LA NUOVA GEO-POLITICA ASIATICA SULLE ORME DELLA VIA DELLA SETA E DELLE IMPRESE DI MARCO POLO
UCRAINA NEI BRICS+? FORSE, IN PROSPETTIVA…
di Glauco D’Agostino
Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XXII, nr. 105 (4/2024), PRINCIPIUL DOMINOULUI (I), Editura “Top Form”, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea, Bucureşti, 2025.
Islamic World Analyzes propone questo articolo che ha come temi dominanti l’Asia e i BRICS+, questi sconosciuti alla gran parte degli attenti analisti europei. La comprensione delle dinamiche geo-politiche non segue la cronaca, questo è vero. Le determinanti della politica internazionale restano invarianti nel lungo periodo. Neanche il secondo mandato di Donald Trump riserva sorprese, se non i toni a metà tra il risentito e il rivendicativo, caratteristici della fiera ferita, ovvero della potenza consapevole del suo declino. Eppure, lo scotto lo paga l’Europa, reduce da una bruciante sconfitta in Ucraina. Anche qui, nulla di nuovo. Lo scotto lo paga il vassallo, mai il signore. La colpa è di non aver saputo guardare al di là dei confini di quartiere perché troppo impegnati nelle piccole questioni di potere locale, peraltro garantite dal decadente signore in questione. Il signore ha già capito da tempo. Realizza che il vero interlocutore, peraltro ben attrezzato, sta tessendo una rete di rapporti a livello globale con cui deve fare i conti. I BRICS+ adesso fanno paura. Al di là della retorica, quanto meno preoccupano. Meglio trattare. Non è detto che l’Ucraina e il suo prossimo Presidente non aderiscano ai BRICS+, quanto meno in prospettiva…
Sommario
Il mondo disegnato alla fine della Guerra fredda con il riconoscimento dell’unilateralismo americano è ormai solo un ricordo. Le radici di questa pretesa andrebbero forse ricercate all’origine, con la prima caduta degli Imperi di lunga data dopo la Prima Guerra Mondiale, e negli eventi successivi alla Seconda. Il Summit 2024 di Kazan ha salutato i nuovi Paesi membri BRICS+, tutti appartenenti ad un’area di grande interesse geo-strategico che gravita attorno al Golfo e al Mar Rosso. In prospettiva, l’apertura già in atto a Turchia e Arabia Saudita. In più, tra gli “Stati partner”, alcuni sono collocati in Asia Centrale, Europa orientale e nel Sud-Est asiatico. Intanto, il Presidente cinese Xi Jinping a Kazan ha auspicato la riforma dell’architettura finanziaria mondiale. I BRICS sono già dotati dal 2014 di una banca multilaterale di sviluppo, che molti considerano un’alternativa al Fondo Monetario Internazionale; e la politica di de-dollarizzazione ha fatto apertamente la sua comparsa.
Lo stesso Presidente Xi aveva in precedenza ribadito che la Storia può rinnovarsi nelle azioni del presente e del futuro basandosi sulle stesse proposizioni virtuose che avevano animato l’Antica Via della Seta, appellandosi al suo potere simbolico. Nel 700° anniversario della morte di Marco Polo, Xi ha omaggiato la figura del viaggiatore veneziano. Emulando le sue imprese, la Belt and Road Initiative lanciata dalla Cina si propone di costruire un ponte verso l’Asia Centrale, l’Europa e l’Africa, ponendo al centro l’aspetto economico in un’ottica anti-protezionistica e non di geo-strategia. Appare evidente, comunque, che tende a mettere in comunicazione diverse culture e differenti sistemi politici e sociali.
Questa è un’epoca di cambiamento e bisogna aspettarsi variazioni anche nella gestione dell’ordine politico mondiale, mentre la contrapposizione tra Stati Uniti e Cina riappare in qualsiasi crisi internazionale. Oggi, alcune aggregazioni internazionali (compresi i BRICS+) chiedono la condivisione di scelte e responsabilità in un ordine multilaterale e, soprattutto, metodi più civili per la gestione delle nazioni, non soltanto in chiave bellica. La Via della Seta e Marco Polo celebrano simbolicamente gli eventi di un passato millenario basato su civiltà che si ricercavano fra loro sul piano della comunicazione fisica e intellettuale.
Parole-chiave: ordine politico mondiale, multilateralismo, unilateralismo, BRICS+, Kazan, Turchia, Arabia Saudita, Cina, Xi Jinping, de-dollarizzazione, Via della Seta, Marco Polo, Belt and Road Initiative.
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Fig. 2 – Summit BRICS+ 2024: Kazan (Repubblica del Tatarstan, Russia), 24 ottobre 2024 (di Sergey Bobylev, Photohost agency, brics-russia2024.ru)
Introduzione
La Dichiarazione di Kazan “Strengthening Multilateralism for Just Global Development and Security” del 23 ottobre 2024 da parte dei Paesi BRICS+ contiene nei suoi paragrafi costitutivi i concetti fondamentali di un nuovo ordine mondiale ben diverso da quello che si prospettava all’inizio di questo secolo.[1] Cooperazione multilaterale per stabilità e sicurezza, sviluppo economico, finanziario e sociale, inter-scambi tra i popoli, tutto finalizzato alla giustizia e alla democrazia, sono affermazioni di intenti che possono risultare retorici e pomposi in un contesto internazionale. Soprattutto impegnativi, provenendo da Paesi a basso reddito medio, il Global South, così come li definisce la Banca Mondiale.
Questa è una lettura che fa coincidere il potere economico con la capacità politica. Intanto, i BRICS+ rappresentano metà della popolazione mondiale, il 40% del commercio globale e la stessa percentuale della produzione e delle esportazioni di petrolio greggio.[2] E in quanto alla capacità politica, nei panni della comunità finanziaria occidentale, sarei preoccupato per la proposta reiterata a Kazan circa la riforma delle istituzioni create a Bretton Woods, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Banca Mondiale, entrambe con sede centrale a Washington.
Il mondo come disegnato alla fine della Guerra fredda è ormai solo un ricordo nella mente di George Bush jr., che aveva inteso questo evento come il riconoscimento del monopolio americano nel potere politico ed economico internazionale, compresa la potestà di determinare la stabilizzazione (o de-stabilizzazione) di intere aree del globo. Ma, forse, le radici di questa pretesa vanno ricercate all’origine, con la prima caduta degli Imperi di lunga data dopo la Prima Guerra Mondiale, e negli eventi successivi alla Seconda, con la progressiva sostituzione degli Imperi coloniali di Gran Bretagna, Francia e Portogallo da parte del nuovo colonizzatore dominante. Nella percezione del resto del mondo, sempre di colonizzazione si trattava.
