Il culto della personalità come base democratica? No, l’insider trading potrebbe esserlo
di Glauco D’Agostino
È ufficiale. In Russia è possibile ciò che in Italia è “sconsigliato”. “Sconsigliato” è un termine ben noto in certi ambienti. Tu lo puoi fare ma subirai le conseguenze della mannaia “democratica” o sua derivata. Ne portano esempio i provvedimenti di “sensibilità democratica” che perfino le università private, quelle che non sono sotto il ricatto dei budget pubblici, attuano allegramente. Domandate al prof. Alessandro Orsini e alla sua censura da parte dei vertici della “Libera” Università Internazionale LUISS, controllata dai magnati di “Confindustria”. Figuriamoci le altre, dove rantoli razzisti “sconsigliano” le conferenze su Dostoevskij. È finito perfino il “fair play”. Siamo alla censura inquisitoria. Altro che Monsignor della Casa. Lui era nato nella Firenze dei Medici, non ancora italiana!
L’Italia scopre che in un sistema democratico esiste un’opposizione. Ne avevamo perso la memoria qui, in Italia. Doveva ricordarcelo la Russia di Putin. Così, l’immagine della giornalista che chiede pace (inaudito nell’Italia che vende armi) e contesta il potere esecutivo (“sconsigliato” in Italia), tanto pubblicizzata dai media occidentali come fosse un fenomeno da baraccone piuttosto che un diritto democratico, diventa un boomerang. Autorizza parallelismi inquietanti. Brutto segno per i controllori della propaganda e per le intelligence occidentali, che non sono in grado di indirizzare a sufficienza l’opinione pubblica verso i risultati sperati, cioè l’unanimismo. Putin non ne ha bisogno.
Pensate. In Russia Putin “gode” di un’opposizione democratica, perché eletto da una percentuale maggioritaria del popolo. E il suo partito ha un nome identificato e ha la maggioranza alla Duma in virtù di una vittoria elettorale. L’altra, l’opposizione democratica, svolge il ruolo costituzionalmente garantito della protesta. In Italia un burocrate di alto rango svolge il suo ruolo di “Grande Conduttore della Nazione” in virtù di un accordo di potere legittimamente realizzato in Parlamento, tale per cui tutti i gruppi parlamentari ritrovano una unità democratica e per cui non esiste più opposizione. I miei amici scultori sono già all’opera per una statua equestre che lo celebri ancora in vita. Così freghiamo Putin che non ce l’ha ancora.
Ognuno può scegliere il modello che vuole, naturalmente. La Russia, considerato Paese orientale, ha la storia che ha e la conosciamo tutti. E in Italia, fiera del suo occidentalismo, il bonapartismo è un vizio endemico, che ha avuto emuli uno dopo l’altro, nell’Italia fascista non meno che nel proxy-State succedutole. Vizio endemico, appunto! È un paradosso. La Russia post-sovietica tenta (diciamo almeno tenta) di funzionare secondo i principi dei fondamenti liberali dello Stato. E Putin è il Capo di un partito cui vanno imputate le responsabilità della conduzione di una Federazione multi-etnica grande e complessa come la Russia. “Ci mette la faccia”, è la brutta espressione da bar resa popolare dai media. È normale nei Paesi democratici sapere chi rappresenti, in nome di chi governi. È così nella Francia di Macron, nella Germania di Scholz, nella Gran Bretagna di Johnson, perfino nello Zambia di Hichilema.
In Italia, il suo “Leader maximo” nominato, espressione di circoli esclusivi che riservatamente determinano il destino di intere nazioni, e tuttavia investito legittimamente dall’intero arco parlamentare a sua volta espressione dell’inerme popolo, nicchia furbescamente. Che c’entro io? Non sono un politico. È il popolo che lo vuole. Mica la responsabilità è mia. È un modo per dire: la guerra è di Putin. Le sanzioni da me imposte alla Russia non sono mie, sono del popolo italiano che le ha volute. Ricorda l’atteggiamento di Brezhnev, il “Grande Leader”, quando a suo dire aveva raggiunto l’obiettivo della creazione dell’Homo Sovieticus, naturalmente in nome del popolo sovietico. A me gli onori, a te le responsabilità. “Mancu i fissa”, dice una locuzione siciliana impossibile da tradurre in Inglese. E aggiungo: “Not in my name!” La “fiesta è finita”. Anche perché lo certifica Morgan Stanley, che forse ha mancato di comunicarlo.
L’Italia rischia una deriva di stampo sovietico, che a molti non piace. In gioventù ho vissuto a Varsavia e nella Mosca sovietica. L’ex-agente del KGB attualmente al Cremlino ha contribuito a liberarle dal collettivismo, con lo sconcerto dell’allora Partito Comunista più forte d’Europa, quello italiano appunto. Oggi, nel Bel Paese, gli unici che non sono collusi con l’oligarca di turno sono i militanti del piccolo gruppo “Potere al Popolo” [Power to the People!], che ha un solo rappresentante in Parlamento. Ma il pericolo di sovietizzazione non viene da loro. Viene da chi ha varato provvedimenti che richiamano “espropri proletari” di proprietà private appartenenti a cittadini stranieri senza specifiche accuse di reato, né in Italia né in Patria. Una barbarie giuridica. Ma i vertici dello Stato e i dotti costituzionalisti nicchiano anche loro: “E chi sono io per giudicare?” Va di moda sotto il Cupolone e dintorni.
Mi concentrerei su altro. I pericoli di “insider trading” presenti nei momenti di instabilità del mercato mobiliare e il mercato nero che le sanzioni promuovono a beneficio della criminalità organizzata. Le informazioni “sicure” di borsa fanno miracoli in tempo di guerra e i broker, esperti di materie prime o “derivati”, pullulano nei palazzi che contano. Discretamente, senza fare tanto chiasso. Tanto, sono semplici operazione finanziarie. Tra oligarchi ci si intende, n’è vero? Con una notazione a margine. Le intelligence internazionali sono talmente efficienti da non avere ancora scoperto i molti altri yacht da centinaia di milioni di dollari a disposizione degli oligarchi russi vittime delle “sovietizzazioni” italiane. A nessuno di loro potrebbe importare di meno! Sono veri oligarchi, loro, e anche loro aspirano a cariche statali di alto rango!
Attenzione! Non abbiamo bisogno di yacht da acquisire e caviale di frodo da consumare a pranzo. Qui sono in ballo le basi del diritto. Ma per le “iene ridens” la “fiesta” continua.