La crisi democratica della Tunisia riflette anche l’impegno debole e frammentato dell’UE nei confronti del Paese. L’UE dovrebbe incoraggiare il ritorno alla democrazia alleviando le difficoltà economiche della Tunisia
Spesso democrazia e geo-politica non vanno di pari passo, anzi. La valutazione delle istituzioni di un Paese dipende da chi quel giudizio formula. La Tunisia è ancora una democrazia? Dipende. Già questo basta a delegittimare il concetto di democrazia così come viene inteso in Occidente. Affidarsi alla “quotazione” pro-tempore che ne fa l’Unione Europea è poi praticamente impossibile. Dipende. Così, per Mario Draghi la Turchia è autoritaria, ma su Tunisia ed Egitto bisogna approfondire. Così, per Emmanuel Macron sotto elezioni gli interessi francesi superano la “correttezza” democratica di Saïed, ma meglio non dirlo tanto apertamente. Così, il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia si limita a immaginare generiche “iniziative comuni per promuovere la democrazia, lo sviluppo sostenibile, la stabilità e la sicurezza nel continente africano”. Dove? Quando? Con quali mezzi? Con quali dispositivi? Più che un trattato (che è uno strumento giuridicamente affidabile), questa è un’annotazione generale senza impegni concreti, con intenti di buon vicinato che nulla aggiungono alle raccomandazioni dei maggiori organismi internazionali. L’articolo che segue, inserito nel “European Democracy Hub” di Carnegie Europe, riflette sulla situazione tunisina e sull’interesse a giorni alterni dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, aggrovigliati nella matassa di far concordare principi e interessi, esaltando i primi e velando i secondi, come si evince dai pomposi dibattimenti e appuntamenti internazionali. La Tunisia ai Tunisini? Certo. Raccontiamolo a chi sulla Tunisia aveva in passato e ha oggi puntato l’attenzione dei suoi coinvolgimenti geo-politici e non proprio per nobili slanci umanitari (Commento di Glauco D’Agostino).
di Youssef Cherif*
Libera traduzione da: Carnegie Europe, December 16, 2021
Il 25 luglio 2021 il Presidente tunisino Kaïs Saïed ha parzialmente sospeso il Parlamento e ha licenziato il Primo Ministro del Paese [l’indipendente Hichem Mechichi, N.d.T.]. Esprimendo l’intenzione di cambiare la Costituzione e creare un nuovo sistema politico, il Presidente ha consolidato il potere nelle proprie mani, stilando una road map lunga e opaca per un ritorno al governo democratico. Sebbene Saïed affermi di lavorare per stabilire un sistema più democratico e inclusivo, le sue mosse finora sembrano classicamente autoritarie.
L’Unione Europea ha espresso il suo disaccordo con questo corso degli eventi, ma è stata cauta nella risposta politica. Inoltre, gli Stati membri dell’Unione non hanno reagito in maniera unitaria. Le critiche europee alla regressione democratica della Tunisia stanno aumentando, ma finora senza effetti evidenti. Eppure la drammatica crisi della democrazia tunisina riflette una serie di debolezze nell’impegno dell’UE nei confronti del Paese dalla svolta politica del 2011. Per avere qualche speranza di aiutare a preservare l’unica transizione democratica di successo della Primavera Araba, l’UE deve migliorare significativamente il suo sostegno alla Tunisia, unificando il suo messaggio, mantenendo la pressione diplomatica e considerando i rischi dell’applicazione di sanzioni.
COSA È ANDATO STORTO?
