IWA MONTHLY FOCUS

GLOBAL GOVERNANCE: STA ARRIVANDO IL MOMENTO DELL’ASIA?

di Glauco D’Agostino

Xi Jinping e Putin a Samarcanda al Summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi (SCO) del 2022

Il primo anniversario dell’aggravarsi della crisi ucraina (le operazioni belliche erano già iniziate nove anni fa) registra ancora due fronti in contrapposizione: quello dei leader occidentali, assertivi e insistenti sulla necessità della guerra giusta come risoluzione delle controversie internazionali, e il fronte pacifista, incessantemente impegnato per un’azione diplomatica di composizione, malgrado le divergenze ideologiche. Un fronte asiatico non certo omogeneo si distingue oggi come attore internazionale che si propone come mediatore, il ruolo che spetta alle grandi potenze fino a ieri impersonato dagli Stati Uniti d’America, che invece all’attualità sono parte del conflitto assieme ai subordinati alleati europei. Le proposte di pace della Cina di Xi Jinping presentate oggi ne sono una testimonianza non solo sul piano tattico, ma come programma strategico di lungo respiro per la governance globale. Un duro colpo per i produttori di armi rappresentati nelle istituzioni e per i Paesi NATO produttori di gas che dalle sanzioni hanno lucrato e lucrano tuttora enormi guadagni. Islamic World Analyzes propone la seguente analisi geo-politica di Glauco D’Agostino, la cui versione in Inglese è stata per prima pubblicata in “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XX, nr. 96-97 (4/2022) “CENTRE DE PUTERE AXE ŞI FALII GEOPOLITICE“.

Sommario

Il mondo sembra indirizzato verso un nuovo ordine multipolare o forse già lo è. Il motore di questo processo è senz’altro la Cina. I segnali in tal senso sono ormai presenti da molti anni, sebbene i tempi ancora acerbi e una saggia prudenza sconsiglino accelerazioni sul tema. Il problema di prospettiva più spinoso è l’affiancamento al dollaro di altre monete concorrenti nelle transazioni internazionali. Anche il Cremlino richiama alla necessità del multilateralismo come strumento di riequilibrio dell’ordine mondiale. Dunque, la sfida per una riforma dell’architettura finanziaria mondiale è aperta, questa volta con il concorso congiunto di Cina, Russia e India. La crisi in Ucraina è la manifestazione dello scollamento di una pretesa conduzione politica unitaria del mondo senza aver considerato le conseguenze derivanti sul piano della direzione economica e monetaria degli “altri”. La vastità delle tipologie di sanzioni imposte soprattutto dagli USA ha condotto ad un sostanziale regime economico protezionistico globale e a un mondo diviso e polarizzato.

La “Nuova Tipologia di Partenariato per la Sicurezza” di Xi Jinping per la regione Asia-Pacifico non pone vincoli e steccati, non richiede fedeltà limitanti, va oltre barriere politico-ideologiche o alleanze. Allo stesso tempo, la Cina è infastidita dall’approccio interventista USA in quello che Washington chiama Indo-Pacifico. Sullo sfondo la spinosa questione di Taiwan. La strategia diplomatica di Pechino mira sia ad utilizzare la sua influenza dentro organi sovranazionali asiatici di cui fa parte, sia all’interconnessione con altre istituzioni riguardanti il sud-est asiatico e il Pacifico, l’ASEAN in primis. