanimità, il governo e l’opposizione hanno rapidamente approvato dozzine di emendamenti legislativi e leggi come parte del piano d’azione prescritto dal FATF, tra cui una forte Unità di Informazione Finanziaria, una solida Commissione per i Servizi Finanziari e una fidata Banca Centrale. Nel 2018 queste istituzioni erano paragonabili a quelle dei Paesi più sviluppati. In effetti, l’onere di conformità per le banche e gli esportatori di Vanuatu è oggi in realtà più elevato rispetto all’Australia o al Canada.
Nel giugno 2018 il FATF ha formalmente annunciato la cancellazione di Vanuatu dalla lista, dovuta a “significativi progressi”. Per i cittadini di Vanuatu questo è stato a dir poco un trionfo, visto che i motori della crescita economica potevano ripartire ancora una volta e la macchia sulla reputazione di Vanuatu iniziava a diminuire.
La storia sarebbe dovuta finire lì. Era solo una questione procedurale perché il FMI, la Banca Mondiale, l’ADB [Asian Development Bank, N.d.T.] e tutti i membri del FATF seguissero l’esempio rimuovendo le proprie restrizioni. In effetti, hanno tutti ripristinato Vanuatu, tranne un membro del FATF: l’Unione Europea. Le complicazioni che oscurano Vanuatu fino ad oggi sono iniziate cinque mesi dopo la lista grigia originale del FATF del 2016, quando la Commissione Europea ha pubblicato la propria lista di “paesi terzi ad alto rischio con carenze strategiche”. L’elenco includeva Vanuatu.
Negli anni successivi, le bozze dell’elenco UE hanno attraversato diverse iterazioni. Senza indagini o spiegazioni, la piccola Vanuatu rimane ostinatamente e inspiegabilmente abbandonata nel purgatorio dell’UE. Pressata sulla questione, la leadership dell’UE ha solo escogitato un offuscamento kafkiano e ha cambiato logiche e ragionamenti.
Chiaramente la nazione insulare (con un PIL 2019 di 900 milioni di dollari USA) rappresenta una sorta di minaccia per l’UE (PIL 2019 di 21.400 miliardi di dollari USA). Ma perché? Che cosa esattamente incute così tanta paura nel cuore della Bruxelles burocratica? Spero di rispondere a questo più sotto.
Per fare chiarezza su questo problema sconcertante, è importante notare che l’UE dispone in realtà di due elenchi.
Il primo, l’elenco AML-CTF, che tratta il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, è tra i due il più dannoso per la reputazione. Il bando di Vanuatu nell’AML-CTF avrebbe dovuto essere annullato immediatamente dopo la dichiarazione del FATF che, a seguito di riforme di successo, Vanuatu ora rispettava la lettera e lo spirito di tutte le raccomandazioni. Ma questo non è mai successo.
Questo perché esiste un secondo elenco dell’UE, quello per le “giurisdizioni non cooperative a fini fiscali” che “rifiutano costantemente di agire in modo corretto in materia fiscale”. Quindi, in parole povere, i Paesi dell’UE credono che il regime fiscale di questa piccola nazione insulare abbia un vantaggio sleale nella competizione globale per attirare investimenti stranieri.
Come emerge ora, l’UE sta usando l’elenco AML-CTF, di gran lunga più dannoso, come leva per fare pressione su Vanuatu affinché “agisca lealmente” in materia fiscale. In altre parole: inchinati alla nostra nozione di ciò che è giusto, cambiando il tuo modello di tassazione in qualcosa che ci piace, e allora ti ricompenseremo rimuovendoti dall’elenco delle nazioni che supportano il riciclaggio di denaro e finanziano il terrorismo. Questo suona molto come un’estorsione.
Dal punto di vista dell’UE, la “mancanza di equità” si riduce a questo: gli individui e le società, nazionali o offshore, pagano zero imposte sul reddito.
Nel linguaggio comune, questo rende Vanuatu un “paradiso fiscale”, che nella cultura occidentale comporta sfortunate inferenze. Ma queste sono caratterizzazioni morali e quindi soggettive, prive di fondamento normativo. Dopotutto, ogni nazione sovrana ha il diritto di creare un regime fiscale che sia nel suo migliore interesse. Contestando tale diritto con sanzioni, l’UE si dichiara arbitro di ciò che è giusto. Ma giusto per chi?
Dopotutto, la lista nera comporta una serie di sanzioni agghiaccianti per gli investitori, come l’attivazione di una ritenuta alla fonte sui pagamenti ricevuti a Vanuatu dalle società europee. Ma la penalità più grande, ovviamente, riguarda la reputazione.
Ogni nazione sovrana fa ciò che deve per prosperare o, nel caso di Vanuatu, semplicemente sopravvivere. Quando si tratta di tassazione, Vanuatu è completamente trasparente: zero tasse. Ma questo è più di quanto si possa dire per molti Paesi e territori dell’UE.
Secondo una ricerca del FMI, “le otto principali economie pass-through [cioè che operano esenzioni d’imposta sul reddito, N.d.T.] – Paesi Bassi, Lussemburgo, Hong Kong, Isole Vergini britanniche, Bermuda, Isole Cayman, Irlanda e Singapore – ospitano oltre l’85% degli investimenti mondiali in speciali società di scopo, spesso costituite per ragioni fiscali”. Tre di questi sono territori britannici e tre sono Paesi membri dell’Unione Europea. Nessuno è nella lista nera.
