Cade l’ipotesi di un “coup d’état chirurgical” contro Trump, vittima della “maledizione di Sulaimānī”. La debole democrazia americana scopre l’inutilità della sua presunta potenza e vacilla per un piccolo gruppo estremista, perché il virus (il Trumpismo) è interno e non si può sconfiggere con le grandi portaerei o con le bombe atomiche. Il prossimo Presidente Biden la cura? Lo vedremo: la vera discontinuità rispetto al predecessore è tutta da testare.
di Glauco D’Agostino
Era il 15 luglio 2016 quando la Turchia subiva il tentativo di colpo di stato, poi fallito per la determinazione del suo Presidente Erdoğan nel difendere le istituzioni e lo Stato democratico. Niente di paragonabile alla farsa andata in scena l’altro ieri a Washington. A Istanbul tuonavano i cannoni, a Washington abbiamo visto in strada sciamani e Batman con i loro meravigliosi costumi. Tanto è bastato perché il neo-eletto Presidente Biden la definisse “insurrezione” di “un limitato numero di estremisti” e poco più avanti nello stesso discorso invocasse la “benedizione per le Forze Armate”.
Tanto è bastato perché la grande potenza mondiale vacillasse sotto i colpi (alla fine piuttosto propagandistici) inferti dalle stesse proprie istituzioni. Durante le lunghe ore concitate gli Americani e il mondo intero si sono domandati: chi comanda a Washington? Il Presidente Trump è d’accordo con gli assalitori che pestano le istituzioni, il Vice Presidente Pence scavalca il proprio Presidente e ordina di schierare la Guardia Nazionale, Biden si affida a Dio e alle Forze Armate, molti invocano il 25° Emendamento per estromettere il Presidente, in pratica un colpo di Palazzo, ma legale. Chi ricorda il “coup d’état chirurgical” attuato su indicazione del Presidente del Consiglio italiano Craxi, che “legalmente” estromise Bourguiba ai sensi dell’art. 57 della Costituzione tunisina? Espedienti da terzo mondo, oggi invocati negli Stati Uniti fuori controllo e senza guida riconosciuta. La disputa è tra avversari agguerriti e ricorda quella tra i Red Sox di Boston e gli Yankee di New York. Ma forse il vero “ruler” è Jack P. Dorsey, il tycoon di Twitter, il quale, giudicando insindacabilmente che il Presidente Trump sia un pericolo per la democrazia, lo censura sul proprio social network. E si sa, l’essenza della democrazia sono i social network. Siccome l’Occidente è erede della civiltà greca, se ne deduce che i Greci già raccomandavano i social network come essenza della democrazia.
Non sto scherzando e non sto celiando nessuno. Si chiama inversione della logica socratica. È quanto succede giornalmente nelle esibizioni di grandi politologici. Questi, soprattutto quelli americani ma non solo, da sempre giocano con le parole, spiegandoci che la democrazia per definizione non ricorre alla forza, ma quando serve deve essere imposta con la forza, specialmente in Iraq e Afghanistan, oggi note per la loro democrazia. Ci hanno spiegato per decenni che sì, quando uno vince le elezioni democratiche è lecito buttarlo giù in nome della democrazia, come quando Haniyeh le vinse in Palestina o quando Morsi le vinse in Egitto. O peggio (questione innominabile) quando il Fronte Islamico di Salvezza vinse le elezioni in Algeria. Ovviamente, la logica vale per il terzo mondo. La democrazia in America è forte e forte resterà. Solo che, quando ci si abitua ad un concetto di democrazia come quello appena descritto, è difficile controllarne i prodotti politici o, meglio, culturali. Alla fine qualcuno (il virus interno) si convince che questi sono i metodi e, alla fin fine, metà del popolo è con te. Quindi!
Gli Stati Uniti sperimentano oggi al proprio interno il virus che hanno diffuso attraverso la propria politica estera. Chi? I Democratici? I Repubblicani? Il maledettissimo Trump? Veramente, il solo Presidente americano non so da quanti decenni a non avere guerreggiato attorno al mondo si chiama Donald Trump! Trump chi? Il reo-confesso mandante dell’omicidio Sulaimānī? Sì, proprio lui. C’è poco da stare allegri. Alla leadership americana (e forse alla maggior parte dei suoi cittadini, che la esprimono) manca il senso etico. È tutta tattica, affermazione di potere, egocentrismo, controllo della comunicazione. Prima o poi chi ha insegnato questi “nuovi” principi se li ritrova rivoltati contro. Ma, nonostante tutto, continua a non capire. Proprio come già successo nel mondo comunista dominato dall’URSS con la storiella dei “compagni che sbagliano”. Agli Stati Uniti serve un corso di rieducazione democratica. Perché, se anche questa volta ci propineranno la storia dei “compagni che sbagliano”, allora non c’è da aspettarsi che le prossime presidenze (volenterose e illuminate che siano) possano ritrovare il senso e lo spirito di quella democrazia greca che invocano come guida di civiltà.
Perché questo articolo comincia ricordando il tentato colpo di stato in Turchia? Solo una forzatura? No. Perché quella vicenda è esemplare. Gli Stati Uniti di Obama e del suo Vice Presidente tergiversarono non poco prima di schierarsi dalla parte della democrazia e del suo alleato NATO. Subito dopo (e l’atteggiamento ancora persiste), tutto l’Occidente (e ripeto tutto l’Occidente) incominciava la battaglia politica contro le istituzioni turche, tentando di minarne le basi democratiche, imponendo sanzioni, strizzando l’occhio a possibili colpi di teatro, mobilitando i mass media contro il “Sultano”, mentre a Washington cresceva un “Boss”, ma democratico. Ecco le verità “politicamente scorrette” che i social network non diffondono perché non profittevoli. D’altra parte, se Dorsey può censurare il Presidente degli Stati Uniti, perché non potrebbe farlo con chiunque?
In definitiva, i fatti dell’altro ieri (una farsa, l’abbiamo già detto) hanno avuto il merito di scoperchiare l’incertezza della stabilità democratica di un Paese orgoglioso della propria potenza. Un potente forse sì, ma dai piedi d’argilla!