Quando il complesso militare-industriale occidentale di stile sovietico è ormai padrone delle istituzioni
di Glauco D’Agostino
Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, ritenuto un dittatore da alcuni inesperti Capi di Stato sedicenti democratici di Paesi membri della NATO, potrebbe dar vita a quell’azione diplomatica di pace in Ucraina che il complesso militare-industriale occidentale di stile sovietico, ormai padrone delle istituzioni, vede come il fumo negli occhi. Le spinte verso l’esaltazione della contrapposizione tra fazioni politiche di uno stesso popolo, come quelle che si confrontano in Ucraina, trovano un limite grazie a “volenterosi” che operano in favore del negoziato.
L’Antalya Diplomacy Forum, il meeting che ospiterà 2000 invitati tra Capi di Stato e di Governo, Ministri degli Affari Esteri e rappresentanti di alto livello delle organizzazioni internazionali per discutere su questioni globali e regionali, potrebbe essere la cornice per colloqui di pace tra Russia e Ucraina, il cui regista potrebbe essere Erdoğan. La Turchia ne ha tutte le caratteristiche.
Caduta la possibilità che mediatrice possa essere l’Unione Europea o uno dei suoi membri, molti entrati nell’estremismo favorevole ad un’escalation del conflitto; improbabile la mediazione svizzera, ormai cooptata nella follia delle sanzioni e comunque da sempre coinvolta nell’affarismo finanziario al limite del crimine sociale; la diplomazia di Ankara, invece, si presenta con tutte le carte in regola per poter svolgere questo ruolo. Erdoğan, leader democraticamente eletto di un Paese NATO, non può essere accusato di parteggiare per Mosca. Lo testimonia la sua vicinanza politica a Kiev non certo da oggi, la sua opposizione all’annessione russa della Crimea, la solidarietà con il popolo tataro della Penisola, il ruolo nella guerra del Nagorno-Karabakh, la contrapposizione alla politica di Putin nel teatro libico. Di più, lo testimonia l’antagonismo storico tra Turchia e Russia nell’area del Mar Nero e dei Balcani.
La necessità di dialogo è invece un’altra questione. Necessità di convivenza per la pace, senza piegare mai la testa né difronte a Mosca né difronte a Washington. Quanta differenza rispetto al comodo servilismo di Olaf Scholz, Boris Johnson e Mario Draghi! E, consentitemi, rispetto alle velleità di una inutile von der Leyen, cui manca sempre un posto a sedere. Erdoğan almeno è un leader eletto dal popolo, diverso da alcuni esponenti tecnocratici legittimati da oligarchie della finanza. Ma l’atteggiamento bellicoso di quei tecnocrati non è innato. Potrebbe essere una radicata abitudine ad assecondare i complessi militar-industriali e finanziari per i quali devono rispondere direttamente al popolo, loro sovrano secondo i canoni della democrazia.
Invero, proprio Kiev propone che in futuro i negoziati si tengano in Turchia, Polonia o Ungheria. Al contrario dei suoi partner NATO, la Turchia di Erdoğan non ha opposto sanzioni alla Russia e all’ONU si è astenuta nel voto sulla risoluzione di condanna alla Russia. Ha mantenuto un atteggiamento di neutralità che oggi le consente un passo degno delle grandi Nazioni. Si propone come attore di pace piuttosto che come fomentatore di guerra “all’Occidentale”. Da questa mediazione, ad Antalya o in contesti diversi, potrà forse arrivare un sospiro di sollievo per il popolo che vive in Ucraina, sia che si identifichi con Zelens’kij sia che guardi a Putin come liberatore.
La mediazione di Antalya è solo un’ipotesi, per ora, anche se è certo che Lavrov sarà presente. Sia come sia, il rapporto dialogico tra il “Sultano” e lo “Tsar” potrebbe essere decisivo per la crisi ucraina. Mentre il resto dell’Europa continua a giocare con gli appellativi presuntamente denigratori, non si accorge che la fine del suo Impero e dei suoi tracotanti “Cacicchi” cammina di pari passo con l’incapacità diplomatica delle sue rappresentanze. Alla fine, l’Orso Russo non si doma con il Riso delle Iene!