Oggi, quel “resto del mondo” tenta di accreditare la sua presenza non per sostituirsi al dominio di un potere monocratico in decadenza, ma come legittima aspirazione alla gestione multilaterale di un mondo che mira a nuove formule di convivenza, senza l’utopia di eliminare i conflitti, ma con la consapevolezza che il riconoscimento del confronto tra pari può contribuire alla gestione e al componimento delle controversie.
È una rivoluzione? Qualcuno tende ad enfatizzare. Questo è un ancora un tentativo per il proposito di alcuni “volenterosi” che, invece di dichiarare guerre sante come altri in passato, si riuniscono in un’aggregazione che non è un’alleanza militare o una coalizione politica, ma un’organizzazione di soggetti internazionali liberi, non vincolati da alcun trattato che ne limiti l’indipendenza. Potrebbe contribuire ad una svolta storica che, al di là dei fatti contingenti, è inevitabile per affrontare le sfide imposte dalle riscoperte sensibilità sociali e dalle nuove tecnologie.
La sfida geo-politica dei BRICS+
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Fig. 4 – BRICS+ Summit 2024: i Presidenti Putin e Xi (di Ramil Sitdikov, Photohost agency, brics-russia2024.ru)
Il Summit 2024 di Kazan, nella Repubblica russa del Tatarstan, ha salutato l’ingresso nei Paesi BRICS di nuovi membri, i quali si aggiungono ai Paesi fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che dal 2010 danno il nome all’organizzazione. Gli Stati accolti (Iran, Etiopia, Egitto e Emirati Arabi Uniti) sono tutti appartenenti ad un’area di grande interesse geo-strategico che gravita attorno al Golfo e al Mar Rosso.
Le prospettive di apertura sono ancora più stimolanti. A settembre la Turchia ha avanzato richiesta formale di adesione, ricevendo il favore del Cremlino e inviando il suo Presidente Erdoğan al Vertice di Kazan. L’Arabia Saudita è stata invitata a diventare Stato membro. Tra gli “Stati partner”, due sono collocati in Asia Centrale (Kazakhstan e Uzbekistan) e sono anche membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi (SCO); uno in Europa orientale (la Bielorussia), è anche membro della SCO; e quattro, appena ammessi, sono Paesi del Sud-Est asiatico (Malaysia, Indonesia, Vietnam e Thailandia) aderenti all’ASEAN, con la Malaysia che nel 2025 presiederà quella Associazione regionale.[3]
Questi Paesi sono qui citati perché rappresentano il cuore della geo-politica dei tre giganti euro-asiatici dei BRICS. Medio Oriente, Asia Centrale e Sud-est asiatico sono particolarmente importanti per la Cina nell’attuazione della sua “Belt and Road Initiative” e nella conferma del suo ruolo storico nel continente, evocato enfaticamente (ma non a sproposito) dal richiamo della Via della Seta e dalle imprese di Marco Polo. Il particolare rapporto instaurato con alcuni Paesi islamici del Medio oriente (la recente apertura con Iran, Egitto ed Emirati) e la prudenza dell’approccio con altri due Paesi islamici della stessa area (Turchia e Arabia Saudita) ripropone lo stesso antico schema del confronto tra Oriente e Occidente, che può essere interpretato in chiave militare o di interessi condivisi. In questo momento Ankara e Riyāḍ costituiscono la porta di accesso all’Occidente, ma la loro collocazione geo-politica li attribuisce da molti decenni alla sfera di influenza occidentale. Da qui, la diffidenza di Washington e delle varie cancellerie europee verso l’attivismo dei BRICS+, ritenuto aggressivo nei loro confronti.
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Fig. 5 – China-Turkey Business and Investment Forum: Ürümqi (Xīnjiāng, Cina) (Fonte: Outstanding, 2014)
Durante il colloquio tra Putin e Erdoğan a margine del Summit di Kazan, il Presidente russo aveva rassicurato l’interlocutore che il Cremlino non aveva preclusioni alla membership della Turchia nei BRICS+ a causa della sua appartenenza alla NATO. Molti osservatori sottolineano che gli interessi economici siano prevalenti nella spinta di Ankara verso Mosca, Pechino e New Delhī. E tuttavia, questa lettura lascia in ombra il ruolo geo-politico e culturale che la Turchia svolge da secoli nell’area del Mar Nero, del Medio Oriente e su tutta l’Asia Centrale. Sul Mar Nero, lo scontro plurisecolare con la Russia l’ha messa in comunicazione anche con i Balcani, il Caucaso e le aree interne a maggioranza musulmana della Russia stessa;[4] in Medio Oriente, continua il legame con le realtà politico-sociali dell’eredità imperiale; e in Asia Centrale, soprattutto, permane l’affinità linguistica, culturale e religiosa, vista l’origine etnica comune delle rispettive popolazioni.
Le stesse considerazioni valgono per l’Arabia Saudita circa l’interesse economico nell’allacciare rapporti con i Paesi asiatici produttori di petrolio, ricordando la crescente cooperazione sino-saudita[5] e la necessità di regolare il mercato mondiale dell’offerta anche assieme ai nuovi Paesi dell’OPEC+, in primis la Russia, ma anche Kazakhstan e Azerbaijan e i Paesi arabi del Golfo.[6] Come già osservato per la Turchia, anche l’Arabia Saudita gioca un ruolo di leadership nel campo religioso e culturale, essendo un punto di riferimento fondamentale per tutto il mondo islamico sunnita, in cui più della metà della popolazione vive sul continente asiatico.
