IWA MONTHLY FOCUS

CINA E USA: LA COMPETIZIONE NELL’ASIA-PACIFICO PER L’ORDINE GLOBALE

di Glauco D’Agostino

Attendendo l’annunciato faccia a faccia tra i Presidenti Joe Biden e Xi Jinping, Islamic World Analyzes propone questo articolo di Glauco D’Agostino sui vari aspetti della competizione per un nuovo ordine mondiale. Il contributo, scritto prima dell’irrompere della crisi di Gaza sul panorama internazionale, si lega a questo evento non tanto perché anche in questa occasione si potrebbe ipotizzare uno scontro diretto tra i due giganti, quanto perché potrebbe delineare una svolta geo-politica in direzione di nuovi assetti nella governance globale. In questo senso, un impegno militare USA nell’area dell’Asia-Pacifico vedrebbe Washington attiva su un terzo fronte dopo quelli aperti in Ucraina e in Medio Oriente. Un considerevole azzardo?

Fig. 1 – Singapore, cuore dell’Asia-Pacifico

Sommario

La sfida a tutto campo tra U.S.A. e Cina catalizza ormai l’attenzione mondiale soprattutto per gli sviluppi che ne conseguiranno. Lo studio proposto si basa su atti istituzionali, dichiarazioni e valutazioni presentati su documenti ufficiali, saggi, riviste specializzate e articoli di stampa che si stanno occupando di interpretare le intenzioni dei contendenti nell’area più sensibile, l’Asia-Pacifico. Che conseguenze avrà la perdita di egemonia di Washington nella transizione da un mondo unipolare ad uno multipolare? Hanno ancora senso le storiche alleanze, quelle generate ottanta anni fa dalla Guerra Fredda o quelle sorte dopo la Caduta del Muro di Berlino? La celebrazione delle ideologie e il mito della Fine della Storia sono ancora efficaci per affrontare le prove proposte da una società altamente tecnologizzata? Forse la vera incognita è la Cina da quando ha intrapreso il cammino dell’apertura economica ai mercati mondiali. La pretesa dell’Occidente di dominarne i comportamenti si è infranta sulla risolutezza di uomini e istituzioni decisi a competere su uno dei cardini del pensiero euro-atlantico, la concorrenza economica e finanziaria.

L’analisi è condotta su qualificate fonti dai campi contrapposti, ma anche sulle opinioni delle “terze parti” (asiatiche e non) che vivono questa epoca di transizione con apprensione e affidamento al buon senso delle leadership. I risultati sono conseguenti alla presa d’atto di due visioni alternative della strategia per l’ordine globale, l’una fondata sul potere dissuasivo degli assetti militari e l’altra edificata sull’emancipazione dalle dipendenze delle alleanze. Tuttavia, nessuna di queste sottovaluta il potere del dollaro come strumento di potere globale.

Parole-chiave: Cina, Stati Uniti, Asia-Pacifico, India, ASEAN, Global Civilization Initiative, Summit for Democracy.

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Premessa e scopi

Il disegno di questo report si inserisce in più ampi studi condotti sulle dinamiche geo-politiche di vasta scala, in particolare il Medio Oriente, l’Asia Centro-meridionale, il Maghreb e il Sahel. Studi che hanno anche il fine di monitorare lo stato di salute della geo-politica come disciplina. Questa rischia oggi di transitare da dottrina per comprendere come le caratteristiche territoriali (fisico-geografiche, antropiche, relazionali, politico-economiche) influiscano sulle molteplici geo-strategie degli attori internazionali coinvolti a mero strumento di propaganda al servizio dell’ansia di potere dei soggetti dominanti. Nell’era della comunicazione globale, è in gioco il racconto delle vicende storiche (anche attuali) che determinano il futuro degli assetti complessivi.

Tra gli altri, si intravedono due pericoli determinanti: la percezione di eventi bellici localizzati come manifestazioni di contrapposizioni peculiari e transeunti invece che di strumentalizzazioni di scontri tra proxies per la leadership complessiva dei rispettivi conferenti; e la manipolazione delle informazioni per influenzare le opini pubbliche nelle direzioni desiderate dai custodi degli assetti dominanti. Il primo conduce al tema della preservazione dei sistemi consolidati dopo gli eventi bellici del secolo scorso; il secondo a quello del controllo dei media di comunicazione di massa in vista del condizionamento in ordine a giudizi e conseguenti atteggiamenti politici.

In particolare, la storia degli ultimi trenta anni ha determinato l’alterazione della natura della geo-politica verso il ruolo di supporto ideologico per concezioni molto parziali ritenute universali e indiscutibili. Una visione del mondo totalitaria, auto-referenziale, senza alcuna distinzione tra postulati ideali e comportamentali altri e tutta volta ad un cosmopolitismo utopico. Tutto questo per suffragare sì valori e principi apprezzabili, ma soprattutto funzionali al dominio di popoli, territori, relazioni, risorse e avendo come strumento la disponibilità economica e tecnologica.

Ecco il contesto. La competizione nell’Asia-Pacifico di cui qui ci occupiamo è solo un episodio di uno scontro ben più ampio e dalle specifiche ben più rilevanti.[1] Potrebbe corrispondere alle concezioni geo-politiche di Alfred Thayer Mahan sul controllo marittimo. Anche la disputa sul controllo dell’Asia Centrale incontrerebbe la visione euro-asiatica di Halford Mackinder. I protagonisti oggi sarebbero sempre gli stessi: Stati Uniti e Cina. Quello che cambia è il target della controversia e la metodologia d’intervento, in pratica, la lettura della geo-politica e la formalizzazione di nuove geo-strategie. L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale sembra avere disorientato uno dei due contendenti. Il maggiore fruitore di quella disponibilità economica e tecnologica che rappresenta l’asset vincente sembra essere cambiato. Esiste questa consapevolezza?

Il quadro dei riscontri registrati in questa circoscritta disamina è variegato e composito, in dipendenza delle attitudini dei protagonisti o analisti: da quelli allarmisti e pessimisti a quelli più propositivi e realisti. Talvolta resta ancora un sedimento ideologico che pone un preteso giudizio etico alla base della politica internazionale. L’avversione anti-cinese e anti-russa ha preso il posto delle guerre anti-islamiche. E tuttavia traspare la coscienza che le contese ideologiche del passato non siano più sufficienti a fermare la richiesta di partecipazione proveniente da popoli e comunità in crescita. Forse il giudizio etico dovrebbe riguardare anche questa istanza. Ma qui non è in questione la correttezza della rivendicazione, quanto la capacità di intervenire sui processi decisionali globali a difesa dei propri interessi geo-politici, finora sacrificati a vantaggio di altri.

Fig. 2 – L’iniziativa cinese One Belt, One Road (Fonte: The Conversation)

Sempre più gli strumenti tecnologici (il controllo da remoto, l’Intelligenza Artificiale, le applicazioni quantistiche) stanno mutando le modalità d’intervento geo-politico, oggi meno collegate al dominio fisico del territorio. Persino le cosiddette “guerre ibride” hanno insegnato che è velleitaria l’egemonia militare di area senza il consenso degli attori locali interessati. L’Afghanistan e l’area sahelo-sahariana ne sono testimonianza. Al di là delle retoriche interventiste o, viceversa, pacifiste, servono nuove geo-strategie meno aggressive e più aperte ad una vera cooperazione internazionale basata su mutui interessi da condividere. Forse le Vie della Seta fanno paura per questo, ma Iran e Arabia Saudita, storicamente avversarie, non seguono la strada dell’inibizione forzata. La competizione del XXI secolo si svolge su questi parametri.

Ancora una notazione riguardante lo spettro di questo report che è relativo all’uso del linguaggio e alla sua forza di condizionamento dell’opinione pubblica. La comunicazione riveste un’importanza fondamentale proprio nel momento in cui l’Intelligenza Artificiale sta per aprire nuovi orizzonti in questo campo. Un campo minato secondo l’Occidente, se è vero che al Trade and Technology Council del 2021 USA e UE, con chiari riferimenti alla Cina, hanno sollevato preoccupazioni sul suo utilizzo per sistemi di classificazioni finalizzati al controllo sociale su larga scala. Eterogenesi dei fini, verrebbe da dire, per chi sul controllo della comunicazione ha basato la sua influenza geo-politica.

L’uso improprio e metodologicamente scorretto di termini come “dittatore”, “massacro”, “asse del male”, “terrorista”, “jihād” appartiene alla propaganda politica e non alla geo-politica. Anche i sistematici sospetti sull’utilizzo di strumenti che non si ha nemmeno la capacità di gestire correttamente appartengono a questa fattispecie.       La correttezza sull’utilizzo di fonti indipendenti attendibili riguarda lo stesso problema. Forse non basta se una notizia proviene dalla Casa Bianca o dal Dipartimento di Stato. Potrebbe anche essere una fake news strumentale.

È quanto questa ennesima esperienza di studio si è proposto nel quadro di una più ampia osservazione condotta nel tempo e in più ambiti territoriali e disciplinari.

Introduzione

“My gut tells me we will fight in 2025. Xi secured his third term and set his war council in October 2022. Taiwan’s presidential elections are in 2024 and will offer Xi a reason. United States’ presidential elections are in 2024 and will offer Xi a distracted America. Xi’s team, reason, and opportunity are all aligned for 2025.” L’avvertimento, più che una predizione, arriva nientemeno che dal Gen. Michael A. Minihan, Comandante dell’Air Mobility Command della U.S. Air Force.[2] Eppure, al 2022 G20 Bali Summit, Joe Biden and Xi Jinping avevano escluso perfino un ritorno alla Guerra Fredda.

Quello di Minihan sembra un segnale di disperazione più che di speranza per gli States, ormai avvinti in una spirale di belligeranza continua, che dalla Caduta del Muro di Berlino li ha visti intervenire nei più svariati teatri di guerra, da Panama al Golfo, dalla Somalia all’ex Jugoslavia, da Haiti all’Afghanistan, dallo Yemen all’Iraq, dal Pakistan alla Libia, dall’Uganda al Niger, alla Siria. Tutti questi Paesi minacciavano presuntamente gli interessi di Washington. Oggi è il turno della Cina, il cui ultimo conflitto armato, se si escludono le scaramucce con l’India, è stato risolto nel 1991 con il Vietnam.

L’atteggiamento geo-politico di Pechino, tanto minaccioso secondo Washington, si sostanzia in quanto riporta Henry Huiyao Wang, Fondatore e Presidente del Centro per la Cina e la Globalizzazione (CCG), sulla guerra in Ucraina: “La Cina è l’unico Paese terzo a uscire da questo conflitto diretto e ha legami economici con Russia, Ucraina, U.E. e Stati Uniti”.[3] Nel frattempo, la Casa Bianca, attraverso la partnership trilaterale di sicurezza AUKUS siglata assieme al Regno Unito, si adopera per trasferire all’Australia la tecnologia per la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare, alterando la geografia delle Zone Libere da Armi Nucleari (NWFZ) nell’emisfero australe e inducendo una escalation nella corsa agli armamenti.

Dove vanno Stati Uniti e Cina? Che ruolo giocano nel Pacifico e con quali prospettive? Basta ricorrere al generico concetto di “interesse nazionale” per fare riferimento all’altrettanto generico “ordine internazionale”? Forse l’infelice esperienza della Eight-Nation Alliance che invase la Cina all’inizio del secolo scorso e ne determinò la dipendenza dall’Occidente non può essere ripetuta.

Sogno Cinese o sfide alla sicurezza euro-atlantica?

La iper-citata frase sul mondo tremante dopo il risveglio della Cina, attribuita a Napoleone via Lenin e Alain Peyrefitte, sembra materializzarsi improvvisamente all’attualità, uscendo dalla sua natura letteraria e scenografica e entrando a piè pari in questo decennio nella realtà geopolitica del XXI secolo.

Eppure, la preparazione è stata meticolosa. All’insegna dell’Intelligenza Artificiale, la Cina rappresenta un’idea di futuro contrapposta al letargo occidentale.[4] Secondo David Goldman, Business Editor di Asia Times, la Cina supererà gli Stati Uniti come superpotenza poiché mira a controllare le tecnologie chiave della Quarta Rivoluzione Industriale, in particolare le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale su grandi quantità di dati.[5]

Fig. 3 – Il Presidente Cinese Xi Jinping

E dunque il Sogno Cinese, evocato nel 2012 da Xi Jinping alla mostra La strada verso il Rinnovamento Nazionale al Museo Nazionale della Cina di Piazza Tian’anmen, continua il suo percorso.[6] Quanto alle sue motivazioni, è interessante l’analisi di Xiāng Lánxīn, Professore di Storia e Relazioni Internazionali presso il Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID) di Ginevra. Individua alcuni sogni cinesi: ripristinare la gloria passata dello Stato e la memoria imperiale di una Cina moderna, ricca e potente; e mantenere la stabilità sociale, rendendo il popolo cinese orgoglioso e felice.

Nella sessione inaugurale del XX Congresso del Partito Comunista Cinese, il Presidente Xi era stato chiaro: garantire che la nazione sia leader nel mondo in termini di composita forza nazionale e influenza internazionale. E, più recentemente, al Summit tra Partito Comunista Cinese e partiti politici del mondo, tenutosi a Pechino il 15 marzo scorso, proponendo la Global Civilization Initiative, aveva sottolineato la necessità che i Paesi si astengano dall’imporre i propri valori o modelli agli altri e valorizzino appieno la rilevanza delle loro storie e culture per i tempi presenti.[7]

Fig. 4 – Il Presidente degli Stati Uniti Biden al Summit per la Democrazia 2021

Gli Stati Uniti, ben consapevoli dell’intenzione dichiarata del Presidente cinese di creare un nuovo ordine regionale guidato da nazioni asiatiche, alla Global Civilization Initiative rispondono con il Summit for Democracy, che non a caso si è svolto quest’anno due settimane dopo il citato meeting internazionale di Pechino. Al rispetto per i valori delle “altre civiltà”, Biden contrappone il sostegno alle istituzioni democratiche, ai diritti umani, allo stato di diritto e alla libertà dei media.

Più esplicito il new Strategic Concept della NATO adottato al Summit di Madrid a giugno 2022, quando, in un inedito attacco alla Cina, sostiene che “si sforza di sovvertire l’ordine internazionale basato su regole” e “l’approfondimento del partenariato strategico tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa e i loro tentativi reciprocamente consolidanti di minare l’ordine internazionale basato su regole sono contrari ai nostri valori e interessi”.[8] Anche l’esplicito intervento dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord sul quadrante del Pacifico rappresenta un inedito e un surge preoccupante a ragione del suo carattere militare. E le motivazioni di questa presa di posizione lo sono ancora di più: “le sfide sistemiche poste dalla Repubblica Popolare Cinese alla sicurezza euro-atlantica”. Come dire, la NATO non consentirà nel Pacifico la nascita di un leader regionale che sfidi l’asserita predominanza americana.

Al di là dei dati sui livelli di commerci e investimenti, Washington è cosciente del declino della sua influenza nella regione[9] e lo traduce in un attacco cinese all’ordine internazionale, come se l’accresciuta importanza degli attori asiatici confliggesse con il diritto internazionale. Certo, la Cina ne è la beneficiaria, perché ha promosso e ha saputo creare le adeguate cooperazioni bilaterali tra i Paesi dell’area, secondo la dottrina geo-politica che la ispira per partnership che non prendano di mira un presunto nemico o terze parti.[10]

Strategia diplomatica vs. strategia militare

L’obiettivo che contrappone le due super-potenze è chiaramente il controllo dell’intero commercio marittimo asiatico.[11] Questo quadro spiega la crescente attenzione che la strategia della Casa Bianca del Presidente Obama e del suo Segretario di Stato Hillary Clinton ha posto nella regione dal 2011 e la conseguente risposta cinese nel Mar Cinese Meridionale in termini di dinamismo marittimo.

Fig. 5 – Principali aree delle culture dell’Oceania

Tralasciando il complottismo su una strategia cinese in “zona grigia”, Pechino è intenzionata a percorrere la strategia diplomatica piuttosto che quella militare per raggiungere le sue finalità. Ne è un esempio il patto di sicurezza con l’ex Protettorato britannico delle Isole Salomone, nel Pacifico meridionale, che da aprile dell’anno scorso consente alla Cina di effettuarvi visite navali, effettuare rifornimenti logistici e fare scalo e transizione. Washington, a sua volta, ha risposto a febbraio di quest’anno riaprendo dopo 30 anni la sua ambasciata a Honiara, sull’isola di Guadalcanal. Forse orgoglio storico (la Guadalcanal campaign) o forse realismo geo-politico, fatto sta che gli Americani non intendono lasciare alla Cina uno spazio nel Pacifico verso cui ritengono di esercitare una loro responsabilità.

Quel che è certo è che l’area Asia-Pacifico non avrà (e non ha già) una sola potenza egemone, in una vera e propria transizione tra un mondo unipolare ad uno multipolare. Ne è convinto Stephen Biddle, Professore della School of International and Public Affairs presso la Columbia University, secondo quanto riportato nella sua intervista al magazine The Atlantic:[12]

Fig. 6 – Impegni militari degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico (Fonte: Mauldin Economics)

Ma ne era già convinto il Presidente Biden, quando varava la sua Interim National Security Strategic Guidance. Dopo aver riconosciuto che “la distribuzione del potere nel mondo sta cambiando”, affermava anche che “La Cina … è l’unico concorrente potenzialmente in grado di coniugare il proprio potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per lanciare una sfida duratura a un sistema internazionale stabile e aperto”.[13] Ancora più tranchant Elbridge Colby, co-fondatore della Marathon Initiative per preparare gli Stati Uniti a un’era di dura competizione tra grandi potenze. Nel suo recente libro The Strategy of Denial, scrive: “Anche se il dominio militare USA sulla Cina è certamente auspicabile, semplicemente non è più raggiungibile”.

Alle preoccupazioni americane avevano fatto seguito i risoluti atteggiamenti dell’Unione Europea derivanti dalla Strategia dell’U.E. per la Cooperazione nella Regione Indo-Pacifica, in particolare la sottolineatura dell’importanza di una significativa presenza navale europea nell’Indo-Pacifico.[14] E, tra i Paesi europei più determinati, si è distinta la Germania di Olaf Scholz, in carica dalla fine del 2021. Molti analisti ritengono il governo del Cancelliere, che comunque sostiene l’Accordo Globale sugli Investimenti (CAI) proposto per favorire gli investimenti tra Unione Europea e Cina, molto meno ben disposto nei confronti di Pechino di quanto non sia stata la predecessora Angela Merkel, al punto di considerare la Cina come rivale sistemico.[15]

Stati Uniti e Unione Europea stanno prendendo contromisure nei confronti dell’impegno cinese nell’Asia-Pacifico, intensificando la loro presenza nella regione attraverso accordi commerciali, ma anche con approcci che riguardano la sicurezza e il coinvolgimento militare dei suoi alleati e prospettive di condivisione di informazioni, esercitazioni o addirittura centri di comando congiunti. In particolare, il Presidente Biden intende cooptare Unione Europea e NATO in un ombrello di salvaguardia per i suoi alleati nel Pacifico. La Casa Bianca punta sul ruolo di Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Filippine e Thailandia; e, a sottolineare la partnership con Stati non-membri dell’area, al 32° Summit NATO di Madrid dello scorso anno i primi quattro Paesi citati sono stati invitati per la prima volta a partecipare ai lavori.

Naturalmente, resta il forte legame che connette gli Stati Uniti a Taiwan in forza del Taiwan Relations Act, che dal 1979 regola i rapporti non-diplomatici tra i due governi.[16] Tra le mille tensioni che giornalmente scuotono le diplomazie e le opinioni pubbliche in ordine alla situazione militare attorno all’isola e con la recente fornitura di armi difensive a Taipei, il Presidente Biden assicura che gli Stati Uniti non supportano cambiamenti nello status quo da nessuna delle due parti, chiudendo tanto alla probabilità di un’indipendenza unilaterale da parte di Taipei, quanto ad un’annessione cinese con l’uso della forza.

I rapporti con India e ASEAN

Fig. 7 – Paesi membri ASEAN e ASEAN+

Fig. 8 – 43° Summit ASEAN 2023 (Fonte: Segretariato ASEAN)

La strategia Indo-Pacifica di Washington, formalizzata dal Presidente Trump nel 2019 con il documento A Free and Open Indo-Pacific,[17] chiama a raccolta “alleati, partner e istituzioni regionali come l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), gli Stati del Mekong, i Paesi delle Isole del Pacifico, Taiwan”, ma riserva l’appellativo di “nostro partner strategico” all’India. Nuova Delhī, secondo le intenzioni della Casa Bianca, dovrebbe tuttora essere un pilastro della politica americana nel Pacifico, avendo già aderito a strumenti geo-politici per il contenimento della Cina, come il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza (QUAD) assieme a Stati Uniti, Giappone e Australia, e l’iniziativa Quadro Economico Indo-Pacifico per la Prosperità comprendente Giappone, Corea del Sud e Australia.

Fig. 9 – Stati membri del Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP)

Tuttavia l’India, che comunque non mostra interessamento ad eventuali collaborazioni con la NATO, non intende essere tributaria degli interessi americani e controbilancia queste adesioni con l’appartenenza all’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi (SCO) d’iniziativa russo-cinese e ai BRICS, che non fanno mistero di considerarsi alternativi al modello di governance del G7. Evidentemente Delhī mostra cautela nell’atteggiamento verso Pechino, che considera il QUAD come un gruppo di sicurezza informale anti-Cina, e verso Mosca, con cui non vuole interrompere gli storici legami di sicurezza.[18] E dimostra scetticismo verso accordi commerciali multilaterali guidati dal Giappone (l’Accordo Globale e Progressivo per il Partenariato Trans-Pacifico, CPTPP, erede del mai ratificato Partenariato Trans-Pacifico, TPP) o dall’ASEAN (il Partenariato Economico Globale Regionale, RCEP).

