Pakistan-India – Lo spettro di una guerra dell’acqua

L’India sta sempre più minacciando l’intesa raggiunta con il Trattato sull’Acqua dell’Indo

di Syeda Mamoona Rubab*

Libera traduzione da: The Friday Times, 23 Dec 2016

La situazione del Pakistan sull’accordo di compartecipazione dell’acqua con l’India sta solo peggiorando.

È più di una settimana che la Banca Mondiale, cedendo alla pressione indiana, ha optato per una pausa in merito alle distinte richieste di Islāmābād e Dehlī. Questi hanno chiesto la nomina di un “Presidente del Consiglio Arbitrale” ed “esperto neutrale” per quello che è stato descritto come consenso di entrambe le parti a prendere in considerazione modi alternativi per risolvere la loro disputa sui progetti di impianti di energia elettrica e idroelettrica di Kishanganga e Ratle che l’India sta costruendo nel Kashmir occupato. I funzionari pakistani sono ancora indecisi su come rispondere alla mossa della Banca Mondiale che compromette chiaramente i loro interessi.

“Il Ministero competente sta ancora meditando sulla questione”, ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri Nafees Zakaria, riflettendo l’indecisione sul versante pakistano. Nel frattempo, l’India aveva subito accolto la mossa con favore. La posizione indiana è stata che “è motivo di soddisfazione che il nostro punto di vista sia stato ora riconosciuto dalla Banca Mondiale. Noi crediamo che a queste consultazioni debba essere dato un tempo adeguato”.

La Banca Mondiale dovrebbe inviare una delegazione sia in Pakistan sia in India per sollecitarli a discutere bilateralmente la questione, ma sono scarse le probabilità che i due possano sedersi a un tavolo per risolvere la questione, soprattutto in un momento in cui la comunicazione diplomatica è interrotta. Lo stesso governo indiano, occorre ricordarlo, aveva sospeso i colloqui con il Pakistan riguardo a due progetti davanti alla Commissione Permanente dell’Indo, che prevede la ricezione e analisi dei reclami ai sensi del Trattato sull’Acqua dell’Indo (IWT) [firmato a Karachi il 19 settembre 1960, N.d.T.], ora destabilizzato.

Anche se la Banca Mondiale precisa che la “pausa” è stata imposta per salvare l’IWT dal peso delle pressioni, il ritardo nell’avvio della risoluzione delle controversie opera a vantaggio dell’India, che continua con i due progetti. L’avanzamento che l’India realizza su tali progetti, dicono gli esperti, non sarebbe reversibile, a prescindere dall’esito di eventuali arbitrati o mediazioni, qualunque sia il percorso della procedura.

Controversie nel quadro dell’IWT sono state una prassi normale, tanto più che il Trattato è sbilanciato a favore dell’India. Il suo silenzio sul numero di dighe che l’India può costruire sui fiumi occidentali (l’Indo, il Jhelum e il Canāb) [nel grafico sopra, N.d.T.], assegnati al Pakistan ai sensi del Trattato, è solo un esempio. Ma il Trattato, che in passato ha resistito a guerre e crisi, è stato di recente sottoposto a speciali pressioni dopo l’attacco di militanti contro un campo militare a Uri [nello Stato indiano di Jammu and Kashmir, N.d.T.]. L’India sta da allora calcolatamente alzando la pressione sul Pakistan, sempre più utilizzando l’acqua come arma della sua diplomazia coercitiva.

Inizialmente la leadership indiana aveva accennato alla revoca del Trattato come “punizione” per il Pakistan, ma ben presto aveva modificato la sua posizione in direzione di una rivisitazione dell’accordo e, più recentemente, verso il massimo impiego delle acque dei tre fiumi orientali (Biyās, Rāvī e Satluj). Una riunione di esperti è stata convocata dal governo indiano per analizzare le sue opzioni, ma si è conclusa con la consapevolezza che le scelte sono limitate. Le disposizioni dell’IWT stabiliscono chiaramente che il Trattato non possa essere revocato unilateralmente. L’articolo 12 (4) dell’IWT statuisce che “le disposizioni del presente Trattato … continuano a vigere sino alla sottoscrizione di un trattato a tal fine debitamente ratificato dai due governi”. Di conseguenza, per annullare l’IWT ci deve essere un successivo trattato.

Il Pakistan, le cui acque sono altamente sfruttate e che dipende in larga misura dall’acqua che vi fluisce dai tre fiumi occidentali assegnatigli ai sensi dell’IWT, non potrebbe permettere che ciò accadesse. “Il Pakistan non accetterà alcuna modifica o cambiamento alle disposizioni del Trattato sulle Acque dell’Indo. La nostra posizione si basa sui principi sanciti dal Trattato. E il Trattato deve essere onorato in … lettera e spirito”, ha detto in un’intervista Tariq Fatemi, Assistente Speciale del Primo Ministro per gli Affari Esteri.

Quindi, giuridicamente l’India non sarebbe in condizione di annullare il Trattato. Retorica a parte, la revoca dell’IWT comporterebbe conseguenze legali, politiche e diplomatiche per l’India. L’India stessa è un Paese ripariale minore rispetto alla Cina, che pure potrebbe promuovere misure analoghe contro di essa. Al contempo, anche Nepal, Bangladesh e Myanmar sono Paesi ripariali minori rispetto all’India e una simile azione li farebbe pure diffidare della stessa.

Inoltre, tecnicamente l’India non è in condizione di bloccare i flussi d’acqua dei tre fiumi occidentali. Le opzioni cui l’India può pensare, dicono gli esperti, sono impraticabili in quanto sono eccessivamente onerose.

Ma la volontà dell’India di utilizzare il ricatto IWT porta ad una conclusione allarmante: ritorna lo spettro che l’India logori il Pakistan attraverso un’offensiva dell’acqua, anche se l’IWT, considerato uno degli accordi internazionali di maggior successo, garantisce che una tale eventualità non accada.

L’India potrebbe farlo manipolando i flussi dei fiumi per danneggiare l’agricoltura pakistana. La sua capacità di farlo potrebbe aumentare, dal momento che i progetti avviati per lo stoccaggio dell’acqua progrediscono. Il governo indiano, nonostante la sua posizione sull’IWT evolva, si sta gradualmente spostando verso l’adozione di una strategia IWT più dura. La scorsa settimana Dehlī ha notificato un organismo molto autorevole per decidere misure strategiche sull’IWT.

La situazione pone una seria sfida per il combattente Ministero degli Esteri del Pakistan, che dovrebbe sollevare la questione a livello internazionale. “Portare le recenti minacce, dichiarazioni e azioni dell’India all’attenzione del Segretario Generale dell’ONU (ai sensi dell’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite) e del Consiglio di Sicurezza”, suggerisce l’esperto di diritto internazionale Ahmer Bilal Soofi.

 

* Giornalista indipendente basata a Islāmābād

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