Kuwait – Il ricordo di Sheykh Ṣabāḥ al-Aḥmad al-Jābir aṣ-Ṣabāḥ, Emiro per 14 anni

Era conosciuto come “il decano della diplomazia araba”

Islamic World Analyzes intende ricordare la figura dell’Emiro Sheykh Ṣabāḥ al-Aḥmad al-Jābir aṣ-Ṣabāḥ, oculato leader del piccolo Stato del Golfo scomparso il 29 settembre scorso dopo lunga malattia. In questo frangente, IWA propone il suo ricordo attraverso questo articolo pubblicato su The Guardian. Le riflessioni dell’autore tracciano un quadro equilibrato, sottolineandone le doti di statista propenso al dialogo, ma non tralasciando i ruoli divisivi e controversi, come ad esempio l’appoggio dato al colpo di stato egiziano che ha posto fine alla breve stagione di esperienza islamista democratica inaugurata dal Presidente Morsi. Al di là di qualsiasi opinione sul suo operato, Islamic World Analyzes rende omaggio all’uomo, ma anche alla sua statura politica, che lo ha reso uno dei leader più attenti e collaborativi del panorama arabo del Golfo.

di Ian Black*

Libera traduzione da: The Guardian,

L’Emiro del Kuwait, Sheykh Ṣabāḥ al-Aḥmad aṣ-Ṣabāḥ, morto all’età di 91 anni, ha governato il Paese per 14 anni e si è guadagnato il rispetto per l’impegno nel dialogo pacifico e l’unità tra gli altri Stati del Golfo, noti negli ultimi tempi per i loro litigi. Discreto, mite e apprezzato per i suoi legami personali con i suoi colleghi monarchi, Ṣabāḥ era conosciuto come “il decano della diplomazia araba”.

Dal 2017, tuttavia, quando i leader più giovani e assertivi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti hanno boicottato il loro rivale Qatar, ha trovato sempre più difficile svolgere il ruolo di mediatore regionale, ma gli è stata comunque attribuita la prevenzione di un’azione militare potenzialmente disastrosa. La guerra in Yemen, teatro della peggiore crisi umanitaria del mondo, è stata un’altra situazione da incubo.

L’Emiro Ṣabāḥ al-Aḥmad al-Jābir aṣ-Ṣabāḥ (a sinistra) con Re Salmān dell’Arabia Saudita

Il prestigio di Ṣabāḥ in diplomazia è stato aiutato dal fatto che ha governato un piccolo Paese con la sesta più grande riserva di petrolio al mondo. La sua longevità è stata un altro fattore. La reputazione che si è guadagnata per aver dato priorità all’unità del Golfo è anteriore alla sua ascesa formale al trono nel 2006.

Ha trascorso 40 anni – dal 1963 al 2003, con un breve intervallo – come Ministro degli Esteri del Kuwait. In questa veste, ha svolto un ruolo chiave nella creazione del Consiglio di Cooperazione del Golfo a sei nazioni nel 1981 e si è rammaricato di non essere stato in grado di risolvere la crisi del Qatar. Amava dire che un Paese non può scegliersi i suoi vicini – i più difficili dei quali sono l’Iraq, l’Arabia Saudita e l’Iran.

L’invasione nel 1990 da parte di Ṣaddām Ḥusayn, e la susseguente occupazione di sette mesi del Kuwait, è stata un’esperienza traumatica. Ṣabāḥ fuggì in Arabia Saudita con altri membri del governo in esilio e tornò dopo che l’operazione Desert Storm guidata dagli Stati Uniti liberò il Paese. Questo intensificò le già strette relazioni con Washington al punto che le Forze Armate USA utilizzarono il Kuwait per invadere l’Afghanistan e l’Iraq dopo gli attacchi del settembre 2001. Circa 13.000 dipendenti USA sono ancora basati lì.

Sotto la sua guida, all’indomani dell’era Ṣaddām, il Kuwait ha cautamente ricostruito le sue relazioni con Baġdād. Dal 2003 al 2006 è stato Primo Ministro al servizio del fratellastro Jābir al-Aḥmad [foto sotto, N.d.T.]. È diventato Emiro nel 2006, quando Jābir morì e suo cugino Saʿad al-ʿAbd Allāh si dimise dopo pochi giorni, quando il Parlamento incentivò la sua deposizione per motivi di salute.

Ṣabāḥ era nato nella famiglia che governa il Kuwait da più di 250 anni, proprio mentre la tradizionale industria delle perle del Paese stava crollando per essere sostituita dal petrolio. Era il quarto figlio di Aḥmad al-Jābir aṣ-Ṣabāḥ [Emiro dal 1921 al 1950, foto a lato, N.d.T.] e di sua moglie Munira al-Ayyar.