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Fig. 7 – Il Ministro degli Esteri cinese Wáng Yì tra Musaed bin Moḥammed al-Aiban, Consigliere per la Sicurezza Nazionale Saudita (s), e ʿAlī Shamkhānī, Segretario del Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale dell’Iran, Pechino (Cina), 10 marzo 2023 (Fonte: Bangkok Business)
L’altro attore fondamentale in Medio Oriente, la Repubblica Islamica dell’Iran, Paese sotto innumerevoli sanzioni soprattutto americane, britanniche e dell’Unione Europea, ha normalizzato a marzo 2023 le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, sua rivale geo-politica sin dalla nascita del Regno. Mediato dalla Cina, l’accordo preparava l’entrata dei due Paesi del Golfo nei BRICS+ e forse scongiurava la possibile adesione di Riyāḍ agli Accordi di Abramo proposti dagli Stati Uniti durante gli ultimi mesi della Presidenza Trump. Il dilemma è quale politica in Medio Oriente seguirà il Presidente dopo il suo secondo insediamento alla Casa Bianca e quale sarà adesso l’atteggiamento di Sauditi e Iraniani.[7] Ma, naturalmente sarà determinante la posizione che assumerà Elon Musk…
Intanto il Presidente cinese Xi Jinping, ormai al suo terzo mandato, a Kazan ha parlato di riforma dell’architettura finanziaria mondiale, anche in riferimento a uno dei punti dell’ordine del giorno stilato dalla Presidenza russa in ordine all’approfondimento della cooperazione nel settore. A questo proposito, i BRICS si sono già dotati nel 2014 di una banca multilaterale di sviluppo che molti considerano un’alternativa al Fondo Monetario Internazionale: la New Development Bank (NDB), “con lo scopo di mobilitare risorse per progetti infrastrutturali e di sviluppo sostenibile nei mercati emergenti e nei Paesi in via di sviluppo (EMDCs)”.[8] A questo soggetto si affianca dal 2015 anche un’altra iniziativa creditizia multilaterale con sede a Pechino: l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la quale oggi annovera 103 Membri approvati che rappresentano circa il 65% del PIL mondiale.[9]
La politica di perseguimento della de-dollarizzazione, cioè dell’abbandono del dollaro come valuta di regolazione dei mercati internazionali, era apparsa ufficialmente già dal 2022 negli ambienti governativi russi.[10] E da allora si sono moltiplicati i Paesi che utilizzano altre monete (prima tra tutte la cinese rénmínbì) nelle reciproche transazioni commerciali e finanziarie.[11]
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Fig. 10 – Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri russo (Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, febbraio 2016)
Il Presidente russo Vladimir Putin ha esplicitamente indicato alcune delle misure di contenimento del potere autocratico del dollaro:
- un nuovo sistema di transazioni finanziarie e pagamenti alternativo alla rete di intermediazione bancaria SWIFT, vista l’interdizione contro le banche russe attuata da Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Unione Europea;[12]
- la creazione di una borsa dei cereali dei Paesi BRICS, come modello per altre importanti materie prime come petrolio, gas e metalli.
Su questa scia, Wolfgang Münchau, già co-fondatore e caporedattore del Financial Times Deutschland, ammette che gli Stati Uniti esercitano un potere smisurato grazie al dollaro e riescono a imporre la loro volontà agli altri. Da qui la prerogativa di applicare sanzioni tramite il sistema finanziario. Quel che è chiaro è che emerge la volontà di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.[13]
Dunque, i BRICS+ sono una coalizione anti-occidentale sospinta dagli interessi sino-russi? Alcuni analisti pongono l’accento sulla percezione che questa aggregazione ha quanto meno sull’inadeguatezza del Gruppo G7 delle maggiori economie nel risolvere i problemi dei Paesi emergenti, eludendo le realtà in ascesa caratterizzanti il XXI secolo.[14] Ma c’è anche chi pensa che questo sia uno degli obiettivi di alcuni dei suoi membri, non coinvolgendo India e Brasile.[15] E tuttavia, è stato Putin stesso a richiamare le parole del Presidente indiano Narendra Modi quando al Summit di Kazan ha detto che l’aggregazione dei BRICS “non è anti-occidentale; è semplicemente non-occidentale”.[16]
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Fig. 11 – G20 Summit 2023: New Delhī (India), 9-10 settembre 2023 (Credits: https://g20.org/summit-and-logos/2023-india/)
In effetti, l’India, che è già membro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi a guida russo-cinese ed è parte integrante del Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza (QUAD) assieme a Stati Uniti, Giappone e Australia, intende mantenere la sua indipendenza geo-strategica non necessariamente legata agli interessi occidentali. Infatti, non ha aderito alle sanzioni contro la Russia ed è disponibile ad accogliere il rénmínbì cinese come valuta per le transazioni petrolifere, mentre usufruisce dei finanziamenti della New Development Bank per molti importanti progetti nei settori energetico e infrastrutturale.
La Cina e il potere simbolico dell’Antica Via della Seta
Nel 2017 il Presidente Xi Jinping, parlando alla Cerimonia di apertura del Belt and Road Forum for International Cooperation, ribadiva i contenuti della Nuova Tipologia di Partenariato per la Sicurezza che aveva adottato qualche mese prima. Il suo discorso aveva il chiaro intento di collegare il senso della sua proposta del 2013 di istituire la Silk Road Economic Belt e la 21st Century Maritime Silk Road con i punti principali che costituiscono la nuova strategia di sicurezza: integrazione economica, costruzione di partnerships, multilateralismo, Stato di diritto, scambio e cooperazione militare, risoluzione delle dispute. Ma quel ragionamento aveva anche il proposito di ribadire come la Storia può rinnovarsi nelle azioni del presente e del futuro basandosi sulle stesse proposizioni virtuose di un tempo: cooperazione, apertura alla relazione tra civiltà diverse, innovazione, apprendimento e beneficio reciproco. Perché questo era lo spirito dell’Antica Via della Seta.[17] [18]
Se il commercio rappresentava la spinta alla mobilità delle merci in tutta l’Eurasia, il frutto era anche l’intensificarsi degli scambi culturali e il fiorire di arte e scienza in nuove forme espressive. Con il suo intreccio di originari percorsi di comunicazione via terra, la Via della Seta collegava la Cina principalmente ai Paesi contermini del Sud-Est e dell’Asia Centrale, all’India e alla Persia, alla Penisola Arabica e al Mediterraneo, aprendo anche all’Africa Orientale. Attorno al I secolo d.C. gli itinerari principali iniziavano da Luòyáng, nell’Henan, verso Cháng’ān (l’odierna Xī’ān) e il Gansu, per poi dividersi a Dūnhuáng nei rami conducenti alle montagne del Tian Shan e al Deserto del Taklamakan, dando quindi accesso ai territori corrispondenti agli attuali stati dell’Asia Centrale e proseguendo verso l’India e i confini dell’Impero Romano.
Con l’avvento della Dinastia Yuán nel 1271, dopo la divisione dell’Impero Mongolo del 1259, la Maritime Silk Road prese il sopravvento in importanza rispetto alle comunicazioni via terra, con i suoi traffici commerciali incentrati sulla città portuale di Quanzhou, sullo stretto di Taiwan.[19] Poi, con la Dinastia Ming, i viaggi dell’Armata cinese del tesoro comandata dall’Ammiraglio musulmano Zhèng entrarono nella leggenda della memoria cinese. In sette distinti viaggi tra il 1405 e il 1433, l’Ammiraglio raggiunse Calcutta, la Costa di Malabar nell’India sud-occidentale e lo Sri Lanka, l’isola persiana di Hormuz, la Penisola Arabica e l’Africa Orientale, creando un sistema di relazioni internazionali interconnesse e integrate.[20]
Nel suo discorso del 2017 prima menzionato (CIDCA, 2017), Xi cita espressamente alcuni eminenti esploratori storici cinesi:
- Zhang Qian, diplomatico del II secolo a.C. che fu pioniere dei viaggi lungo la Via della Seta e che aprì la strada della conoscenza dei territori dell’Asia Centrale, particolarmente quelli lungo la catena montuosa dell’Hindu Kush che oggi sono parte del Tajikistan, del Pakistan e dell’Afghanistan;
- Dù Huán, narratore dell’VIII secolo d.C., che testimoniò la sua lunga presenza nel Califfato Abbaside, appena sorto e ai suoi esordi sulla scena internazionale;
- e il già riferito Zhèng Hé.