Fig. 10 – Gli Investimenti Diretti Esteri USA nell’Asia-Pacifico (Fonte: Mauldin Economics)

Proprio il rapporto con l’ASEAN resta comunque il centro degli appetiti di Cina e Stati Uniti, la prima direttamente attraverso il RCEP dal 2020 e la seconda attraverso il Partenariato Strategico Globale ASEAN-U.S. del 2022.[19] Pechino e Washington sono già rispettivamente il più grande partner commerciale regionale dell’ASEAN e la sua maggiore fonte di investimenti diretti esteri. Ma, se per Pechino si aprono opportunità di scambi commerciali in tutta l’area del Pacifico, per Washington questa entità politico-economica asiatica rappresenta la porta d’accesso essenziale per il sostegno ad una sua risoluzione degli equilibri strategici guidata a livello regionale (Sexton, 2022).

Nel 1996 l’ASEAN fu promotrice della necessità di un Codice di Condotta regionale (CoC) nel Mar Cinese Meridionale, con l’intenzione di mitigare le pretese cinesi nell’area.[20] A 27 anni di distanza da quella proposta formulata dai Ministri degli Esteri dei Paesi membri, nessuna intesa è stata raggiunta. Il quadro giuridico è complicato, ma ancora di più lo è la trattativa diplomatica con gli Stati interessati.

Anche gli analisti sono divisi sulle interpretazioni della vicenda. Dice Ian Storey, membro anziano presso l’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore: “Il CoC dovrebbe essere giuridicamente vincolante? La maggior parte degli Stati membri dell’ASEAN sembra sostenerlo, ma la Cina è contraria”. Più problematico Sourabh Gupta, membro anziano residente presso l’Institute for China-America Studies (ICAS) di Washington, quando sostiene che Pechino ritiene che “non dovrebbe esserci alcun ruolo per le società esterne in aree chiave della cooperazione economica marittima, in primo luogo nello sviluppo di petrolio e gas, né alcuna esercitazione militare congiunta con Stati extra-regionali”. In pratica, secondo B.A. Hamzah, Direttore del Centro per gli Studi sulla Difesa e la Sicurezza Internazionale presso l’Università Nazionale della Difesa della Malaysia, la logica di Pechino è: “Se il CoC non riesce a tenere a bada le forze armate USA, perché Pechino dovrebbe ratificarlo? Per la Cina, l’ASEAN ha funzionato come mandatario di Washington”.[21]

Incisiva l’analisi di Digby James Wren, Consigliere speciale senior presso l’Istituto di Relazioni Internazionali dell’Accademia Reale di Cambogia: “Gli sforzi degli Stati Uniti per creare un cuneo tra l’ASEAN e le altre economie, nonché per dividere l’ASEAN, hanno spinto alcuni stati membri dell’ASEAN a ritardare o rifiutarsi di firmare il Codice di Condotta del Mar Cinese Meridionale sponsorizzato dalla Cina e a sviluppare legami diplomatici e commerciali più stretti con Taiwan”.[22] Visione realistica quella di Bilahari Kausikan, già Ambasciatore Straordinario di Singapore: “Il CoC è uno strumento utilizzato da entrambe le parti, non solo dalla Cina, per gestire le relazioni. Quando il rapporto è teso, non discutiamo del CoC. Quando il rapporto migliora, facciamo finta di discutere del CoC”.

Fig. 11 – Le isole artificiali cinesi nel Mar Cinese Meridionale

Fig. 12 – Le controversie territoriali nelle quali è coinvolta la Cina

Le dispute territoriali in cui la Cina è coinvolta riguardano:

  • la sua funzione di amministratore de jure o de facto ( es. le Isole Paracelso, contestate anche dal Vietnam e da Taiwan, e la Secca di Scarborough, rivendicate anche da Filippine e Taiwan);
  • il suo ruolo di investitore militare ritenuto illegale, così come per altre forze militari da Malaysia, Vietnam, Taiwan o Filippine (come sulle Isole Spratly);
  • la sua rivendicazione di isole rientranti all’interno della linea dei nove tratti tracciata da Pechino e “derivante da pratiche storiche precedenti alla formazione delle moderne leggi internazionali del mare”.[23] Si sovrappone alle rivendicazioni sulle Zone Economiche Esclusive (ZEE) di Taiwan, Filippine, Vietnam, Malaysia, Indonesia e Sultanato del Brunei Darussalam;
  • l’appartenenza di un territorio ad una sua ZEE, come la Roccia di Socotra, nel Mar Giallo, contestata dalla Corea del Sud.

Altre controversie territoriali nel Sud-Est asiatico coinvolgono i Paesi della regione fra di loro, ma senza che l’ASEAN intervenga direttamente nella risoluzione, devoluta invece alle trattative bilaterali. Tra queste emergono:[24]

  • la definizione delle acque territoriali di Indonesia e Malaysia nel Mare di Sulawesi e nella parte più meridionale dello Stretto di Malacca;
  • la delimitazione della linea di confine della ZEE indonesiana con Vietnam e Filippine;
  • la delineazione della piattaforma continentale tra Vietnam e Malaysia;
  • la definizione di proprietà su alcune secche delle Isole Spratly, contese tra Vietnam e Filippine;
  • la disputa tra Malaysia e Filippine su gran parte della parte orientale dello Stato di Sabah, appartenente allo Stato federale malese e rivendicato dalle Filippine come successore del Sultanato di Sulu.

