Libia – Gli Stati Uniti stanno ripetendo vecchi errori?

di Hassan Mansour*

Libera traduzione da: Geopolitical Monitor, March 25, 2021

Durante una sessione del Parlamento Libico nella città orientale di Tobruk il 15 marzo, il nuovo Primo Ministro ʿAbdul Hamid Dbeibah [foto sotto, N.d.T.] e i membri del Consiglio Presidenziale in carica guidato da Moḥamed al-Menfi hanno prestato giuramento costituzionale e sono diventati ufficialmente capi del Governo di Unità Nazionale (GNU) ad interim della Libia.

Questo storico incontro della Camera dei Rappresentanti, che dovrebbe porre fine a molti anni di diarchia e lotta per la leadership politica, non era del tutto prevedibile, ma piuttosto il risultato tanto atteso di un lento processo sotto gli auspici delle Nazioni Unite.

Stephanie Williams, il diplomatico americano che ha assunto la responsabilità della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite in Libia [UNSMIL, N.d.T.] dopo le dimissioni di Ghassan Salamé, ha avviato il Libyan Political Dialogue Forum. La piattaforma si è rivelata cruciale nel determinare la forma attuale del GNU. Di conseguenza, molti Libici si riferiscono con scetticismo alla nuova Amministrazione come il “governo Stephanie”.

Il successo dell’iniziativa mediata dalla Williams ha coinciso con l’elezione del democratico Joe Biden a Presidente degli Stati Uniti e con il rianimato interesse di Washington a riconsiderare la sua posizione sul conflitto libico. Molto prima che Biden entrasse in carica, i rappresentanti del Partito Democratico e del Dipartimento di Stato USA avevano compiuto sforzi concertati per abbandonare la politica di non interferenza e riduzione della presenza militare all’estero, qualcosa cui il repubblicano Donald Tramp aveva tentato – o almeno così aveva affermato – di aderire durante il suo mandato presidenziale. Ma l’Amministrazione Trump e il Senato dominato dai repubblicani erano riusciti a domare il Dipartimento di Stato e ad assicurare che la politica estera nei confronti dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa rimanesse sostanzialmente invariata.

La vittoria di Biden alle elezioni presidenziali, così come la conquista della maggioranza al Congresso, ha dato il via libera alla ripresa dell’espansione politica e militare degli Stati Uniti in Libia, che i Democratici hanno così insistentemente chiesto. Il cambio di potere a Washington si è già fatto sentire nelle dichiarazioni di Stephanie Williams, Capo ad interim dell’UNSMIL, che ha accusato John Bolton, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti, di aver scatenato il conflitto armato tra il Governo di Accordo Nazionale e l’Esercito Nazionale Libico guidato da Khalīfa Ḥaftar [a sinistra, N.d.T.]. La Williams ha detto che è stata la conversazione con Bolton che ha spinto Ḥaftar a lanciare un’offensiva militare su Tripoli nell’aprile 2019.

Tali dichiarazioni del Capo della Missione diplomatica delle Nazioni Unite indicano chiaramente un drastico cambiamento nel clima politico a Washington. Mettendo da parte il principio di non intervento, gli Stati Uniti partecipano sempre più al processo di pace e si rivolgono alle parti in conflitto. Nel tentativo di competere con le altre parti straniere interessate e ripristinare l’influenza parzialmente persa durante il regno di Trump, Washington ha acquisito l’abitudine di ricorrere a interventi verbali che condannano l’interferenza di Stati stranieri negli affari interni della Libia. Gli Stati Uniti hanno anche adottato il Libya Stabilization Act, che prevede sanzioni contro tutti coloro che “minacciano la pace e la stabilità” nel Paese nordafricano. L’elenco degli Stati le cui attività sono state considerate sospette da Washington comprende quasi tutti i Paesi coinvolti in un modo o nell’altro nel conflitto libico: Turchia, Russia, Emirati Arabi Uniti, Qatar ed Egitto.

Molti analisti suggeriscono che gli Stati Uniti stiano cercando di impedire a Russia e Turchia di rafforzare il loro controllo sulla regione. Allo stesso tempo, la “minaccia russa” e la “minaccia turca” sono state utili per giustificare davanti al pubblico americano gli sforzi di Washington per aumentare l’attività militare e diplomatica nel teatro libico.

Tuttavia, nel tentativo di mettere da parte i Paesi interessati ed escluderli dalla soluzione politica e dalla ricostruzione post-bellica, gli Stati Uniti rischiano di rovinare il fragile equilibrio del Paese, ripetendo i vecchi errori.

L’ex Presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha ripetutamente espresso il suo rammarico per la Libia, definendo il peggior errore della sua presidenza l’incapacità della Casa Bianca di prepararsi alle conseguenze della cacciata del Leader libico Mu‘ammar Gheddafi [i due leader nella foto sotto, N.d.T.]. La mancanza di un piano d’azione da parte degli Stati Uniti, assieme alla cieca convinzione della propria legittimità, ha fatto precipitare la nazione nordafricana in una serie di guerre senza fine e crisi economiche. In effetti, la Jamāhīriyya [ufficialmente Dawlat Lībīyā, N.d.T.], con le sue istituzioni democratiche non sviluppate, è apparsa semplicemente impreparata a progressive riforme del sistema politico autocratico. Nel frattempo, i Paesi occidentali hanno voltato le spalle alla Libia, lasciandola sola durante le prime fasi della crisalide della sua statualità appena rivendicata.

Pertanto, per non cadere nella stessa trappola, gli Stati Uniti, così come altri Paesi, se vogliono davvero aiutare la Libia, devono sviluppare un concreto piano d’azione di lungo termine, che tenga conto degli interessi di tutte le parti coinvolte. Questo stesso problema è stato al centro della complessità del conflitto libico, che da tempo si è evoluto da guerra civile a confronto ibrido tra più Stati stranieri.

Un compromesso tra attori interni ed esterni in Libia è difficile, ma non impossibile da raggiungere. Anche se probabilmente ci vorrà più tempo per trovare una strada e seguirla, questa è senza dubbio la pietra angolare di una soluzione sostenibile del conflitto.

 

* Hassan Mansour è un giornalista indipendente libico e collabora con molti organi di stampa regionali. Concentra i suoi studi sulla Primavera Araba e sui conflitti nell’area MENA, in particolare in Libia.

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