Sotto la dittatura, che durò per la maggior parte del periodo post-coloniale della Tunisia, il Paese veniva spesso descritto nei corridoi europei come uno stretto partner della porta accanto, il cui problema principale era la mancanza di democrazia. Con la caduta dell’ex Presidente Zayn al-ʿĀbidīn ben ʿAlī nel 2011, l’UE ha reso la Tunisia un partner privilegiato, conferendo al Paese “i più alti livelli di sostegno pro-capite dell’UE al mondo”. Per un po’ Tunisi e Bruxelles sembravano essere molto vicine l’una all’altra, ma l’euforia del 2011 ha lasciato il posto a una cooperazione stagnante e i due partner non hanno potuto migliorare ulteriormente il loro rapporto. I negoziati per un Accordo di Libero Scambio Completo e Approfondito (DCFTA), un’iniziativa che avrebbe dovuto avvicinare più che mai la Tunisia all’UE, sono in stallo. Nel frattempo, il sostegno dell’UE alla democratizzazione è stato sostanziale, ma ha avuto i suoi limiti, come alla fine hanno mostrato gli eventi dell’estate del 2021.
Quattro questioni spiegano perché Bruxelles si è dimostrata così debole nel proteggere un sistema che ha spesso elogiato come modello. In primo luogo, l’UE ha sempre più attribuito priorità al controllo della migrazione a scapito del sostegno alla democrazia. I diplomatici europei elogiano spesso la democrazia tunisina e l’importanza del Paese come partner democratico. Ma molti a Tunisi hanno l’impressione che questo discorso sulla democratizzazione sia una copertura per attuare politiche migratorie più dure. Sebbene l’UE dipinga la lotta alla migrazione informale come una priorità comune sia per gli Europei che per i Tunisini, questa è in realtà una priorità europea, non tunisina. Molti Tunisini vorrebbero trasferirsi in Europa, ma le autorità tunisine stanno contrastando le loro richieste chiudendo le rotte migratorie informali. Molti Europei vorrebbero che Tunisi sorvegliasse i confini meridionali dell’UE, evidentemente a prescindere dal sistema politico del Paese.
Il secondo fattore riguarda il modo in cui l’UE ha garantito la sua politica di democratizzazione in Tunisia. L’UE non ha agito in modo deciso per salvaguardare le conquiste democratiche che ha contribuito a promuovere. Rispetto ad altri casi dell’Europa centrale e orientale, dove l’UE è stata molto attenta alle minacce poste dalla Russia, Bruxelles ha a malapena risposto alle negative influenze esterne in Tunisia derivanti dalle tensioni tra gli assi geopolitici concorrenti, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (UAE) e l’Egitto da una parte, la Turchia e il Qatar dall’altra. Considerato che questi Stati hanno minato la democrazia in Tunisia nell’ultimo decennio, raramente l’UE ha esercitato pressioni o ha condannato le loro azioni. I semi deboli producono fiori avvizziti.
La terza questione riguarda la natura dei colloqui DCFTA. Gli Europei hanno esercitato pressioni sulla Tunisia affinché procedesse con questo accordo commerciale come condizione per un miglioramento delle relazioni. Ma la politica interna e i profondi sospetti sulla proposta hanno frenato la Tunisia. L’instabilità politica ha portato a frequenti cambiamenti nelle priorità di Tunisi e ripetuti rimpasti nella squadra negoziale del Paese, con discussioni che a volte ritornano su punti precedentemente concordati a causa della mancanza di organizzazione da parte tunisina. Allo stesso tempo, i gruppi della società civile tunisina sono stati praticamente unanimi nel condannare la DCFTA come un rischio per la sovranità politica ed economica del Paese. Ma né Tunisi né Bruxelles hanno proposto un’alternativa, lasciando in sospeso il processo di integrazione più approfondita e le relazioni diplomatiche fragili e prive di fiducia.
La quarta e più immediata debolezza della politica diplomatica dell’UE nei confronti della Tunisia si è verificata durante la pandemia di coronavirus. Tra giugno e luglio 2021 migliaia di Tunisini sono morti e il sistema sanitario del Paese si è avvicinato all’orlo del collasso. Il Paese mancava di tutto, dalle maschere, alle bombole di ossigeno, ai kit di vaccini. Mentre la Tunisia affondava, molti leader europei hanno distolto lo sguardo. Gran parte degli aiuti rapidi e immediati sono arrivati prima dai vicini Arabi, non dagli Europei, anche se la Francia ha inviato un po’ di assistenza in questo periodo. Ma è stato solo dopo che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno promesso assistenza di emergenza che un numero maggiore di Europei ha iniziato a inviare ingenti quantità di aiuti. Sebbene abbiano offerto molti più aiuti rispetto agli Stati arabi prima e dopo la terribile estate tunisina, la lentezza dell’UE nell’agire durante quelle fatidiche settimane estive ha avuto conseguenze drammatiche per la sua influenza diplomatica in Tunisia.
PERCHÉ L’EUROPA HA REAGITO COSÌ BLANDAMENTE ALL’EROSIONE DEMOCRATICA DELLA TUNISIA?
Oltre a queste carenze, le reazioni dell’UE e dei suoi Stati membri al quasi-golpe di Saïed del luglio 2021 sono state tiepide e incerte. La riluttanza dell’UE a chiamare “colpo di stato” la presa del potere o a criticare inequivocabilmente l’evento è comprensibile: i Tunisini erano arrivati a detestare così fortemente la classe politica del Paese che difendere il governo caduto o il Parlamento sospeso si sarebbe ritorto contro l’Unione. Saïed è diventato popolare sin dalla sua elezione a Presidente nell’ottobre 2019; e il fatto che la sua presa del potere quest’estate sia coincisa con l’arrivo delle tanto necessarie dosi di vaccino e di altri aiuti medici ha contribuito alla sua popolarità. Molti Tunisini lo hanno visto come il salvatore del Paese. Inoltre, le terribili condizioni economiche della Tunisia durante gli anni 2010 e la macchina propagandistica del Presidente hanno fatto apparire i precedenti governanti come la fonte di tutti i guai del Paese. Qualsiasi condanna europea a Saïed avrebbe potuto essere un sostegno a an-Nahḍa, il più grande partito nel Parlamento congelato del Paese.
Tuttavia, anche le miti reazioni degli Europei all’erosione democratica della Tunisia sembrano riflettere una mancanza di interesse nella difesa della democrazia del Paese. L’UE è stata lenta a inviare qualsiasi delegato. Il primo funzionario europeo di alto livello a visitare il Paese e incontrare il Presidente è stato Josep Borrell [foto a destra, N.d.T.], l’Alto Rappresentante UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. Ha visitato la Tunisia il 10 settembre, un mese e mezzo dopo la mossa unilaterale di Saïed. In confronto, il Ministro degli Esteri saudita ha visitato Tunisi il 30 luglio, il suo omologo egiziano il 3 agosto e l’inviato degli Emirati il 7 agosto. Nessun inviato di alto livello di nessuno Stato membro dell’UE ha visitato la Tunisia durante questo primo periodo. Tra la presa del potere di luglio e l’inizio di dicembre 2021 non è stata registrata alcuna chiamata tra Saïed e il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen [foto a sinistra, N.d.T.]. Questa risposta lenta contrasta con l’agilità mostrata dagli Europei nelle recenti crisi che hanno colpito i Balcani e il Caucaso, altre regioni prioritarie per il sostegno alla democrazia europea.
Nemmeno le legislazioni nazionali degli Stati membri dell’UE sono apparse dare priorità alla salvaguardia della democrazia tunisina, anche se l’attacco più diretto di Saïed [foto sotto, N.d.T.] è stato contro il Parlamento e i suoi membri. All’indomani della presa del potere di Saïed non ci sono state dimostrazioni visibili di sostegno al Parlamento tunisino: per esempio, non ci sono state sessioni speciali nei Parlamenti francese o italiano e nessuna visita di gruppi parlamentari in Tunisia. Quanto al Parlamento Europeo, a parte pochi disparati commenti di alcuni suoi membri, ha ignorato la Tunisia fino alla settimana del 18 ottobre, quando ha finalmente discusso e adottato un documento che metteva in guardia i leader tunisini contro qualsiasi svolta autoritaria. Questa lentezza mostra anche la scarsità delle reti che i parlamentari tunisini avevano costruito all’interno delle democrazie europee. La leadership del Parlamento tunisino è stata più interessata ad approfondire i legami con i regimi autoritari di Qatar e Turchia, alleati naturali di an-Nahḍa, che con i Parlamenti democratici europei. Quindi, quando la marea si è rivoltata contro di loro a livello nazionale, non hanno trovato molto sostegno in Europa.
Ma mentre all’inizio la reazione dell’UE è stata lenta e mite, è diventata gradualmente più critica. Borrell e Charles Michel [foto sotto, N.d.T.], il Presidente del Consiglio Europeo, hanno sollecitato Saïed a fornire una tabella di marcia per riportare la Tunisia sul binario democratico. Anche i membri del Parlamento Europeo stanno sollevando critiche. Il 21 ottobre il Parlamento Europeo ha adottato un documento dai toni forti che chiede il ritorno alla democrazia in Tunisia e mette in guardia contro l’interferenza straniera (vale a dire saudita, emiratina ed egiziana).
Per quanto riguarda i singoli Stati membri dell’UE, le reazioni al potenziale collasso della democrazia tunisina sono state variegate. I funzionari di Roma e Parigi hanno mostrato meno allarme, mentre Berlino sembra più preoccupata.
L’Italia, che con la Tunisia condivide lo Stretto di Sicilia, ha dato priorità alla stabilità. Una parte significativa del gas naturale italiano arriva attraverso la Tunisia tramite un gasdotto algerino e la Tunisia è anche il percorso più semplice dei migranti per raggiungere l’Italia. Inoltre, centinaia di aziende italiane operano nel Paese. Eppure l’Italia ha raramente commentato questioni relative ai diritti umani e alla democrazia in Tunisia, sia prima del 2011 sia dopo quest’estate. Quando sono emerse le notizie che nell’ambito di ventiquattro ore dalla presa del potere di Saïed 600 migranti erano partiti in barca per l’Italia, Rached Ghannouchi [foto sotto, N.d.T.], Presidente del Parlamento della Tunisia, parlando con il Corriere della Sera, uno dei maggiori giornali italiani, ha avvertito sulle [possibili, N.d.T.] ondate di migrazione se l’ordine democratico in Tunisia non fosse stato ripristinato. A Roma hanno iniziato a squillare i campanelli d’allarme. Le autorità tunisine sono state pronte a indicare alle loro controparti italiane che avevano il controllo della situazione e impiegavano enormi operazioni di sorveglianza sulla costa. Ancora a dicembre 2021, nessun delegato italiano è stato inviato in Tunisia e Saïed ha avuto solo una telefonata con il Primo Ministro italiano Mario Draghi e nessuna con il Presidente Sergio Mattarella. I leader italiani sembrano ritenere la democrazia in Tunisia una considerazione secondaria fino a che sia mantenuta la stabilità e non siano danneggiati gli interessi nazionali dell’Italia.
La posizione della Francia è leggermente diversa. La Francia è il primo partner commerciale della Tunisia. Nel 2011 il governo francese ha ritenuto che i suoi interessi nel Paese fossero minacciati. Inoltre, Parigi era preoccupata per l’instabilità che ha afflitto la Tunisia negli anni 2010, che si è tradotta occasionalmente in migrazione e terrorismo in uscita. Alcuni degli attentati terroristici più sanguinosi che hanno scosso la Francia negli ultimi anni sono stati opera di cittadini tunisini, come l’attentato di Nizza del 2016. Inoltre, la Francia, in quanto forte partner geo-politico di Egitto e Emirati Arabi Uniti, non ha approvato il riavvicinamento della Tunisia alla Turchia e al Qatar sotto an-Nahḍa. La mossa di Saïed, che ha messo da parte an-Nahḍa, ha segnato la fine di questa era e ha indebolito un concorrente della Francia; le dichiarazioni francesi sono state quindi più simpatetiche di quelle, diciamo, della Germania. Le telefonate tra Saïed e il Presidente francese Emmanuel Macron sono state piuttosto amichevoli e, come segnale per un ritorno ai normali affari, a settembre la Francia ha inviato due ministri a partecipare ad attività congiunte in Tunisia. Tuttavia, verso la fine del 2021, Parigi ha iniziato a esprimere un certo malcontento. Il Vertice Internazionale della Francofonia, che si sarebbe dovuto svolgere in Tunisia a novembre, è stato rinviato. E la Francia non ha mobilitato grandi quantità di finanziamenti per aiutare la Tunisia a uscire dalla crisi economica. Parigi vorrebbe vedere una road map politica e avere a Tunisi un interlocutore stabile.
Tuttavia, tra gli Stati europei è la Germania che più si è preoccupata per la democrazia in Tunisia. Berlino ha investito molto nella transizione tunisina. Quindi, quando Saïed ha inscenato la sua presa del potere, i funzionari tedeschi hanno rilasciato dichiarazioni irate, criticando Saïed e difendendo il governo democratico. Durante la sua unica telefonata con Saïed il 29 settembre, Angela Merkel, Cancelliere tedesco di lunga data e uscente, ha ribadito questo punto. E quando il Ministro Federale degli Affari Esteri tedesco [il social-democratico Heiko Josef Maas, N.d.T.] ha visitato Tunisi a metà ottobre, ha anche sottolineato la necessità che la Tunisia consolidi le sue istituzioni democratiche. Tuttavia, le elezioni tedesche del settembre 2021 hanno in qualche modo diluito il suo attivismo e la sua influenza in politica estera e per ora ha tenuto Berlino un po’ lontana dalla politica tunisina.
COSA PUÒ FARE L’UE?
Gli Europei dovrebbero agire con decisione su più fronti per cercare di incoraggiare un ritorno alla democrazia in Tunisia.
Per cominciare, gli Europei dovrebbero fare tutto il possibile per aiutare ad alleviare i problemi economici della Tunisia. L’UE dovrebbe mettere immediatamente a disposizione fondi per questo scopo. Bruxelles dovrebbe sforzarsi di espandere i progetti di assistenza nelle aree tradizionalmente emarginate lontane da Tunisi e dalle zone costiere tunisine, visto che queste ultime località sono già state inondate da tali progetti. L’Europa dovrebbe usare le sue competenze e le nuove tecnologie disponibili per aiutare la Tunisia a modernizzare il suo settore agricolo e costruire infrastrutture per le energie rinnovabili, campi che possono offrire alla Tunisia un vantaggio comparativo e che possono aiutare a migliorare rapidamente le prospettive economiche del Paese. Considerato che il governo tunisino ha un comprovato primato negativo nello spendere in tempo tutti i fondi che riceve, gli Europei dovrebbero dare la priorità a soggetti diversi dalle autorità centrali, compresi i sindacati del Paese, le organizzazioni della società civile, i consigli locali e le aziende private.
Ci sono altri passi che l’Europa può intraprendere per aiutare a porre la Tunisia su una base economica più solida. Se e quando riprenderà la normalità politica, gli Europei dovrebbero incentivare la cooperazione, coltivando più partenariati tra i comuni europei e tunisini. Questo tipo di cooperazione migliorerebbe il lavoro amministrativo locale e faciliterebbe progetti di sviluppo incentrati sul territorio. Per questo tentativo potrebbero essere scelte le città europee con il maggior numero di residenti tunisini, favorendo ulteriori investimenti e sviluppo economico. Inoltre, l’UE deve lavorare alla formulazione di un’alternativa alla DCFTA. Sulla scia della presa di potere di Saïed e della quasi-sospensione della Costituzione, è tempo di un nuovo quadro che consideri in modo trasparente le lamentele e i commenti dei normali Tunisini, rispondendo allo stesso tempo alle esigenze e alle richieste europee.
L’Europa dovrebbe anche considerare i modi per contribuire a stimolare le riforme politiche in Tunisia. Un modo potrebbe essere un progetto congiunto Tunisia-UE dedicato a dare alla Tunisia un Parlamento moderno e pienamente democratico. Il Parlamento congelato del Paese era debole e con risorse insufficienti. I modelli europei (soprattutto quelli degli Stati di recente democratizzazione) possono aiutare. Evitare gli intoppi del precedente Parlamento aiuterebbe la Tunisia a costruire un futuro politico più sostenibile.
Guardando oltre i confini della Tunisia, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero esercitare pressioni sui partner autoritari regionali, tra cui Egitto, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, nonché Qatar e Turchia, affinché smettano di intromettersi negli affari tunisini. Questi Paesi hanno minato la promozione della democrazia in Medio Oriente e Nord Africa per almeno un decennio, attraverso i loro imperi dei media e dei social media, i loro delegati politici e militari o il loro diretto coinvolgimento diplomatico e militare. Ora che la Tunisia mette in discussione la necessità della democrazia e allo stesso tempo cerca investimenti esterni, probabilmente uno di questi due raggruppamenti regionali cercherà di intervenire. L’asse saudita-emiratino-egiziano continua a cercare un riavvicinamento con Tunisi. L’UE deve scongiurare questa minaccia alla democrazia.
Di conseguenza, l’UE dovrebbe lavorare a lungo termine per contrastare le teorie del complotto e la disinformazione che circolano in Tunisia, che sono spesso amplificate da altre potenze regionali che si contendono l’influenza. Gli Europei dovrebbero farlo consultandosi con Facebook, dato che il colosso dei social media è uno dei principali strumenti per diffondere la disinformazione online e le teorie del complotto in Tunisia. Nessuna sana democrazia può radicarsi e funzionare correttamente se le teorie del complotto e la disinformazione continuano a diffondersi a questo ritmo.
L’UE e i suoi Stati membri si chiedono come possono ricalibrare le loro relazioni con la Tunisia nel medio termine, soprattutto se la giovane democrazia del Paese continua a deragliare. La questione delle sanzioni è sul tavolo, ma sarebbe una strada rischiosa: Tunisi potrebbe ancora trovare il modo per ottenere investimenti da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La Cina potrebbe persino vedere la situazione come una buona opportunità per cercare una testa di ponte geo-politica in Nord Africa. Come ha dimostrato la Libia, gli alleati dell’Europa possono collaborare con i nemici dell’Europa se ciò soddisfa i loro interessi. Inoltre, la popolarità di Saïed, l’immagine danneggiata dell’UE in Tunisia e un forte senso di nazionalismo renderebbero controproducenti le sanzioni europee; per molti Tunisini tali misure potrebbero sembrare un’aggressione imperialista che andrebbe ad alimentare la narrativa populista del Presidente. I leader dell’UE devono trovare modi creativi per erogare fondi, assicurandosi di non sostenere alcun impulso dittatoriale nel Paese. L’UE non dovrebbe rischiare la prospettiva di restare a guardare e lasciare che la Tunisia cada semplicemente preda del populismo e di un autoritarismo risorgente.
* Youssef Cherif è un analista politico specializzato in questioni nordafricane. È Direttore del Columbia Global Center di Tunisi, membro del Civic Research Network di Carnegie e contribuisce a una serie di think-tanks. In precedenza è stato responsabile del Progetto Al-Maidan Libya presso l’Institute for War and Peace Reporting (IWPR) ed esperto affiliato all’Institut Tunisien des Études Stratégiques (ITES). È stato consulente dell’Arab Institute for Business Managers (IACE), dell’ONU, del Carter Center in Tunisia, ecc. Ha conseguito un Chevening Master of Arts in Relazioni Internazionali presso il Department of War Studies del King’s College di Londra e un Fulbright Master of Arts in Studi Classici presso la Columbia University, dove è arrivato per la prima volta come Visiting Scholar. Commenta o scrive regolarmente per diversi media, tra cui Al Jazeera English, France 24, BBC, Fanack e think-tank come il German Council on Foreign Relations (DGAP), l’Institut Europeu de la Mediterrània (IEMed) e Atlantic Council.