Fu istruito a livello locale, crescendo sotto il dominio britannico, e divenne Ministro degli Esteri due anni dopo che il suo Paese aveva ottenuto l’indipendenza nel 1961 e quando la Dinastia aveva consolidato la sua posizione. Da giovane amava guidare auto veloci e aveva un vivace senso dell’umorismo che contrastava nettamente con lo stile spesso delfico [cioè sibillino, N.d.T.] usato negli scambi diplomatici formali.

La politica interna del Kuwait era impegnativa quanto le questioni regionali. Il suo turbolento Parlamento ha più potere che in qualsiasi altra parte del Golfo, ma l’Emiro nomina ancora il Primo Ministro dalla sua stessa famiglia e ha l’ultima parola sugli affari di stato – una struttura che ha alimentato tensioni di lunga durata e spesso paralisi tra il governo e i parlamentari.

Il periodo della Primavera Araba, dalla fine del 2010, è stato particolarmente impegnativo, anche se il Kuwait ha visto meno proteste che altrove. Come i Sauditi, Ṣabāḥ ha utilizzato il denaro per sopprimere il pericolo di disordini. Apparentemente per celebrare sia il 50° anniversario dell’indipendenza nel 1961 sia il 20° anniversario della liberazione dalle forze iraqene nel 1991, a febbraio 2011 ha concesso circa 3.500 dollari a ogni cittadino kuwaitiano e ha annunciato che gli alimenti di base sarebbero stati gratuiti per due anni. Nel novembre dello stesso anno, il Parlamento fu preso d’assalto quando decretò una modifica alle regole di voto che avrebbe indebolito l’opposizione prima delle elezioni.

Nel 2013, quando i militari egiziani rovesciarono il Presidente islamista eletto Moḥammed Morsi, il Kuwait promise, con i Sauditi e gli Emiratini, 12 miliardi di dollari al nuovo governo nominato dalle Forze Armate al Cairo. Nel complesso, Ṣabāḥ non è riuscito ad affrontare questioni come i sussidi statali e gli alti livelli di occupazione nel settore pubblico. Tra i lati positivi, il Kuwait ha goduto di una stampa in gran parte libera, di un vivace dibattito politico e di standard di diritti insolitamente elevati per le donne, alle quali è consentito votare dal 2005.

E nel giugno 2015 visitò una moschea sciita che era stata attaccata dallo Stato Islamico con un attentato suicida, provocando 27 morti e oltre 200 feriti. È stato elogiato in Patria e all’estero per la sua comprensione, [quella, N.d.T.] di cui ha bisogno un governante musulmano sunnita perché gli sia riconosciuto di combattere il settarismo e condannare il terrorismo.

Tuttavia, il dossier internazionale di Ṣabāḥ è stato migliore di quello nazionale. Nel 2014, le Nazioni Unite lo hanno nominato un “leader umanitario”. Nel 2018 ha ospitato un summit che ha visto la promessa di 30 miliardi di dollari per aiutare a ricostruire l’Iraq dopo la guerra contro lo Stato Islamico. Ṣabāḥ ha anche raccolto fondi per i Siriani che soffrono a causa della guerra civile nel Paese, ospitando conferenze di donatori internazionali.

Lo stemma del Kuwait

A livello regionale, è stato particolarmente favorevole alla causa palestinese – a differenza di Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che il mese scorso hanno firmato un importante accordo di “normalizzazione” con Israele. Il Kuwait ha inizialmente appoggiato l’intervento a guida saudita contro i ribelli ḥūthi nello Yemen, ma ha anche ospitato i negoziati per le parti in guerra e ha cercato di attenuare il conflitto.

Il rapporto speciale dell’Emirato con Washington lo ha beneficiato fino alla fine della sua vita: a luglio un ospedale volante US Air Force C-17 ha trasportato Ṣabāḥ dal Kuwait a Rochester, Minnesota, sede della Mayo Clinic.

Aveva sposato la cugina Fatuwah nel 1947, morta nel 1990. E suo figlio Aḥmad morì in un incidente nel 1969. Ṣabāḥ ha vissuto per anni in un palazzo noto come Dar Salwa, dal nome di sua figlia Salwa, morta di cancro nel 2002. Gli sopravvivono i figli Nāṣir e Ḥamad.

 

* Ian Black è stato per 36 anni editorialista del Guardian per il Medio Oriente, l’Europa e gli affari diplomatici e scrittore sui leader esteri. Ora è ricercatore anziano ospite presso il Middle East Center, LSE. Il suo ultimo libro è Enemies and Neighbors: Arabs and Jewish in Palestine and Israel, 1917-2017.

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