Osservazioni finali

Due mesi prima che la Cina entrasse formalmente come membro del WTO, gli Stati Uniti e i suoi alleati invadevano l’Afghanistan, Paese ai suoi confini, e due anni prima bombardavano “per errore” l’Ambasciata cinese a Belgrado. Qualcuno malevolmente potrebbe vederci un nesso, cioè quello degli avvertimenti preventivi nel momento in cui Pechino si immetteva nella competizione del commercio globale. Erano gli anni di Jiang Zemin, che continuava l’opera riformatrice iniziata da Deng Xiaoping, e l’inizio della stagione bellicista di George W. Bush che avrebbe condotto alla crisi finanziaria del 2008.

Nonostante il suo status di Non-market economy riconosciuto dai protocolli di accesso al WTO, iniziava per la Cina il processo di apertura dell’economia, con la “deregulation” nei settori dell’industria di stato e la proiezione sul mercato degli investimenti esteri in tutti i settori, fino a condurla al primo posto nel mondo per PIL (Parità di Potere d’Acquisto valutato in International $) e nel commercio internazionale, superando gli Usa rispettivamente di 6.000 e 9.000 miliardi di dollari.[25] Oggi quello che preoccupa Washington è, in termini di economia mondiale, anche la predominanza cinese nell’offerta delle terre rare e nella produzione di componenti elettronici, personal computer, condizionatori e telefoni; in termini di geo-politica, la sua capacità di coinvolgimento di decine di Paesi nella Belt and Road Initiative, seguendo la strategia di Xi secondo cui i Paesi possono anche essere partner se cercano un terreno comune pur mantenendo le differenze.[26]

Come affrontare questo risveglio della Cina? Non pare che la Casa Bianca abbia le idee chiare su questo. Se il terreno è quello della Guerra Fredda, come il Presidente Xi denuncia nei confronti di Washinton, la competizione per gli States è persa in partenza. I patti stretti a Yalta e Potsdam con l’Unione Sovietica prevedevano una tacita intesa per la condivisione del mondo in due blocchi e basata sull’equilibrio degli armamenti. La sfida che lancia Pechino è costruita sul terreno della concorrenza economica, cioè uno dei cardini del pensiero occidentale e su cui gli Stati Uniti hanno radicato la loro egemonia.

Al Presidente Biden potrebbe non bastare la chiamata a raccolta sull’impegno ideologico a difesa della democrazia e contro l’autoritarismo. Esibire questi argomenti è già una presa d’atto della resa sul piano del pragmatismo. E così, mentre Xi percorre imperturbabile la sua strada di programmazione strategica al 2049 aggregando sempre più Paesi attorno all’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi, nei centri del potere americano si discute se l’avversario sia da individuarsi a Pechino (come preconizzava Trump) o a Mosca (come di fatto assicura Biden). Nell’indecisione, ora l’Amministrazione si trova con due fronti aperti contemporaneamente sul Mar Nero e sul Pacifico e si affida alla NATO (che Trump aveva praticamente ridimensionato) per aprire scenari bellici in Oriente. Tuttavia, tra scandali e processi, il contesto potrebbe cambiare ad ottobre del prossimo anno quando i due nemici (più che avversari) si sfideranno nelle urne in una contesa che questa volta si spera abbia risultati condivisi per lo meno sul piano dell’accettazione dello stato di diritto.

L’America non ha più le risorse per poter sostenere il costo dello sviluppo mondiale che ha guidato per 30 anni. Il suo Impero cade per un deficit di credibilità piuttosto che per aggressività degli avversari.[27] Come già era successo per il Regno Unito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la ineluttabile sostituzione della leadership sui mari. Ma sul controllo dei mari ancora una volta si giocano le sorti del mondo 80 anni dopo.

Questo deficit di credibilità sta interessando anche lo strumento del potere indiscusso del suo dominio: il dollaro. Ma il nuovo movimentismo cinese si affaccia anche su questo terreno e lentamente sta facendo breccia nel sistema economico-finanziario. Il rénmínbì, la cui internazionalizzazione viene ritenuta graduale ma inevitabile, rappresenta una delle valute più attive in valore per i pagamenti a livello mondiale. Di certo non può competere al momento con la potenza del dollaro o dell’euro, che insieme costituiscono i tre quarti del valore delle transazioni internazionali. Ma i casi di scostamento dal sistema corrente sono in crescita. Ad esempio:

  • La Cina ha già stabilito accordi con più di 25 Paesi per regolare pagamenti reciproci in rénmínbì tra aziende e istituzioni finanziarie con accesso diretto ai sistemi di pagamento nazionali (China National Advanced Payment System, CNAPS) e internazionali (Cross Border Interbank Payment System, CIPS).[28]
  • Dopo l’esortazione della Bank Indonesia a ottobre dello scorso anno a ridurre la dipendenza dei mercati finanziari indonesiani dal dollaro USA, si fa strada un sistema di pagamento bidirezionale basato sulle valute nazionali, come già acconsentito da Cina, Giappone, Thailandia e Malaysia e come Singapore e Filippine intendono fare.
  • A seguito dei colloqui tra Arabia Saudita e Cina del marzo 2022, funzionari di entrambi i Paesi stanno valutando la possibilità di fissare i prezzi di alcune vendite di petrolio in rénmínbì invece che in dollari USA.
  • L’India, che non ha aderito alle sanzioni contro la Russia, ha reso nota la possibilità di utilizzare il rénmínbì per le importazioni del suo petrolio. La stessa India considera la New Development Bank (NDB), proposta da Delhī come entità multilaterale di sviluppo tra i Paesi BRICS, come strumento di aggregazione regionale anche per la promozione dell’uso delle monete locali.
  • L’anno scorso la Sberbank, tra gli istituti di credito dominanti in Russia, ha annunciato l’emissione di obbligazioni in rénmínbì.
  • All’inizio di quest’anno la Central Bank of Brazil ha siglato un Memorandum d’Intesa con la People’s Bank of China per costituire il rénmínbì come strumento di transazioni commerciali e finanziarie.

