Islamic World Analyzes, sensibile ai richiami di Muḥammad Yunus, pioniere nel campo del microcredito e della microfinanza, ritorna sulla tragedia che colpisce i Rohingya del Myanmar. Dopo essersene interessato già dai primi mesi della sua attività ad aprile del 2013 (quando l’Organizzazione della Cooperazione Islamica chiedeva l’azione dell’ONU a difesa dei Musulmani birmani), IWA offre ai suoi lettori due articoli in successione (uno del 21 ottobre, l’altro del 7 aprile scorso) con due obiettivi: mobilitare la comunità internazionale per porre fina al genocidio dei Rohingya e salvarne la sopravvivenza; contribuire ad individuare le responsabilità legali e morali, le prime sicuramente in capo ai governi, le seconde anche in capo a quelle organizzazioni internazionali preposte e a quelle associazioni dei corpi intermedi che da anni brillano per la loro insensibilità e inerzia. Il tutto mentre in altre situazioni sbandierare i diritti umani serve come paravento alla promozione di insensate guerre.
Islamic World Analyzes, feeling a call by Muḥammad Yunus, a pioneer of microcredit and microfinance, reports back on the tragedy affecting the Rohingya of Myanmar. After having been interested in since the early months of its activity in April 2013 (when the Organization of Islamic Cooperation called for the UN’s action to defend Burmese Muslims), IWA offers its readers two articles sequentially (the prior of October 21st, the latter of April 7th) with two goals: to mobilize the international community to end the Rohingya’s genocide and save their survival; to help identify legal and moral responsibilities, the first certainly lain with governments, the latter also with those charged international organisations and those associations of intermediate bodies that for years have been shining for their insensitivity and inertia. All this, while in other situations flaunting human rights serves as a smokescreen to promote senseless wars.
Libera traduzione da: Al Jazeera, 21 Oct 2017 14:11 GMT
In quello che le Nazioni Unite hanno definito “un esempio di pulizia etnica da manuale”, nelle ultime settimane più di mezzo milione di Rohingya a maggioranza musulmana sono fuggiti dal Myanmar verso il vicino Bangladesh [secondo una notizia Ansa del 23 ottobre, che cita un nuovo rapporto dell’Onu, sono oltre 600 mila dallo scorso 25 agosto, quando sono scoppiate le violenze nello Stato di Rakhine, N.d.T.].
Le forze di sicurezza del Myanmar e vigilantes buddhisti sono stati accusati di stupro di massa, omicidi e incendi di interi villaggi.
Muḥammad Yunus [nella foto sotto, N.d.T.], Premio Nobel per la Pace ed economista, ha attribuito la colpa ad Aung San Suu Kyi, leader de facto [del Myanmar, detenendo la carica di Consigliere di Stato con i poteri di un Primo Ministro, N.d.T.] e sua collega Nobel per la Pace.
“Dò il 100 per cento della colpa a lei, perché lei è il leader”, ha detto Yunus.
Quando gli è stato chiesto se il potere in Myanmar sia esercitato dalle Forze Armate e queste la rendano essenzialmente impotente, Yunus ha risposto: “Be’, allora dovrebbe dimettersi”.
Yunus ha anche affermato che, rimanendo nel governo, Aung San Suu Kyi sta “assolutamente” dando la sua benedizione ai militari e alle loro azioni in Myanmar.
“Non solo, verbalmente le difende”, ha aggiunto. “Lei dice «non so perché queste persone se ne stiano andando. No, non abbiamo atrocità. No, sono gli Arakanesi [gli abitanti dello Stato di Rakhine, in passato Arakan, N.d.T.] che ci stanno attaccando». Di tutto … Lei ha tutta colpa e lei è responsabile e deve risolvere il problema”.
Myanmar – Aung San Suu Kyi nega la pulizia etnica dei Rohingya
Libera traduzione da: Al Jazeera, 6 Apr 2017
Il leader del Myanmar Aung San Suu Kyi [nella foto sotto, N.d.T.] ha negato che le forze di sicurezza abbiano effettuato la pulizia etnica dei Musulmani Rohingya del Paese, nonostante l’ONU e gruppi dei diritti umani dicano che una repressione da parte delle Forze Armate possa essere un crimine contro l’umanità.