Ma il Presidente cinese ricorda anche due personaggi non cinesi che sono entrati a pieno titolo nella storia della Via della Seta:
- il maghrebino Ibn Battuta, che, qualche decennio prima di Zhèng Hé, compì viaggi dal Nord Africa all’Indocina, attraversando il Medio Oriente, l’Asia Centrale e Meridionale e la Cina, con derivazioni verso la Spagna e l’Africa Orientale;[21]
- e il veneziano Marco Polo, che durante un periodo della sua vita acquisì in Cina importanti cariche di diretta emanazione imperiale tanto da farlo considerare ancora oggi come parte importante della Storia del Celeste Impero.
La Cina e il paradigma Marco Polo
Il 2024 è l’anno in cui si è onorato il 700° anniversario della morte di Marco Polo, avvenuta a Venezia all’età di 69 anni. Non solo l’Italia, ma anche la Cina lo ha ricordato con eventi di vario genere. Ne è testimonianza, tra le tante, la Mostra “The Perfect Path: Hangzhou, Marco Polo’s City of Heaven”, ospitata dall’Accademia Cinese d’Arte con il contributo della Biennale di Venezia e il suo Archivio Storico delle Arti Contemporanee.[22] Durante la visita di Stato del Presidente Italiano Sergio Mattarella a Pechino l’8 novembre scorso, il Presidente cinese Xi, ricordando il 20° anniversario del Partenariato strategico complessivo Cina-Italia, ha omaggiato la figura del viaggiatore veneziano, sottolineando che “le due parti devono lavorare insieme per promuovere più inviati come Marco Polo nella nuova era”.[23]
Questa affermazione conferma la visione del Prof. Zhang Longxi, il quale, nel suo libro Mighty Opposites: From Dichotomies to Differences in the Comparative Study of China, contrasta la “tendenza a considerare la Cina come l’opposto concettuale dell’Occidente”[24] e assicura che “sono possibili relazioni culturali non antagoniste”.[25]
Il 1271, anno in cui il giovane patrizio Marco Polo partì da Venezia con il padre e lo zio per il lungo viaggio verso l’Oriente, coincide con due date importanti: la proclamazione della Dinastia cinese “Grande Yuán” da parte di Kublai Khan, nipote di Gengis Khan e Khagan dei Mongoli, prima di assumere il titolo di Imperatore di tutta la Cina otto anni dopo; e l’elezione di Papa Gregorio X, che affidò ai tre viaggiatori alcune lettere da consegnare a Kublai. Nel 1275, dopo tre anni e mezzo di peripezie, i Polo furono ricevuti dal neo-Imperatore Yuán nella capitale Shàngdū, situata nella Mongola interna, compiendo la missione papale. Si aprivano così prospettive di apertura di relazioni diplomatiche di alto profilo tra la Cina e alcune delle realtà istituzionali più rilevanti dell’Occidente, come il Papato e la Repubblica di Venezia.
Marco Polo, anche usufruendo della stima del Khan verso il padre e lo zio acquisita durante un precedente viaggio da loro compiuto a partire dal 1260, fu subito investito di responsabilità diplomatiche come emissario imperiale in India e presso l’Impero di Pagan in Birmania e compì in seguito missioni nel Protettorato cinese del Tibet, nell’Arcipelago malese e negli odierni Sri Lanka e Vietnam.
L’impresa più avventurosa, rimasta nella memoria collettiva di tutti popoli del mondo, è stata comunque la traversata via terra di quella che nel XIX secolo sarà chiamata la “Via della Seta”. Molti dei territori attraversati da Marco Polo versavano in condizioni di instabilità politica soprattutto dopo la caduta nel 1258 del Califfato Abbaside di Baġdād (che ancora all’inizio del secolo si estendeva dall’Egitto all’Afghanistan), cui era subentrato l’Il-Khanato come espressione dell’Impero di Mongolia in Area Persiana. I contraccolpi si erano avuti anche nel resto del Medio Oriente:
- In Anatolia, dal 1256 il Sultanato Selgiuchide di Rûm era praticamente ormai sottoposto all’Impero di Mongolia e dal 1269 il Regno armeno di Cilicia era diventato tributario dei Sultani Mamelucchi del Califfato Abbaside del Cairo, appena nato come successore dell’omonimo Califfato di Baġdād;
- In Palestina, il Secondo Regno Crociato di Gerusalemme era continuamente assediato dai Mamelucchi, che dal 1265 al 1268 avevano preso importanti città come Cesarea, Haifa e Jaffa e distrutto Antiochia.
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Fig. 15 – Iran: Nāqš-e Rostām (Fârs), Tomba rupestre dell’Imperatore Achemenide Serse I (foto dell’autore)
Dunque, il viaggio di Marco Polo si svolgeva in un periodo di sconvolgimenti politici e territoriali in cui la sicurezza della mobilità non era certo assicurata. Iniziando da Acri, “Chiave della Palestina” e capitale del Regno di Gerusalemme, continuò verso l’Anatolia ed entrò nell’Il-Khanato mongolo, toccando le città di Tabriz, la capitale dello Stato, Alamūt, Baġdād, Baṣra, Hormuz e Yazd, per poi proseguire per Kerman e il territorio del Khorasan Meridionale. Dopo aver attraversato il Deserto di Dasht-e Lut, si diresse verso Samarcanda e il Turkestan, che erano parte del Khanato mongolo di Chagatai, e superò l’indipendente Badakhshan (oggi a cavallo di Afghanistan, Tajikistan e Cina) e il Wakhan, suo tributario. Entrò poi nel Tarim Basin, dove, nell’ambito delle guerre civili tra i pretendenti al trono dell’Impero Mongolo, era in corso un conflitto contro la Dinastia Yuán di Kublai Kan. Finalmente acceduto all’Impero Yuán, transitò per Sachion, oggi Dūnhuáng, Beshbalik, Zhangye e Karakorum, prima di giungere alla meta della capitale Shàngdū.
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Fig. 17 – Khorasan (Türkmenistan): Parco Storico e Culturale “Antica Merv”, Mausoleo di Mu’iz ud-Dīn Aḥmad-e Sanjar (foto dell’autore)
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Fig. 19 – Transoxiana (Uzbekistan): Bukhārā, Mausoleo del Pozzo del profeta Giobbe (foto dell’autore)
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Fig. 20 – Transoxiana (Uzbekistan): Samarcanda, Manifestazioni per il 16° Anniversario dell’Indipendenza dell’Uzbekistan dall’Unione Sovietica (foto dell’autore)
Dopo 20 anni al servizio dell’Imperatore, di cui 17 vissuti in Cina, nel 1295 Marco Polo faceva ritorno a Venezia e, attorno all’inizio del nuovo secolo, rendeva pubbliche le sue esperienze attraverso la pubblicazione del libro “Il Milione”,[26] scritto in collaborazione con lo scrittore Rustichello da Pisa mentre era nel carcere di Genova come conseguenza della guerra in atto tra la città ligure e la Serenissima.
