Ucraina – Se “Roma città aperta” può essere un esempio per Kiev

di Glauco D’Agostino

Quando si perde una guerra, bisogna accettare la realtà. Come ricordavo ad un mio amico che forse aveva dubbi, sono di cultura “occidentale” e a questa mi ispiro.

Quando il 14 agosto 1943 Roma si dichiarò unilateralmente “città aperta”, questo comportò, secondo diritto internazionale, la volontà di cedere la città al “nemico” per evitare spargimento di sangue e, soprattutto, la distruzione dell’intera città. Decisione saggia, per cui Roma continuò a vivere in relativa tranquillità e non dovette subire le brutalità e i bombardamenti sulle popolazioni civili che Dresda e Berlino hanno invece conosciuto. Alla fine dei conti, le eroiche resistenze di queste ultime nessuno fu disposto a riconoscerle, neanche in Patria.

Le affermazioni su un’eroica resistenza ucraina (mi riferisco in particolare al direttore del quotidiano italiano “la Repubblica”) sono irresponsabili. Somigliano a quelle che all’epoca sostenevano con enfasi l’eroica resistenza tedesca, quando era evidente che per Berlino la guerra era ormai persa. Gli eroi servono a ben poco se il mondo ragiona con la cinica logica della geopolitica. Sul piano della retorica, anche i difensori della roccaforte talebana di Kunduz, l’ultima città della resistenza afghana a cadere nel 2001, sono degli eroi. Ma quanta sofferenza per le popolazioni civili! Ecco. In quanto occidentali, più che del direttore di “la Repubblica” ci fidiamo delle informazioni della CIA (pensate!), che ha documentato i 60 chilometri di carri armati e micidiali armamenti che assediano Kiev. Gli analisti militari dicono che difficilmente la resistenza ucraina sarebbe in grado di fermare una simile Armata, per quanto possiamo fare onore agli eroi ucraini. I più “scorretti” osservatori dicono che se Kiev non è stata ancora presa lo si deve alla prudenza del “pazzo” di Putin. Il realismo è un conto, la propaganda al calduccio delle redazioni è un altro!

Credo che la situazione dell’amata Kiev sia molto simile a quella dell’amata Roma del 1943. Kiev “città aperta” significherebbe, secondo il diritto bellico internazionale, “aperta all’occupazione da parte del nemico”. Senza spargimento di sangue. Se vogliamo dimostrare veramente solidarietà al fratello popolo ucraino, credo che la comunità internazionale dovrebbe appoggiare questa soluzione, dolorosa per lo Stato ucraino, ma doverosa verso il popolo ucraino.

Domani si apre il Forum ad Antalya che potrebbe dare avvio a negoziati per un cessate il fuoco, che è la priorità. Certo, per chi sta vincendo una guerra sarà difficile accettarlo, ma forse non è proprio impreparato all’eventualità, se la coda di 60 chilometri di carri armati è sempre di 60 chilometri ed è ferma. Per Roma, la dichiarazione di “città aperta” fu unilaterale e non venne riconosciuta dagli Alleati. I contesti storici sono diversi e Putin non è Roosevelt. Forse in Turchia potrebbe aprirsi questa prospettiva come primo passo verso una stabilità che i veri pacifisti auspicano per quelle terre tormentate. Il resto poi si vedrà ai tavoli della diplomazia e non su quelli dei vertici delle frementi forze armate.

A Roma nel 1944 la liberazione della città comportò un governo formato da forze politiche ostili al caduto regime e due anni dopo il cambio istituzionale. Non è detto che a Kiev sia necessario un regime-change e un governo filo-russo. Ma questo è un affare di politica interna ucraina, su cui non nessuno ha il diritto di esprimersi in questi frangenti. Lo deciderà il popolo ucraino quando, dopo un periodo più o meno lungo di pacificazione nazionale, avrà la possibilità di esprimere la propria preferenza nelle urne.

Intanto, ad Antalya si lavora freneticamente per la pace. Speriamo che le nostre attese e gli intendimenti costruttivi degli organizzatori non risultino vani. Lo speriamo per il popolo ucraino!

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