Ucraina – La nemesi storica dell’ideologia occidentale del regime-change

di Glauco D’Agostino

Si chiama eterogenesi dei fini. L’Occidente democratico ha posto il regime-change alla base della sua politica estera. L’intento di destabilizzare i Paesi e rovesciare i governi non graditi ha costituito la strategia principale della sua espansione. Lo ha attuato, per esempio, con guerre di invasione in Somalia, Afghanistan, Iraq, Libia; con colpi di stato in Egitto, Sudan, Mali; in Yemen e nell’ex Jugoslavia scatenando guerre civili. Lo ha invocato vanamente per la Repubblica Islamica dell’Iran degli Āyatollāh, per la Siria di Asad, per la Corea del Nord, per il Venezuela di Maduro, persino per il Libano. E anche per l’Ucraina di Yanukovič nel 2014. Questa metodologia di risoluzione delle controversie ha fatto scuola, è stata considerata possibile e legittima da tutti, dalla cosiddetta comunità internazionale, dalle accademie e dagli esperti di scienza politica e di diritto internazionale. Bene.

Questa legittima metodologia per imporre l’allargamento della propria area d’influenza militare, economica e commerciale sta per essere attuata dalla Russia di Putin. Naturalmente, è d’obbligo la nostra solidarietà al popolo ucraino (tanto di etnia e lingua ucraina tanto a quello di etnia e lingua russa) sottoposto ad una guerra civile sul proprio territorio. Questa tragedia si fermerà probabilmente con un regime-change. Cioè, ripetiamo, attraverso una metodologia che ha fatto scuola, è stata considerata possibile e legittima da tutti, dalla cosiddetta comunità internazionale, dalle accademie e dagli esperti di scienza politica e di diritto internazionale.

Dunque qual è il problema? Certo, questa volta il problema è alle porte di casa. L’Occidente non si preoccupava quando dalle sue cattedre dottrinali teorizzava o attuava situazioni di instabilità in mezzo mondo. Somalia, Afghanistan, Iraq, Libia, Egitto, Sudan, Mali, Yemen, Repubblica Islamica dell’Iran, Siria, Corea del Nord, Venezuela, Libano dopotutto erano lontani e le loro sofferenze non interrompevano l’atmosfera di “fiesta” che l’Occidente considera un diritto civile. Già nell’ex Jugoslavia la guerra era stata alle porte di casa, ma la comunità internazionale lo aveva risolto bombardando Belgrado e ricorrendo al Tribunale Penale Internazionale. Chissà che Putin non abbia avuto dei maestri insediati a Washington e Bruxelles piuttosto che a Mosca o Pyongyang.

Il problema vero non è schierarsi oggi per Kiev o Mosca con tifo da stadio. Qui la riflessione deve riguardare un modo di agire che ha fatto ritenere legittimo ogni intervento occidentale nel mondo, democraticamente ispirato lo schieramento per terra e per mare di micidiali armi nucleari quando il mandante era la NATO, legittime e senza dubbio opportune le alleanze militari nel Mediterraneo, nel Sahel, in Medio Oriente, nell’Oceano Indiano e nel Pacifico sotto l’egida della Casa Bianca. Se oggi Mosca facesse lo stesso non credo che nessuno potrebbe avere il diritto non solo di protestare su basi oggettive di legittimità o opportunità, ma persino di avanzare riserve sul piano etico, che è stato così pesantemente sacrificato nei decenni scorsi rispetto alle necessità della geopolitica. E non c’ è dubbio che Putin abbia oggi ragioni di geopolitica in Ucraina, così come ieri in Georgia.

La guerra? Certamente fa paura. Ma gli analisti internazionali potrebbero cinicamente ripeterci che anche in Somalia, Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria la guerra era o è ancora un incubo, ma una strada necessaria verso la pace. Oggi, anche in Ucraina “le operazioni di peace-keeping” o “peace-enforcement” sono propedeutiche alla pace, il regime-change pacificherà le fazioni interne e il nuovo governo chiederà assistenza militare a Putin. Tutto regolare secondo il carteggio in uso nel moderno mondo diplomatico. Tutto secondo uno schema NATO. Solo che questa volta il kingmaker siede al Cremlino. Che ci vogliamo fare!

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