Molti membri dell’UE e loro vicini appaiono anche in cima all’indice dei paradisi fiscali delle imprese del Tax Justice Network. Vanuatu non entra nemmeno nella Top 70. Questi Paesi a reddito più elevato rappresentano il 98% delle perdite fiscali in tutto il mondo, cioè oltre 419 miliardi di dollari USA di tasse perse ogni anno. Per quanto riguarda i Paesi a basso reddito, di cui sicuramente Vanuatu fa parte, rappresentano meno del 2%.
Non cooperativo… o semplicemente sovrano?
Finora, Vanuatu ha resistito alle richieste dell’UE per un paio di motivi.
In primo luogo, un’imposta sul reddito non ha molto senso in un Paese di 300.000 abitanti, di cui circa il 20% partecipa all’economia formale o addirittura non dispone dell’elettricità. La base imponibile sarebbero i 10-15.000 soggetti tra imprese e privati, appena sufficiente a coprire le sole spese di amministrazione.
In secondo luogo, imporre un regime fiscale più adatto alle nazioni sviluppate sarebbe sia invadente sia economicamente disastroso, cancellando il principale vantaggio competitivo di Vanuatu. La prossima generazione di Ni-Van vedrebbe probabilmente la propria gamma di scelte occupazionali ridursi all’agricoltura o al turismo: essenzialmente raccogliere noci di cocco o servire a bordo piscina.
Per Vanuatu, quindi, è molto meglio essere nella lista nera come giurisdizione fiscale non cooperativa e perdere potenziali afflussi di imprese europee, piuttosto che abbandonare il suo vantaggio fiscale e infrangere ogni speranza di sviluppare il suo settore terziario.
Non riscuotendo alcuna imposta sul reddito su individui o società e non fornendo sussidi all’industria, Vanuatu è “leggera nel governo”. Ma per l’UE dal governo decisamente pesante, questa è un’eresia. Se la povera Vanuatu dovesse prosperare, quale messaggio manderebbe alla vicina Nuova Caledonia e alla Polinesia francese? Il successo di Vanuatu potrebbe rompere positivamente l’ordine stabilito. I nativi potrebbero avere idee pericolose.
Questo è il nocciolo della questione. Per secoli, gli Europei si sono visti come benefattori, portando la loro generosità in termini di civiltà, Cristianesimo e commercio ai meno illuminati. È un’immagine di sé potente e insidiosa, contaminata di rettitudine e, con il passare degli anni, venata di nostalgia. È difficile lasciare andare.
Piccolo, ma sovrano
Forse avrei dovuto riprendere la nostra storia un po’ prima, quando la Repubblica di Vanuatu fu fondata il 30 luglio 1980. Prima di allora, durante i 74 anni del condominio franco-britannico delle Nuove Ebridi, le potenze europee trascorrevano più tempo litigando che facendo molto per i loro sottoposti. Come molti popoli in tutto il mondo, i Ni-Vanuatu alla fine si sono liberati, ma non del tutto come avrebbero voluto.
Da allora Vanuatu ha ricevuto un flusso costante di aiuti esteri, principalmente da Australia, Regno Unito, Francia e Nuova Zelanda. Più di recente, hanno dato il proprio contributo anche donatori non OCSE, come Cina e India, e organizzazioni filantropiche private.
La loro generosità è stata vitale per i Ni-Vanuatu e profondamente apprezzata, specialmente durante i disastri naturali. Ma gli aiuti esteri non sono un modello di reddito sostenibile per un Paese indipendente, specialmente se con un’economia stagnante. La crescita nel 2017-2018 è stata del 2,7 percento e il reddito pro capite poco più di 3.000 dollari USA nel 2019 (e questo era prima che arrivasse il COVID-19). L’unico modo per Vanuatu è tagliare il cordone degli aiuti esteri, che ha un enorme potenziale di interferenza politica.
Ma come potrebbe farlo una nazione insulare povera con poche risorse naturali e poco valore geo-strategico? L’agricoltura è a livelli di sussistenza e il turismo è limitato ai mercati regionali. Tuttavia, una crescita sostenibile è possibile, soprattutto nel mondo di oggi.
I servizi finanziari, lo sviluppo di software, la ricerca biofarmaceutica e altri settori della conoscenza hanno bisogno solo di una forza lavoro istruita e di una connessione Internet per prosperare. Il regime fiscale favorevole alle imprese di Vanuatu è quindi il modo migliore per attirare investimenti stranieri, imprenditori e lavoratori qualificati che formeranno la prossima generazione di Ni-Vanuatu. È il modo migliore per costruire l’autosufficienza economica.
Come in ogni democrazia sovrana, le politiche del governo dovrebbero riflettere la volontà del popolo, in linea con la sua identità e i suoi valori (kastom come dicono i Melanesiani), non con la portata eccessiva delle ex potenze coloniali.
Vanuatu ha rispettato tutte le richieste del FATF e ha fatto ciò che è giusto. Ora viene offesa. La lista nera europea AML&CTF, apparentemente istituita per combattere il crimine finanziario, sta invece erodendo la credibilità dell’Europa. Il vero crimine è infangare la reputazione di Vanuatu e legarle le mani, il tutto al servizio di uno spudorato groviglio di geopolitica, atteggiamenti ipocriti e sfacciato interesse personale.
Il vero crimine è trattare Vanuatu come uno stato vassallo quando in realtà è uno stato sovrano.