Secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, circa 53 milioni di elettori sono stati chiamati ad esprimere la loro preferenza in più di 160.000 seggi elettorali, con votazioni chiuse alle 17:00 ora locale
Elaborazione da fonti: BBC, 10 August 2014, 19:00 GMT and 15:48 GMT; Joe Parkinson, in The Wall Street Journal, Aug. 10, 2014, 8:18 a.m. ET
I risultati provvisori indicano che il Primo Ministro uscente Recep Tayyip Erdoğan (nella foto in una delle sue manifestazioni elettorali) ha vinto le prime elezioni presidenziali dirette della Turchia.
Con quasi tutti i voti scrutinati, le emittenti turche riferiscono che Erdoğan, 60 anni, che qui ha polarizzato l’opinione pubblica e rimane di gran lunga il più popolare politico della Turchia, ha conquistato circa il 52%, contro il 38% per Ekmeleddin Mehmet İhsanoğlu, il suo principale rivale, che ha ammesso la sconfitta. Aveva bisogno di più del 50% dei voti per la vittoria assoluta, al fine di evitare un secondo turno il 24 agosto.
Erdoğan, primo ministro dal 2003 e impossibilitato a ricoprire quella carica di nuovo, aveva detto che in caso di vittoria, avrebbe rafforzato il potere del Presidente, oggi in gran parte cerimoniale. Aveva sostenuto che il passaggio ad elezioni dirette giustificherà un ruolo più attivo per il Presidente come uomo politico preminente del Paese. Benché, in quanto eletto alla carica imparziale di Capo dello Stato, dovrebbe dimettersi da Presidente del partito di governo Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP), aveva indicato che intende mantenere uno stretto controllo sul governo.
Erdoğan, il cui slogan elettorale è stato “una forte volontà”, ha manifestato la sua intenzione di dare al Paese una visione di governo più islamica. Radunando centinaia di migliaia di sostenitori in decine di città, si è impegnato a forgiare una nuova Turchia. I suoi sostenitori ritengono che la sua elezione potrebbe preannunciare un periodo in cui la democrazia è ottimizzata per legiferare più facilmente in base alla volontà popolare.
La Turchia – incuneata fra le turbolenze di Iraq, Siria e Ucraina – è un alleato importante per l’Occidente e dunque il Capo dello Stato detiene una posizione geopolitica chiave.
I due contendenti di Erdoğan sono stati Ekmeleddin Mehmet İhsanoğlu, un diplomatico poco conosciuto, e Selahattin Demirtaş, un politico curdo.
İhsanoğlu, nato al Cairo 71 anni fa, era il candidato comune dei due principali partiti di opposizione in Parlamento: il kemalista Partito Popolare Repubblicano (CHP), di centro-sinistra, e il conservatore Partito del Movimento Nazionalista (MHP), di estrema destra. È stato il 9° Segretario Generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica dal 2005 al 2014. Aveva promesso di sostenere il ruolo tradizionale del Presidente, insistendo sul fatto che non è compito del Capo dello Stato essere coinvolto nella politica corrente.
Demirtaş, 41 anni, è un leader del Partito Democratico Popolare (HDP), di sinistra, e un politico ben conosciuto dalla minoranza curda. Ha concentrato la sua campagna sul sostegno alla causa degli oppressi, i poveri, i giovani e la classe operaia. “Non possiamo costruire la nostra unione accusandoci a vicenda. Domani mostriamo i nostri colori alle urne con le nostre identità e fedi oppresse” aveva detto Demirtaş alla folla prima delle elezioni nella città di Smirne.
Sabato, nel suo discorso elettorale di chiusura nella città anatolica di Konya, fermamente conservatrice, Erdoğan ha promesso di elevare gli standards democratici e il rendimento economico della Turchia, per creare un “leader mondiale e una potenza globale”. “Se Dio vuole sarà istituita una nuova Turchia … una forte Turchia sta nascendo di nuovo dalle ceneri”. “Non c’è sogno o obiettivo irraggiungibile per questa Nazione” ha detto.