Certamente, la figura di Marco Polo entra a pieno titolo nel novero di quei viaggiatori che hanno inaugurato una nuova era in Europa, aperta per necessità nei confronti degli altri popoli e protesa verso la conoscenza e l’innovazione. Dopotutto, i Mongoli dell’Orda d’Oro erano già presenti in Europa da quando avevano reso in stato di vassallaggio la Rutenia e la Bulgaria e si erano spinti, con i loro eserciti in massima parte composti da militari di origine turco-asiatica, fino in Polonia, Romania, Ungheria e Dalmazia, cioè alle porte di Venezia. Naturalmente, la loro influenza non fu solo geo-politica, ma anche culturale e di costume, con cui gli Stati europei dovettero fare i conti. Ma la così estesa frequentazione temporale di Marco Polo con i Mongoli in Cina contribuì ad incrementare gli scambi commerciali verso l’Est e ad importare anche competenze tecnologiche nel campo della produzione manifatturiera ed artistiche nel campo dell’architettura e dell’urbanistica.
La Belt and Road Initiative, eredità simbolica di Marco Polo
Emulando il senso dell’impresa di Marco Polo, la Belt and Road Initiative lanciata dalla Cina si propone di costruire un ponte verso l’Asia Centrale, l’Europa e l’Africa. Già dal 1905, in epoca Qing, era iniziata la costruzione della prima ferrovia lungo il tracciato dell’Antica Via della Seta, che 50 anni dopo avrebbe condotto dalle rive del Pacifico fino alla provincia cinese nord-occidentale del Gansu.[27] Oggi questa infrastruttura ferroviaria costituisce una sezione del New Eurasian Land Bridge Economic Corridor, che si propone come porta verso l’Occidente, attraversando il Kazakhstan, la Russia, la Bielorussia e la Polonia.
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Fig. 23 – Belt and Road Initiative: i Corridoi Economici e la Via della Seta Marittima (Fonte: OECD Business and Finance Outlook 2018)
Altri 5 corridoi costituiscono l’ossatura terrestre della Belt and Road Initiative.[28] Ognuno di questi corridoi ha una sua ragion d’essere legata alla facilitazione degli scambi commerciali con aree di interesse economico per Pechino:
- Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale già coinvolge l’Iran, il Caucaso e la Turchia tramite ferrovia, anche utilizzando il tunnel sottomarino Marmaray di Istanbul in esercizio per il traffico merci dal 2019,[29] e continuerà verso i Balcani;[30]
- Cina-Mongolia-Russia congiungerà l’Asia settentrionale con il Mar Baltico a San Pietroburgo;
- Cina-Pakistan costituirà un’alternativa per il traffico delle importazioni energetiche cinesi dal Medio Oriente che attualmente transitano attraverso lo Stretto di Malacca;
- Cina-Penisola Indocinese avvicinerà le maggiori città della Cina meridionale alle capitali del sud-est asiatico come Hanoi, Vientiane, Phnom Penh, Bangkok, Kuala Lumpur e Singapore, così coinvolgendo i Paesi dell’Area di libero scambio dell’ASEAN e della Cina;
- Bangladesh-Cina-India-Myanmar sarà volta ad integrare l’economia dell’area indiana con quella dello Yunnan cinese, svolgendo anche una funzione di avvicinamento politico.
Tutti questi corridoi via terra sono connessi alla rete degli scali della Maritime Silk Road: a parte i porti cinesi di Shànghǎi e Hong Kong, alcuni rivestono particolare importanza geo-politica: nel Sud-est asiatico, come quelli di Hải Phòng, Hồ Chí Minh, Jakarta, Singapore e Kuala Lumpur; sull’Oceano Indiano, come Bangkok, Calcutta, Colombo, Malé, Karachi e Mombasa; sul Mar Rosso, come Djibouti e Jeddah; sul Mediterraneo, come Haifa, Istanbul, Atene e Valencia. Fino a dicembre 2023 anche i porti italiani di Trieste, Genova, Venezia e Palermo erano candidati ad entrare in questa rilevante rete marittima, ma in quella data le autorità governative di Roma sono uscite dal Memorandum d’Intesa non vincolante siglato a marzo 2019 dall’allora governo in carica. La decisione di disimpegno, su pressioni di Washington, seguiva il blocco degli investimenti cinesi nei porti più importanti di Trieste e Genova, operato da un intimorito governo di unità nazionale a cavallo del biennio 2021-22.[31]
Resta il fatto che la Belt and Road Initiative abbia posto al centro l’aspetto economico e non quello geo-strategico, semmai derivato, che i suoi detrattori le attribuiscono. Appare evidente, comunque, che tende a mettere in comunicazione diverse culture e differenti sistemi politici e sociali. “Questa metodologia incarna la cultura e la saggezza tradizionali cinesi, che percepiscono il mondo in modo dialettico, pragmatico e flessibile”, dice il Prof. Yuan Li, dell’Institute of East Asian Studies (IN-EAST) e dell’Università di Duisburg-Essen (Germania).[32] I risultati attesi si possono estrapolare dal documento del marzo 2015 Vision and Actions on Jointly Building Silk Road Economic Belt and 21st Century Maritime Silk Road,[33] e si possono così sintetizzare riferendosi al rapporto tra i Paesi partecipanti:
- beneficio reciproco e sicurezza comune;
- miglioramento delle infrastrutture della regione;
- rafforzamento dell’agevolazione del commercio e degli investimenti;
- realizzazione di una rete di aree di libero scambio con standard elevati;
- più stretti legami economici;
- incremento della fiducia politica;
- valorizzazione degli scambi culturali;
- civiltà diverse per imparare le une dalle altre;
- reciproca comprensione, pace e amicizia tra le persone di tutti i Paesi.[34]
Per quanto riguarda il secondo punto, si evidenzia che il miglioramento delle infrastrutture regionali può avere una ricaduta sulla riduzione della povertà e sulla crescita inclusiva,[35] mentre il quarto punto, in un’ottica anti-protezionistica, è finalizzato alla riduzione delle barriere politiche ed economiche che impediscono lo sviluppo dei traffici commerciali tra Paesi.