Gli ultimi esempi citati riguardano India, Russia e Brasile, tre dei Paesi BRICS. Le azioni riferite sono il frutto della Dichiarazione di Ufa che nel luglio 2015 concludeva il 7° Summit dei BRICS con l’esortazione rivolta ai Paesi membri a incentivare l’uso delle valute nazionali nelle reciproche transazioni (D’Agostino, 2022). Otto anni dopo, una teorizzazione dal sapore politico è ancora in marcia per tradursi in realizzazione concreta. E tuttavia, acquista solidità l’aggregazione internazionale proponente, che, in linea con la Nuova Tipologia di Partenariato per la Sicurezza di Xi, non costituisce né un’alleanza né un fronte ideologico, mentre si intensificano le richieste di adesione (dalla Repubblica Islamica dell’Iran all’Algeria, dall’Egitto agli Emirati Arabi Uniti, dall’Etiopia all’Argentina) e cresce l’interessamento alla membership (più di 25 Paesi, di cui la maggior parte a maggioranza islamica e la metà asiatici).

Né la Casa Bianca né le maggiori istituzioni finanziarie mondiali sembrano preoccuparsene ufficialmente perché il dollaro costituisce le riserve valutarie degli Stati. “Il dollaro è la nostra valuta, ma è un tuo problema”, disse nel 1971 l’allora Segretario USA al Tesoro John Connally Jr. ai suoi interlocutori del Gruppo dei Dieci. Ma forse il mondo multipolare è già alle viste e non è detto che sia senza scossoni.

 

RIFERIMENTI

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[1] Sull’argomento si veda anche il mio articolo “Global Governance: Is Asia’s Time Coming?” Geopolitica. Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie, n. 96-97 (4/2022): 49-70, Bucureşti: Top Form, https://www.geopolitic.ro/2023/02/global-governance-asias-time-coming/; e “Tehrān towards Beijing and Moscow: Strategic alliances and overcoming divergences,” Geopolitica, n. 92-93 (1/2022), Bucureşti: Top Form, https://www.geopolitic.ro/2022/02/tehran-towards-beijing-moscow-strategic-alliances-overcoming-divergences/

[2] Dan Lamothe, “U.S. general warns troops that war with China is possible in two years,” The Washington Post, 27 gennaio 2023, https://www.washingtonpost.com/national-security/2023/01/27/us-general-minihan-china-war-2025/

[3] Riportato in Francese da Jean-François Fiorina, all’epoca Vice Amministratore Delegato della Grenoble École de Management. Jean-François Fiorina, “Suite de mon recueil de phrases géopolitiques (aujourd’hui la Chine),” LinkedIn, 26 aprile 2022.

[4] Giuseppe Porcaro, Alicia García-Herrero e Lyu Guangzhao, “China’s tales of the future”, podcast audio agosto 2022 da ZhōngHuá Mundus by Bruegel, https://open.spotify.com/episode/5LefIkEP9dQHeNgUkf9RyM?si=59013b27ada74628&nd=1.

[5] Laure Mandeville and David P Goldman, “AT tells Le Figaro why China is winning the tech war”, Asia Times, 14 dicembre 2020, https://asiatimes.com/2020/12/at-tells-le-figaro-why-china-is-winning-the-tech-war/

[6] Tao Xie, “Opinion: Is President Xi Jinping’s Chinese dream fantasy or reality?”, CNN, 14 marzo 2014, https://edition.cnn.com/2014/03/14/world/asia/chinese-dream-anniversary-xi-jinping-president.

[7] Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, “Xi Jinping Attends the CPC in Dialogue with World Political Parties High-level Meeting and Delivers a Keynote Speech”, 16 marzo 2023, https://www.fmprc.gov.cn/eng/zxxx_662805/202303/t20230317_11043656.html.

[8] NATO / OTAN, “NATO 2022 Strategic Concept”, Par. Strategic Environment, pag. 5, 29 giugno 2022, https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/290622-strategic-concept.pdf.

[9] Renard Sexton, “Finding a Balanced China Policy: Constraints and Opportunities for Southeast Asian Leaders”, in Essays on China and U.S. Policy, ed. Lucas Myers (Washington, DC: Woodrow Wilson International Center for Scholars, 2022), 501-519.

[10] China.org.cn. “A New Type of Security Partnership.” 4 novembre 2021, http://www.china.org.cn/english/china_key_words/2021-11/04/content_77851554.html#:~:text=A%20New%20Type%20of%20Security%20Partnership%20The%20Eighth,governance%20responding%20to%20the%20development%20of%20the%20times.

[11] Secondo la Review of Maritime Transport 2021 a cura della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), il commercio marittimo globale asiatico ha mantenuto una quota del 41% sul totale delle merci caricate e si avvale di otto dei primi dieci porti, di cui cinque in Cina.

[12] Dice Biddle: “Siamo diretti verso un probabile futuro di sfere di influenza in competizione… Avremo un modello di potere e influenza più differenziato nella regione in cui non esiste un solo egemone che può andare dove vuole e fare quello che vuole”. Vedi Michael Schuman, “China Could Soon Be the Dominant Military Power in Asia”, The Atlantic, 4 maggio 2023, https://www.theatlantic.com/international/archive/2023/05/china-military-size-power-asia-pacific/673933/

[13] Joseph R. Biden, Jr., “Interim National Security Strategic Guidance”, The White House, marzo 2021, https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2021/03/NSC-1v2.pdf, 7-8.

[14] Council of the European Union, “EU Strategy for Cooperation in the Indo-Pacific”, 16 aprile 2021, https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7914-2021-INIT/en/pdf.

[15] Thomas Kohlmann, “Opinion: Germany makes long overdue economic pivot in Asia”, Deutsche Welle, 19 novembre 2022, https://www.dw.com/en/opinion-germany-makes-long-overdue-economic-pivot-in-asia/a-63804530.

[16] United States Congress, “Taiwan Relations Act”, U.S. Government Information, 10 aprile 1979, https://www.govinfo.gov/content/pkg/STATUTE-93/pdf/STATUTE-93-Pg14.pdf.

[17] Department of State, United States of America, “A Free and Open Indo-Pacific. Advancing a Shared Vision”, 4 novembre 2019, https://www.state.gov/wp-content/uploads/2019/11/Free-and-Open-Indo-Pacific-4Nov2019.pdf.

[18] Christopher K. Colley, “The Emerging Great Power Triangle: China, India and the United States in the Indian Ocean Region”, in Essays on the Rise of China and Its Implications, ed. Abraham M. Denmark and Lucas Myers (Washington, DC: Woodrow Wilson International Center for Scholars, 2021), 59-86.

[19] The White House, “ASEAN-U.S. Leaders’ Statement on the Establishment of the ASEAN-U.S. Comprehensive Strategic Partnership”, 12 novembre 2022, https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2022/11/12/asean-u-s-leaders-statement-on-the-establishment-of-the-asean-u-s-comprehensive-strategic-partnership/

[20] Il quotidiano cinese Global Times, ispirato dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, Quotidiano del Popolo, così descrive i livelli di rivendicazione cinese nel Mar Cinese Meridionale: “In generale, le rivendicazioni della Cina nel MCM comprendono tre livelli: in primo luogo, la Cina ha la sovranità sulle isole del Mar Cinese Meridionale, comprese le Four Sha [quattro gruppi di isole nel MCM]. In secondo luogo, secondo l’UNCLOS [Convenzione ONU sul Diritto del Mare], la Cina gode delle acque interne, delle acque territoriali, della zona contigua, della zona economica esclusiva e della piattaforma continentale basata sulle quattro isole. In terzo luogo, la Cina ha diritti storici nel MCM”.

[21] Bill Hayton, “After 25 Years, There’s Still No South China Sea Code of Conduct”, Foreign Policy, 21 luglio 2021, https://foreignpolicy.com/2021/07/21/south-china-sea-code-of-conduct-asean/

[22] Digby James Wren, “NATO part of US ocean-front strategy”, China Daily, 2 febbraio 2023, https://www.chinadaily.com.cn/a/202302/02/WS63db2ee3a31057c47ebac8ea.html.

[23] Chen Xiangmiao, “’Four Sha’ rumors aiming to fool world contrary to development trend of SCS”, Global Times, 24 gennaio 2022, https://www.globaltimes.cn/page/202201/1246779.shtml.

[24] Resty Woro Yuniar, “Explainer | Indonesia’s land and maritime border disputes with Malaysia, the Philippines and Vietnam”, South China Morning Post, 12 gennaio 2022, https://www.scmp.com/week-asia/explained/article/3163035/indonesias-land-and-maritime-border-disputes-malaysia; Nguyen Hong Thao, “Malaysia’s New Game in the South China Sea”, The Diplomat, 21 dicembre 2019, https://thediplomat.com/2019/12/malaysias-new-game-in-the-south-china-sea/

[25] International Monetary Fund, “World Economic Outlook Database”, aprile 2023, https://www.imf.org/en/Publications/WEO/weo-database/2023/April.

[26] Xinhua, “Full text: China’s Policies on Asia-Pacific Security Cooperation”, The State Council of the People’s Republic of China, 11 gennaio 2017, http://english.www.gov.cn/archive/white_paper/2017/01/11/content_281475539078636.htm.

[27] Anis H. Bajrektarevic, “Unavoidability of Sino-American Rift: History of Strategic Decoup”, International Institute for Middle East and Balkan Studies (IFIMES), 25 dicembre 2021, https://mailchi.mp/753db3b52d87/analysis-prof-dr-anis-h-bajrektarevic-unavoidability-of-sino-american-rift-history-of-strategic-decoupling?e=9ba89dd268.

[28] Le fonti d’informazione delle notizie sono: Valor International, 14 febbraio 2023, https://valorinternational.globo.com/economy/news/2023/02/14/agreements-could-increase-use-of-renminbi-in-brazil-china-trade.ghtml; Al Mayadeen, 15 ottobre 2022, https://english.almayadeen.net/news/economics/bank-indonesia-calls-against-payments-in-us-dollars; Geopolitical Report ISSN 2785-2598, no. 30 (4/2023), Rome, Italy: SpecialEurasia, https://www.specialeurasia.com/2023/04/13/saudi-arabia-us-dollar-yuan/; Cash Treasury Management File, 23 giugno 2022, https://ctmfile.com/story/brics-countries-keen-to-develop-own-payment-systems-industry-roundup-twenty-third-june; Universo Online, 29 marzo 2023, https://noticias.uol.com.br/colunas/jamil-chade/2023/03/29/brasil-exportara-para-china-sem-passar-por-dolar.htm.

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