Il Presidente Biden giunge nella Vecchia Europa per dare istruzioni alla NATO, all’Unione Europea, al Consiglio Europeo e al G7
di Glauco D’Agostino
È la cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa di Mosca che indica la strada. La pace tanto invocata e tanto poco praticata non sta nelle mani del malfermo Joe. Non ha il sentimento per capire il significato simbolico del gioiello architettonico adiacente al Cremlino. Lui ha solo un curriculum da oligarca da esibire e 50 anni al Congresso degli Stati Uniti. Probabilmente non sufficienti per comprendere le dinamiche in cui sono coinvolti gli Stati Uniti d’America. Tranquilli, il riferimento a S. Basilio non è la premessa ad una disquisizione di carattere esoterico. Qui si tratta di geopolitica. Ed è quello di cui Joe non si intende.
I quattro organismi internazionali che oggi viene a sovrintendere potrebbero essere riuniti in uno. Semplificherebbe. Tanto, sono le proxy-organizzazioni di un presunto Impero che non ha il crisma della legittimità del titolo. Gerusalemme lo ha. İstanbul lo ha. Mosca lo ha.
Esoterismo? Realtà geopolitica! Quell’asse geografico verticale è anche un’area di incontro tra modi di concepire il mondo, le Weltanschauungen, che tendono al dialogo tra diversità, non allo “scontro di civiltà e rifacimento dell’ordine mondiale”. Quello scontro è stata la cifra delle nefandezze dell’era Bush con le guerre in Afghanistan e in Iraq e le conseguenti derivazioni di guerre civili che hanno appestato il mondo. In questo senso, il caro Joe è la continuazione di quell’era infame a cui tutta la comunità internazionale si è piegata in segno di servilismo verso un dissimulato Imperatore illegittimo. Tutti i suoi eredi si sono macchiati di crimini di guerra. E la gentile signora Del Ponte, ormai non più nella sua veste di inquisitrice, ancora pontifica sull’opportunità di nuove incriminazioni, senza riferimento alcuno a quelli perpetrati nel recente passato.
Cosa differenzia la secessione del Kosovo dalla Serbia rispetto al Donbass dall’Ucraina? Sia chiaro. La mia personale posizione non è di parte, non ne avrei motivo. E spiego anche il perché. Sono Italiano e le scuole statali della Repubblica mi hanno insegnato il valore dell’Irredentismo di Trieste. Così come ho studiato il secessionismo basco, quello irlandese, quello scozzese, quello gallese, quello ceceno, quello curdo, quello uyghuro, quello berbero di Algeria e Marocco, quello del Kashmir indiano, quello cinese di Taiwan, quello sud-tirolese in Italia e così via. Cosa ci fa essere da una parte o dall’altra? I diritti umani, forse? Il diritto internazionale, forse? Quale, quello che ha consentito l’invasione infame dell’Iraq su una menzogna riguardante l’uranio arricchito di Saddam? Ci rendiamo conto delle contraddizioni!
Bene. Tutte le esperienze ricordate sono passate da conflitti armati. Il discrimine è tra l’atteggiamento di fomento delle contrapposizioni e quello che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Sto solo citando l’art. 11 della Costituzione italiana. Tutte le parti in causa hanno le loro buone ragioni, talvolta ideali, talvolta di meri interessi materiali ed economici. Perfino l’industria bellica ha legittimità riconosciuta dalle legislazioni nazionali e dai valori universali, anche da quelli liberali. Tuttavia, se l’obiettivo è la pace (ma lo è?), i messaggi devono essere di pace. Il perseguimento della pace non comporta equidistanza etica. Ancora siamo sulla via giusta. Ma boicottare il perseguimento della pace è un crimine contro l’umanità.
Il Presidente Biden arriva in Europa con un messaggio di guerra. Gli Americani sono stanchi dei guerrafondai che li governano. Tutti gli ultimi Presidenti dalla caduta del Muro di Berlino hanno lanciato messaggi di guerra nel momento in cui gli Stati Uniti non avevano avversari sullo scacchiere mondiale. Dovevano inventarseli e ci sono riusciti. Adesso l’aria è cambiata e se ne deve prendere atto. L’atteggiamento giusto sarebbe lavorare per il compromesso, giungere in Europa come chi salva il mondo dalla guerra, non come chi compatta quattro organizzazioni dalla natura ambigua in contrapposizione ad un presunto “asse del male”. Gli errori sono del caro Joe come di tutto l’Occidente. Hanno tutti perso il ruolo di mediatori per rivestire quello di giustizieri alla “Rambo”. Non posso sedermi al tavolo delle trattative dicendo: “premesso che sei un criminale di guerra”, “considerato che la tua guerra è di una ferocia inaudita”, “atteso che potrei dirlo alla Del Ponte” o, se si è francescani di buona volontà, “qui dobbiamo prima distinguere tra Caino e Abele”. Si manifesterebbe una malafede e, questo sì, sarebbe un caso di un crimine contro la pace.
È l’approccio che è sbagliato. Non vogliamo credere alla malafede, perché non crediamo ad alcun asse del male. Qui si tratta di incapacità. Quando l’Occidente incomincerà a studiare geo-politica e utilizzare altri strumenti che non siano basati su dubbi tribunali internazionali o inique sanzioni? Quando capirà che le armi della diplomazia valgono più della MOAB, madre di tutte le bombe, orgogliosamente sganciata da Trump in Afghanistan appena cinque anni fa? Biden, legittimo erede di Trump, sembra avviato sulla stessa linea muscolare.
La rotta Gerusalemme-İstanbul-Третий Рим significa proprio questo. Se trattative sono in corso, lo si deve agli sforzi diplomatici di Erdoğan e Bennett. Questo scompensa le certezze ideologiche di molti, perché questi personaggi rappresentano mondi che sono in perenne contrapposizione sul piano ideale e geo-politico, ma in perenne contatto tra di loro. Si parlano. E il parlarsi significa riconoscimento di un ruolo. Quel ruolo storico che le tre città sono consapevoli di interpretare secondo la loro profondità storica. E questa non si inventa con la MOAB.
Impegno, Biden, impegno! Oppure, please, Go Home!