di Victoria Issaïeva*
Libera traduzione da: Sputnik France, 31.03.2016, 12:33
I cittadini dei Paesi francofoni sono più propensi a partire per il jihād in Siria o in Iraq. È ciò che rileva uno studio del think tank statunitense Brookings Institution, rivelato sulla rivista Foreign Affairs dai suoi autori Will McCants e Chris Meserole. E non si tratta di predisposizione genetica…
Dall’11 settembre 2001 non vi è stata nessuna analisi affidabile e concreta sulle cause della “conversione” dei giovani al Salafismo. Così gli scienziati statunitensi hanno deciso di trovare una volta per tutte una risposta adeguata che spieghi questo fenomeno. “Ci siamo resi conto che la scienza sul radicalismo sunnita era in disordine”, ha dichiarato Chris Meserole. Gli autori dello studio hanno esaminato i profili dei candidati al jihād, i cui dati sono raccolti presso il Centro Internazionale per lo Studio della Radicalizzazione.
Hanno quindi creato un complesso algoritmo che tratta ogni sorta di dato sociologico dei Paesi-target, come la disoccupazione giovanile o il grado d’istruzione, per determinare quali fattori consentano di prevedere il tasso di jihādisti in ciascun Paese.
Quello che hanno scoperto li ha sorpresi molto. I Paesi che “producono” la maggior parte dei jihādisti sono francofoni. Camel Bechikh, Presidente dell’Associazione dei musulmani patrioti “Figli di Francia”, lo spiega con il fatto che la comunità musulmana di Francia è una delle più grandi in Europa.
“Ovviamente ce ne sono dalla Francia. Ma questo non è affatto sorprendente, dato che la Francia ospita la prima comunità musulmana in Europa. È una storia di proporzionalità. Ci sono più Musulmani in Francia che in Tunisia. Inevitabilmente, per il gioco della proporzionalità, la troveremo [la Francia, N.d.A.] come la prima…”
Secondo l’analisi degli specialisti americani, 4 Paesi francofoni su 5 sono risultati i più “radicali”, Francia e Belgio in testa. Gli scienziati riconoscono che si tratta di risultati preliminari. Ma, se confermati, potrebbero far luce sul fenomeno che preoccupa la comunità internazionale dagli attentati dell’11 settembre. Riadh Sidaoui, Direttore del Centro Arabo di Analisi e Ricerche Politiche e Sociali (www.caraps.net/fr) con sede a Ginevra, si dice sorpreso dalla conclusione tratta dagli esperti americani.
“Dobbiamo prima definire che significa “francofono”. Io vivo a Ginevra. C’è una buona parte della Svizzera che è francofona. Ma non c’è nessuno Svizzero che fa il jihād in Siria e Iraq. Non abbiamo più terroristi che provengono da Montréal o da Paesi africani francofoni. Per contro, Francia e Belgio, sì. A mio avviso, il collegamento tra francofonia e terrorismo in Siria, dal punto di vista sociologico, non è diretto. A Bruxelles e Parigi … abbiamo avuto la 1a e 2a generazione di giovani che non sono stati integrati nella società e al tempo stesso sono stati emarginati da questa società. Si prendono la rivincita. Si dovrebbe anche spiegare che i primi due anni i media francesi chiamavano combattenti per la libertà i terroristi che combattono contro Baššar al-Asad”.
Will McCants e Chris Meserole sottolineano, da parte loro, che è la coppia franco-belga che interpreta il ruolo principale nella “produzione” di jihādisti. Secondo loro, la colpa è della Rivoluzione Francese … e della laicità come uno dei prodotti di questa rivoluzione. A credere agli scienziati americani, la laicità non è una conquista, ma un flagello che rende lo Stato vulnerabile di fronte ad ogni genere di radicalismo. Riadh Sidaoui ritiene che vi sia ancora un motivo per cui i giovani francofoni, eventualmente francesi, vanno a combattere al fianco dello Stato Islamico: i forti legami che si sono creati tra la Francia e i Paesi del Golfo Persico.
“La Francia di oggi non è quella di Jacques Chirac o di Charles de Gaulle. Cioè, la Francia si è avvicinata all’Arabia Saudita e al Qatar. Sappiamo bene che questi Paesi hanno acquistato enormi quantità di armi francesi, mentre l’industria francese delle armi spesso non trova opportunità. Per ragioni economiche la posizione francese è molto vicina a quella del Qatar e dell’Arabia Saudita. E questo nonostante il fatto che ci siano a volte dichiarazioni come quelle di Yves Bonnet [ex deputato dell’Unione per la Democrazia Francese, UDF, N.d.T.], che dice che non c’è un reale problema [con il Qatar, N.d.A.]. E non m’importa dei risultati del Paris Saint-Germain. Questo significa che vi è una consapevolezza nell’élite francese che questo rapporto potrebbe ritorcersi contro la stessa sicurezza francese”.
In Francia i risultati dello studio americano hanno suscitato una reazione piuttosto negativa. L’Ambasciatore di Francia negli Stati Uniti Gérard Araud (nella foto sotto) ha scritto su Twitter che il testo presentato non ha alcun senso dal punto di vista metodologico. È andato anche oltre, definendolo un insulto “all’intelligenza” (“Questo testo non ha alcun senso metodologico. Un insulto all’intelligenza”). Anche Camel Bechikh non dà ragione all’analisi e alla denuncia degli Americani.
“Il governo francese ha dati molto diversi, perché per lui, ufficialmente, la prima nazione rappresentata dai jihādisti in Siria e in Iraq è l’Albania. Non posso sottoscrivere uno studio americano … Seminando il caos in Albania, Cecenia e Bosnia, hanno agevolato il Salafismo, grazie alla loro unione con i Sauditi. Avendo scatenato i Sauditi tramite il Salafismo, ci ritroviamo con persone che si re-islamizzano, persone che erano estremamente violente nella droga, nell’alcool, nella delinquenza. Quando si re-islamizzano con il Salafismo, questo passato violento produce un Salafismo violento, il jihādismo. Se gli Stati Uniti non avessero fatto storicamente un patto con l’Arabia Saudita, l’Europa non si sarebbe mai accodata, la Francia non si sarebbe mai permessa di avere i rapporti commerciali che ha oggi con l’Arabia Saudita”.
Qualsiasi cosa si dica, non c’è fumo senza arrosto. Purtroppo, è in Francia e Belgio che si sono verificati i recenti attentati. Sono stati commessi da cittadini di questi Paesi, come dimostrato dall’inchiesta …
* Giornalista dal 2012. Laureata in Storia all’Università statale Lomonosov di Mosca, con specializzazione in Storia contemporanea della Francia e Storia dell’Unione Europea. Inoltre, ha studiato per un anno all’Università di Parigi-Sorbona (Parigi IV) nel quadro di un programma interuniversitario. Victoria parla correntemente in Russo, Francese e Inglese. Argomenti preferiti: i rapporti franco-russi, gli affari europei, la vita politico-sociale e culturale in Francia.