Kazakhstan – Il potere del “soft power”

di Marlene Laruelle, Director of the Central Asia Program at the Institute for European, Russian and Eurasian Studies (IERES), The Elliott School of International Affairs, George Washington University

Libera traduzione da: The Wasington Post, May 1, 2015, Monkey Cage series of Election Reports

Le elezioni presidenziali si sono svolte in Kazakhstan il 26 aprile 2015. Il Presidente in carica Nursultan Nazarbaev (a destra nella foto con il Presidente russo Putin) è stato rieletto con facilità con oltre il 97 per cento dei voti. La maggior parte dell’elettorato ha capito che l’elezione è stata organizzata per essere un voto di conferma per il Presidente. Nessuno si aspettava sorprese e non ce ne sono state. Come alle scorse elezioni, l’OSCE non ha ritenuto “libere e giuste” queste elezioni. La Commissione Elettorale Centrale ha migliorato le sue competenze e capacità tecniche e amministrative, ma nessuna opposizione organizzata è stata in grado di offrire reali alternative politiche e il Paese si colloca in basso negli indici sulla libertà dei media.

Eppure queste elezioni sono molto rivelatrici sia della situazione attuale del Paese, con la sua crisi economica in corso, sia dei meccanismi che le autorità utilizzano per legittimare se stessi.

Come tutti i governi dell’area post-sovietica, la legittimità del regime kazakho si basa su meccanismi clientelari – in altre parole, la ridistribuzione dei beni tra élite politiche e imprenditoriali colluse. Potenzialmente ancora più importante è la capacità del governo di mantenere il consenso sulla direzione di sviluppo selezionata dalle autorità. Il “soft power” viene utilizzato convenzionalmente in politica estera; Joseph Nye l’ha descritto come “la capacità di influenzare gli altri per ottenere i risultati voluti tramite attrazione, piuttosto che coercizione o pagamento”. Ma il “soft power” funziona anche in politica interna. I regimi che lo applicano sono in grado di costruire una narrazione plausibile sul percorso di sviluppo del Paese e di ottenere un sostegno sostanziale da parte della popolazione (secondo quanto studiato da politologi che lavorano sul Kazakhstan, come Edward Schatz, dell’Università di Toronto). In questo caso, il governo non ha bisogno di strumenti coercitivi per restare in carica e può investire più energie nel rafforzare i suoi strumenti di “soft power”.

Il successo del Kazakhstan è un modello per l’intera regione. La stragrande maggioranza della popolazione sostiene la cosiddetta politica estera multi-vettoriale del Paese e la capacità del Kazakhstan di distinguersi a livello internazionale attraverso il suo sostegno al multilateralismo e alle iniziative regionali, la posizione sulla denuclearizzazione e le sue campagne di prestigio in Occidente e in Asia. La popolazione approva anche la gestione interna della sovranità statuale: la politica di “buon vicinato” con i paesi limitrofi, i trattati di delimitazione delle frontiere siglati con ciascuno di loro, una narrazione dello Stato che resta inclusiva in termini di cittadinanza e identità nazionale, con la celebrazione del carattere multinazionale del Paese, una politica religiosa che offre uguali diritti all’Islam ufficiale e all’Ortodossia e il divieto di esprimere punti di vista troppo radicali, soprattutto per quanto riguarda il nazionalismo etnico kazakho.

Che questo “soft power” interno sia accompagnato da quello che i Paesi occidentali considerano violazioni dei diritti umani o dei valori democratici (libertà dei media, libertà religiosa) pesa poco sulla percezione della maggior parte della popolazione. Come si è visto sul terreno, ciò che conta di più è la stabilità complessiva della maggioranza, non i diritti individuali di coloro che non condividono il consenso generale. Questa realizzazione è uno dei più grandi successi del regime kazakho. Il consenso è basato su una gerarchia condivisa delle priorità tra le autorità politiche e la popolazione: cioè la sovranità dello Stato, la stabilità sociale e lo sviluppo economico. Questo contribuisce a sottostimare altri aspetti del regime, meno basati sul consenso: la corruzione a tutti i livelli dello Stato, élite invecchiate di alto livello che surclassano quelle giovani e ambiziose di livello intermedio, ampi divari persistenti tra i livelli di sviluppo di alcune regioni e quelli di aree urbane e rurali e la sensazione di alcuni giovani, in particolare nelle regioni occidentali produttrici di petrolio, di non avere alcun accesso alla mobilità verso l’alto.

È qui che la riconosciuta legittimità del regime incrocia l’attuale situazione economica, la quale minaccia direttamente il credito sociale stabilito tra le autorità e la popolazione. La popolazione si aspetta di acquisire stabilmente un crescente tenore di vita e di raggiungere livelli europei di benessere entro la metà del secolo (il programma statale collegato è chiamato Kazakhstan-2050).

Tuttavia, si sono accumulate difficoltà impreviste. Le condizioni di crisi economica sono diventate visibili nel 2014, ma sono peggiorate nel 2015, con un rallentamento della crescita stimata all’1,5 per cento annuo, anche se la prospettiva di Kazakhstan-2050 (nella foto in alto una tavola rotonda sul tema organizzata al Senato) è basata su assunzioni di crescita annua di almeno il 5 per cento ed inflazione stabilizzata al 3-4 per cento. All’inizio del 2014 l’improvvisa svalutazione della moneta nazionale, il tenge, ha scosso la popolazione e accelerato la dollarizzazione dell’economia. Il gigantesco campo di Kashagan, il più grande giacimento di petrolio scoperto al mondo negli ultimi 30 anni (ma anche un progetto petrolifero di quasi 50 miliardi di dollari USA, il più costoso del mondo), non si prevede possa riprendere la produzione fino al 2017, dopo un decennio di proroghe, e le autorità e gli investitori stranieri richiederanno alti prezzi del petrolio per generare adeguati rendimenti per gli investimenti.

A questo si aggiunga l’attuale difficile situazione del socio e alleato più importante del Kazakhstan, la Russia, in relazione alla crisi ucraina. Le sanzioni occidentali, le contro-sanzioni russe e il progetto generale di Unione Economica Eurasiatica, che non sembra ora positivo per l’ammodernamento e la strategia di diversificazione del Kazakhstan, mette in pericolo parzialmente l’atteggiamento del Paese in Eurasia. La posizione di Mosca è una minaccia per Astana nel trovare il giusto equilibrio tra la tendenza storica di sostenere qualsiasi progetto di integrazione regionale e quella di garantire la propria distinta voce e direzione di sviluppo.

Le autorità kazakhe hanno combinato insieme politiche di stimolo e misure di austerità. Hanno iniettato qualcosa come 5,4 miliardi dollari USA dal fondo sovrano Samruk-Kazyna per rilanciare l’economia, ma hanno anche accantonato parte dei bilanci statali e ridotto le spese di gestione, anche quelle di istituzioni “di prestigio” come la Nazarbayev University e l’Esposizione Internazionale di Astana del 2017. Ha contribuito anche il progetto economico Nyrly Zhol (La Strada Luminosa), annunciato come un approccio anticiclico alla crisi, comprendente un nuovo e ambizioso approccio alle infrastrutture di trasporto regionali e nazionali. Ancora non è stato sufficiente a frenare la spirale di crisi, rappresentata dal taglio del rating sovrano del Kazakhstan operato da Standard & Poor’s da BBB+ a BBB, e il governo sta lavorando per disporre una nuova serie di misure anti-crisi.

In un simile contesto, lo svolgimento di elezioni presidenziali anticipate ha avuto un senso. L’obiettivo era quello di riconfermare il contratto sociale tra le autorità e la popolazione. Nazarbaev ha bisogno di legittimazione popolare per riaffermare la sovranità del Kazakhstan nei confronti della Russia e del progetto Unione Eurasiatica, e per essere sicuro che estranei non strumentalizzino il dissenso politico interno. Era anche necessario preparare il futuro politico del Paese. Nazarbaev è abbastanza saggio da sapere che deve preparare la sua successione e che un regime altamente centralizzato e personalizzato può essere compromesso quando il suo leader storico se ne va. Ha quindi annunciato diverse riforme successive alla sua rielezione, tra cui il rafforzamento del Parlamento, l’indipendenza della magistratura e la responsabilità della Polizia. L’attuale crisi del petrolio potrebbe anche spingere le autorità a impegnarsi ancor più attivamente in un modello di diversificazione verso l’energia “verde”, le nuove tecnologie e l’economia dei servizi.

Nazarbaev ha ottenuto quello che aveva chiesto: la riaffermazione del suo ampio sostegno popolare e la fiducia sociale che il percorso di sviluppo scelto è il migliore per il Paese, dato il suo contesto regionale e i punti strutturali di forza e debolezza. La questione ora è se le autorità possano sostenere la fine del contratto sociale, assumendo una nuova generazione di questioni che il Paese deve affrontare.

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