Osservazioni conclusive
L’onda lunga della Storia è un concetto che spesso interpreta al meglio il senso degli accadimenti dell’attualità. Se il mondo è giustamente preoccupato per le guerre di Ucraina e Medio Oriente, la comunicazione mediatica le ritrae frequentemente come frutto di conflitti economici o al massimo come contrapposizioni di istanze politico-ideologiche. Tralascia il metodo con cui scientemente si generano e gestiscono quelle contrapposizioni e soprattutto le matrici storiche che determinano i grandi cambiamenti nella formazione delle comunità dei popoli. In poche parole, considera la realtà immutabile nel suo determinismo corrente, senza lasciare spazio a pericolose deviazioni e sovvertimenti. Nasce un po’ da questo la stessa idea di Stato-Nazione, che affonda le radici nelle fonti bibliche sulla nascita dell’Antico Israele e, nella formulazione moderna, nel “sistema westfaliano” del XVII secolo.
Questa è un’epoca di cambiamento, non ci sono dubbi. Lo è per la necessità di adeguamento alle mutate condizioni sociali, culturali e tecnologiche. Bisogna aspettarsi variazioni anche nella gestione di quello che oggi si chiama ordine politico mondiale. Quel rinnovamento non può essere chiamato sovvertimento, perché i suoi tempi sono sempre lenti e progressivi. Quel rinnovamento è già in atto. E tuttavia, questo compito non spetta alle singole Nazioni, già limitate dai loro interessi particolari, ma alle comunità cui si riferiscono per affinità di qualche natura. Queste comunità hanno il dovere di riconoscersi tra di loro prima di collaborare alla creazione di un modello di comportamento accettato.
I BRICS+ sono diventati il necessario motore di questo rinnovamento perché riempiono un vuoto di leadership e, nella politica internazionale così come in natura, il vuoto va colmato. L’emblema occidentale del libero mercato è affossato dallo stesso Occidente, perché non gli garantisce più l’egemonia del potere politico, economico e finanziario rispetto alle economie emergenti, che si dimostrano più vivaci e creative. L’uso sproporzionato delle sanzioni di tutti i generi e l’invocazione di politiche economiche protezionistiche lo riporta agli albori del XVII secolo. Con l’avvento della Presidenza Trump negli Stati Uniti d’America, la situazione rischia di esacerbarsi per il dichiarato intento di imporre dazi non solo alla Cina, che Washington considera il suo nemico, ma agli stessi alleati europei.
Con un pizzico di malizia, si può dire che la strategia cinese di pressione commerciale sulle economie dei Paesi occidentali ha avuto i suoi frutti: quel mondo che ancora si richiama all’unità dei paladini del libero mercato e della democrazia si sta dividendo in molti tasselli concorrenti. I BRICS+, e la Cina in particolare, intravedono di poter vincere questa campagna della concorrenza sullo stesso piano dei valori occidentali, cioè libero mercato e Stato di diritto, non contrapponendosi a loro.
La stessa lettura si può dare per quanto riguarda la leadership politica, dal momento che gli Stati Uniti e il mondo dei loro alleati si trovano in una situazione piuttosto critica. Le continue guerre non dichiarate contro nazioni sovrane, con l’ostentazione della causa anti-terroristica a fasi alterne, hanno finito per alimentare l’arroganza di alcuni suoi proxies regionali nel ritenere che sia legittimo occupare e destabilizzare interi Paesi con il pretesto messianico della lotta al male. Il riferimento è chiaramente allo Stato di Israele, che rivendicando la Erétz Yisra’él di biblica memoria, sconvolge con la sua potenza di fuoco i contermini Gaza, Cisgiordania, Libano e Siria.
Proprio la situazione di incertezza in Siria rende evidente questo ragionamento. Si può scegliere di dare qualsiasi interpretazione agli avvenimenti correnti, alcune delle quali, più di altre, sanno di telecronaca a breve respiro che non di proiezione sulla sicurezza di stabilità duratura. Le ipotesi:
- puntare sullo scontro di ordine religioso, sottolineando l’appartenenza alle diverse fedi musulmane dei contendenti in Siria (Sciiti, Sunniti, Drusi, ecc.);
- oppure sottolineare le storiche rivalità tra Paesi contermini (Turchia e Iran) per il controllo delle zone controverse (per es. il Kurdistan siriano e iraqeno);
- o anche inserire le vicende nel quadro di un più ampio contesto geo-politico attuale in movimento, come rilevato in precedenza.
Chiaro che tutte queste letture concorrono, ognuna per la sua parte, a definire una possibile definizione analitica. Bisogna però marcare anche le contraddizioni insite in ognuna di esse.
L’ipotesi dello scontro religioso, pur esistente, si infrange contro la constatazione che l’Iran e i suoi alleati sciiti sono (o sono stati) i maggiori difensori di Ḥamās, movimento sunnita con radici nella Fratellanza Musulmana. Le rivalità storiche tra Turchia e Iran non sono oggi così profonde come quelle che contrapponevano il Califfato Ottomano all’Impero Persiano dei Qājār, perché entrambi gli Stati contrastano la progressiva invadenza di Israele in Medio Oriente. L’ipotesi geo-politica sembra essere la più plausibile e anche la più complessa, perché tiene conto dell’invarianza temporale degli interessi in quella determinata zona e, tuttavia, deve calarli nel contesto più ampio delle intese internazionali, che per definizione sono mutevoli come le visioni politiche dei governanti.
Al di là del groviglio di fattori concorrenti, la contrapposizione tra Stati Uniti e Cina ricorre come un mantra in qualsiasi crisi internazionale. A nessuno può sfuggire la corrispondenza dei tempi nell’improvviso sviluppo dei mutamenti. La caduta di Damasco avviene poco più di un mese dopo l’entrata nei BRICS+ di importanti attori regionali a maggioranza musulmana, come sottolineato nell’introduzione. Soprattutto la conclamata apertura cinese alla Repubblica Islamica dell’Iran ha determinato nei mesi precedenti il violento attacco di Tel Aviv contro Ḥizb Allāh e, in un gioco di domino, l’indebolimento del potere di Assad in Siria. Lavoro per conto terzi, insomma, in un periodo in cui gli Stati Uniti non sono più interessati direttamente alle vicende medio-orientali da almeno un decennio.
L’America di Biden ha dimostrato di non sapere imporre una tregua adeguata, visto che questa è stata continuamente violata. L’America di Trump, con i suoi condizionamenti derivati dalle lobbies interne, potrebbe dimostrare la volontà di Washington di permettere ancora di più il contrasto all’arci-nemico Iran, anche a costo di accettare la leadership jihādista in Siria (con conseguente introduzione della Sharī’a), evidentemente ritenuta più congruente con i canoni della democrazia occidentale e israeliana di quanto non lo fosse il regime laico di Assad. Così si spiega anche la feroce strafexpedition contro il Generale iraniano Qāsim Sulaimānī, eroe della lotta all’ISIS. Cosa non si fa per la democrazia…
Guardando all’onda lunga della Storia, la supremazia degli Imperi ha una sua nascita, uno sviluppo, un apogeo e una fine. La Macedonia di Alessandro Magno, gli Imperi di Roma e Costantinopoli, i Califfati musulmani, gli Imperi coloniali di Gran Bretagna e Francia hanno sfidato i secoli, eppure, dopo ogni frantumazione, il mondo si è rinnovato anche facendo tesoro del loro operato. Oggi, quello che alcune aggregazioni internazionali (compresi i BRICS+) chiedono non è la fine di un Impero, ma la condivisione di scelte e responsabilità in un ordine multilaterale e, soprattutto, la correzione verso metodi più civili per la gestione delle nazioni che non si basino soltanto sull’uso di inquietanti criteri bellici mascherati da dispute per la difesa di diritti interpretati unilateralmente.
Infine, il significato dei riferimenti evocativi cui questo scritto si collega è la manifestazione di un simbolismo generato dalle loro radici culturali orientali. La Via della Seta e Marco Polo celebrano simbolicamente gli eventi di un passato millenario basato su civiltà che si ricercavano fra loro, perlustrando vie di comunicazione fisiche e intellettuali. L’isolazionismo non ha mai contribuito allo sviluppo delle civiltà. Il Buddhismo nasce in India, ma si sviluppa in Cina e in Mongolia. L’Islam nasce in Arabia, ma i suoi maestri e intellettuali si nutrono della sapienza greca e provengono da tutto il Medio Oriente, dal Maghreb, dall’Iran, dal Sud-Est asiatico. Il Cristianesimo nasce in Palestina, ma conquista Roma senza l’uso delle armi e si avvale del pensiero ebraico e zoroastriano.
La Via della Seta e Marco Polo sono due emblemi dello spirito di conoscenza che anima i caratteri degli audaci e dei curiosi, ma anche immagini che richiamano la Storia delle civiltà che hanno formato il modo di essere dei popoli. La Via della Seta sottolinea che oltre i confini orientali dell’Impero Romano esistevano gli Arabi, i Persiani, i Turchi dell’Asia Centrale, gli Indiani e i Cinesi, con le loro travagliate ed esaltanti imprese. La figura di Marco Polo è evocativa di un periodo della Storia, il XIII secolo, che è il culmine dei cambiamenti in Eurasia, dalla nascita della Grande Nazione Mongola e il suo dominio su territori più vasti degli Imperi fino ad allora conosciuti, alla caduta del plurisecolare Califfato Abbaside di Baġdād, alla nascita della nuova Cina della Dinastia Yuán. Eppure, quei cambiamenti hanno contribuito a costruire un nuovo mondo aperto alle tecnologie di origine orientale e a preparare una nuova spinta verso le esplorazioni dei grandi navigatori europei e cinesi.
Concludo con una interessante considerazione del Dr. Rokplo, già Consigliere del Rappresentante Speciale di Francia nella Federazione Russa, che sintetizza un pensiero che forse può essere condiviso: “Multipolarità e unipolarità non sono solo questioni politiche. Si tratta di un problema di atteggiamento culturale verso la realtà di diverse civiltà”.[36]
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[1] BRICS Russia 2024, “Strengthening Multilateralism for Just Global Development and Security”, 23 ottobre 2024, https://cdn.brics-russia2024.ru/upload/docs/Kazan_Declaration_FINAL.pdf?1729693488349783.
[2] Stewart Patrick, “BRICS Expansion, the G20, and the Future of World Order”, 9 ottobre 2024, Carnegie Endowment for International Peace, https://carnegieendowment.org/research/2024/10/brics-summit-emerging-middle-powers-g7-g20?lang=en.
[3] Izzah Aqilah Norman, “Malaysia, Indonesia, Vietnam and Thailand become partner countries of BRICS”, 24 ottobre 2024, CNA, https://www.channelnewsasia.com/asia/malaysia-indonesia-vietnam-thailand-brics-asean-global-south-russia-china-4699841.
[4] Non è un caso che il Summit BRICS+ 2024 si sia tenuto nella Repubblica del Tatarstan, terra russa a maggioranza musulmana di origine turca. L’oculatezza della scelta nasce anche dal fatto che, su 23 Paesi ufficialmente coinvolti a vario titolo, 11 sono a maggioranza musulmana. Glauco D’Agostino, Tatarstan-Putin: A Crossed Challenge (Londra, Regno Unito: Glimmer Publishing, giugno 2018).
[5] Hu Weijia, “China-Saudi Arabia investment cooperation strengthening amid global uncertainties”, 26 novembre 2024, Global Times, https://www.globaltimes.cn/page/202411/1323824.shtml.
[6] Le esportazioni degli stati membri dell’OPEC rappresentano circa il 49% delle esportazioni globali di greggio e detengono circa l’80% delle riserve mondiali accertate di petrolio. Reuters, “What is OPEC+ and how does it affect oil prices?” 24 maggio 2024, https://www.reuters.com/markets/commodities/what-is-opec-how-does-it-affect-oil-prices-2024-05-24/
[7] Da parte sua, il Presidente iraniano Mas‘ūd Pezeshkian, presente a Kazan, ha caldeggiato una forte cooperazione economica con Pechino, subito spalleggiato dal Presidente cinese Xi Jinping nell’incontro bilaterale a margine del Summit, con la richiesta a Tehrān di promuovere pace e stabilità nella regione. President of the Islamic Republic of Iran, Official Website, “Iran, China call for immediate ceasefire in Gaza, Lebanon to reduce regional tensions”, 24 ottobre 2024, https://president.ir/en/154755.
[8] New Development Bank, “About NDB”, s.d., https://www.ndb.int/about-ndb/
[9] Asian Infrastructure Investment Bank, “About AIIB”, s.d., https://www.aiib.org/en/about-aiib/index.html.
[10] Glauco D’Agostino, “Global Governance: Is Asia’s Time Coming?”, Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie, no. 96-97 (4/2022): (Bucureşti: Top Form), 49-70, https://www.geopolitic.ro/2023/02/global-governance-asias-time-coming/
[11] Glauco D’Agostino, “China and U.S. Race in the Asia-Pacific for the Global Order”, 30 ottobre 2023, Islamic World Analyzes, https://www.islamicworld.it/wp/china-and-u-s-race-in-the-asia-pacific-for-the-global-order/
[12] La proposta era stata ufficialmente presentata da Anton Siluanov, Ministro russo delle Finanze, al Meeting dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali dei Paesi BRICS, tenutosi a Mosca l’11 ottobre 2024.
[13] Wolfgang Münchau, “Non bisogna sottovalutare i Brics+”, 8 novembre 2024, Corriere della Sera, https://www.corriere.it/opinioni/24_novembre_08/non-bisogna-sottovalutare-i-brics-c207c7dc-410f-434b-b3b0-31b1066b3xlk.shtml?refresh_ce.