Decine di migliaia di persone sono fuggite dallo Stato di Rakhine del Myanmar da quando lo scorso ottobre [l’anno scorso, N.d.T.] i militari hanno iniziato un’operazione di sicurezza in risposta a quello che loro dicono sia stato un attacco da parte di uomini armati Rohingya ai posti di frontiera, in cui sono stati uccisi nove poliziotti.
Un rapporto delle Nazioni Unite di febbraio dice che la campagna delle Forze Armate contro i Rohingya ha comportato uccisioni di massa, stupri di gruppo e l’incendio di villaggi, probabilmente corrispondenti a crimini contro l’umanità e pulizia etnica.
Nel vicino Bangladesh, dove più di 75.000 Rohingya sono fuggiti per evitare la repressione, la gente ha fatto macabri resoconti di orrendi abusi dei militari, tra cui quelli da parte di soldati che avrebbero ucciso un bambino di otto mesi mentre cinque agenti di sicurezza violentavano sua madre.
“Quale tipo di odio può fare che un uomo pugnali un bambino che piange perché vuole il latte di sua madre”, ha detto in una dichiarazione [S.A.R. il Principe giornano, N.d.T.] Zeid bin Ra’ad Zeid al-Ḥuseyn, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. “Che tipo di «operazione di pulizia» è questa? Quali obiettivi di sicurezza nazionale potrebbero giustificare questo?”.
“Un’espressione troppo forte”
Aung San Suu Kyi, vincitrice del Nobel e la cui stella internazionale come difensore dei diritti umani è in calo per il trattamento dei Rohingya, non ha condannato la repressione e non ha parlato in difesa della minoranza perseguitata.
Invece, ha chiesto tempo per gestire il problema in un Paese dove più di un milione di Rohingya non sono riconosciuti come minoranza etnica e sono ampiamente denigrati come immigrati “illegali” dal Bangladesh – anche se molti hanno vissuto per generazioni nel Myanmar a maggioranza buddhista.
In una rara intervista alla BBC trasmessa mercoledì, Aung San Suu Kyi ha detto che pulizia etnica era un termine “troppo forte” per descrivere la situazione in Rakhine.
“Io non credo che ci sia una pulizia etnica in corso”, ha detto.
“Penso che pulizia etnica sia un’espressione troppo forte da utilizzare per ciò che sta succedendo”.
Aung San Suu Kyi ha anche detto alla BBC che c’era “molta ostilità” in Rakhine.
“Sono Musulmani che uccidono Musulmani, anche se pensano di collaborare con le autorità.
“Non è solo una questione di pulizia etnica. Si tratta di una questione tra persone di opposte fazioni e stiamo cercando di fermare questa divisione. Nel miglior modo possibile e non ampliandola ulteriormente”, ha detto.
Il Myanmar ha lanciato la propria indagine su possibili crimini in Rakhine e ha nominato Kofi Annan, l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, per dirigere una commissione [consultiva e costituita prima delle violenze, N.d.T.] incaricata di rimarginare le divisioni a lungo latenti tra Buddhisti e Musulmani.
Il mese scorso il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha deciso di inviare una missione d’inchiesta per esaminare le accuse di tortura, omicidio e stupro commessi da parte delle truppe.
Aung San Suu Kyi ha detto che le Forze Armate “non sono libere di stuprare, saccheggiare e torturare”.
“Sono libere di entrare e combattere. E, naturalmente, questo è nella Costituzione … Le questioni militari devono essere lasciate ai militari”, ha detto, aggiungendo che mirava a modificare la Costituzione, che permette il totale controllo militare della difesa.
Nell’intervista, Aung San Suu Kyi ha anche cercato di rassicurare coloro che sono fuggiti sul fatto che “se tornano saranno al sicuro”.
La sua Lega Nazionale per la Democrazia [Aung San Suu Kyi è Presidente di questo partito attualmente al governo, N.d.T.] ha affrontato le urne sabato scorso in elezioni straordinarie in tutto il Paese, vincendo una sfilza di seggi, ma perdendo in zone abitate da minoranze etniche, tra cui Rakhine.
La LND [fondata nel 1988 e attualmente osservatore presso il Consiglio dei Liberali e Democratici Asiatici, N.d.T.] è salito al potere in una storica elezione del 2015 che ha concluso mezzo secolo di brutale governo militare, ma c’è stata una disillusione verso l’Amministrazione mentre si sforza di spingere verso le riforme e l’attenuazione dei disagi.