[14] Paul Stronski and Richard Sokolsky, “Multipolarity in Practice: Understanding Russia’s Engagement With Regional Institutions” (Washington, DC: Carnegie Endowment for International Peace, gennaio 2020), https://carnegieendowment.org/files/Stronski_Sokolsky_Multipolarity_final.pdf.
[15] Mariia Patoka, “The Great China’s Geopolitical Road”, 16 ottobre 2024, Svidomi, https://svidomi.in.ua/en/page/the-great-chinas-geopolitical-road.
[16] ANI, “Putin echoes PM Modi’s stance on BRICS, says ‘it’s not anti-Western; it’s just non-Western’”, 18 ottobre 2024, https://www.aninews.in/news/world/asia/putin-echoes-pm-modis-stance-on-brics-says-its-not-anti-western-its-just-non-western20241018213921/
[17] China International Development Cooperation Agency (CIDCA), “Work together to build the Silk Road Economic Belt and the 21st Century Maritime Silk Road”, 14 maggio 2017, http://en.cidca.gov.cn/2017-05/16/c_260434.htm.
[18] Xinhua, “Full text: China’s Policies on Asia-Pacific Security Cooperation”, 11 gennaio 2017, The State Council of the People’s Republic of China, http://english.www.gov.cn/archive/white_paper/2017/01/11/content_281475539078636.htm.
[19] Lawrence J. Lau, “One Belt, One Road (OBOR) and The Asian Infrastructural Investment Bank (AIIB)”, Lau Chor Tak Institute of Global Economics and Finance (CUHK), The Chinese University of Hong Kong, 5 dicembre 2015, https://www.igef.cuhk.edu.hk/igef_media/people/lawrencelau/presentations/english/151205.pdf.
[20] Frannie A. Léautier, Michael Schaefer, and Wei Shen, “Part I: China’s new Maritime Silk Road: An opportunity for the revival of Africa?”, 13 novembre 2015, Uongozi Institute, https://www.uongozi.go.tz/sw/news/part-i-chinas-new-maritime-silk-road-an-opportunity-for-the-revival-of-africa/
[21] Hyunhee Park, Professore di Storia di origini coreane alla City University di New York, ha comunque documentato l’attività di molti viaggiatori provenienti dal mondo musulmano verso la Cina a partire dal IX-X secolo d.C. Hyunhee Park, “The Peak of China’s Long-Distance Maritime Connections with Western Asia During the Mongol Period: Comparison with the Pre-Mongol and Post-Mongol Periods”, in Early Global Interconnectivity across the Indian Ocean World, Volume I, ed. Angela Schottenhammer (Switzerland: Palgrave Macmillan, Cham, 2019), 53-78. doi: 10.1007/978-3-319-97667-9_3.
[22] Wu Huixin, “Exhibition marks 700 years since death of Marco Polo”, 18 novembre 2024, Shine, powered by Shanghai Daily, https://www.shine.cn/feature/art-culture/2411184519/
[23] Embassy of the People’s Republic of China in the Republic of Italy, “Xi Jinping Holds Talks with Italian President Sergio Mattarella”, 11 novembre 2024, http://it.china-embassy.gov.cn/ita/sbdt/202411/t20241115_11527028.htm.
[24] Longxi Zhang, “Mighty Opposites: From Dichotomies to Differences in the Comparative Study of China”, (California, U.S.A.: Stanford University Press, 1998). doi:10.1515/9781503617315.
[25] Cristina Burack, “Marco Polo: The travel writer who shocked medieval Europe”, 18 marzo 2024, Deutsche Welle, https://www.dw.com/en/marco-polo-the-travel-writer-who-shocked-medieval-europe/a-68540522.
[26] Marco Polo, Sir Henry Yule, Henri Cordier, “The Travels of Marco Polo: The Complete Yule-Cordier Edition, Volume 1”, Courier Corporation, 1993.
[27] He Maochun and Zhang Jibing, “Analysis of the National Strategy of the New Silk Road Economic Belt”, 23 dicembre 2013, People’s Tribune, http://www.rmlt.com.cn/2013/1223/203511.shtml.
[28] Dana Rice, “An Overview of China’s Belt and Road Initiative and Its Development Since 2013”, in Securitization and Democracy in Eurasia, eds. A. Mihr, P. Sorbello, and Weiffen (Switzerland: Springer, Cham, 2023), 255-266. doi: 10.1007/978-3-031-16659-4_17 B.
[29] Mustafa Hatipoğlu and Emrah Gökmen, “First China Railway Express line train reaches Turkey”, 7 novembre 2019, Anadolu Agency, https://www.aa.com.tr/en/turkey/first-china-railway-express-line-train-reaches-turkey/163781.
[30] La Cina è capofila dal 2012 della “Cooperazione tra Cina e Paesi dell’Europa Centrale e Orientale” (la cosiddetta formula 14+1) per promuovere rapporti di affari e investimenti.
[31] Elisabetta Nadalutti and Jürgen Rüland, “Hedging ‘Light’: Italy’s Intermezzo With China’s Belt and Road Initiative”, 13 gennaio 2024, The Diplomat, https://thediplomat.com/2024/01/hedging-light-italys-intermezzo-with-chinas-belt-and-road-initiative/
[32] Yuan Li, “Belt and Road: A Logic Behind the Myth”, in China’s Belt and Road: a Game Changer? Ed. Alessia Amighini (Milano, Italia: ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 1a edizione, 2017), 13-34. doi: 10.19201/ispichinasbelt.
[33] Xinhua, “Full Text: Vision and actions on jointly building Belt and Road”, 10 aprile 2017, Belt and Road Forum for International Cooperation, http://2017.beltandroadforum.org/english/n100/2017/0410/c22-45.html.
[34] Charles Simkins, “The Chinese Financial System and Global Economic Stability III – The Silk Road Project”, s.d., Helen Suzman Foundation, https://hsf.org.za/publications/hsf-briefs/the-chinese-financial-system-and-global-economic-stability-iii-the-silk-road-project.
[35] Dulani Seneviratne and Yan Sun, “Infrastructure and Income Distribution in ASEAN-5: What are the Links?”, febbraio 2013, IMF Working Paper, https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1341.pdf.
[36] O.P. Rokplo, “BRICS+ and History of the World Order: Culturological Thinking of «Tsars of the World»”, in International Likhachov Scientific Conference, BRICS as the New Space for Dialogue Among Cultures and Civilizations, Report 2024 (Санкт-Петербург, Российская Федерация: Санкт-Петербургский Гуманитарный университет профсоюзов, The 22nd International Likhachov Scientific Conference, 12-13 April 2024). https://www.lihachev.ru/chten_eng/2024/reports/Rokplo_OP_en_2024.pdf.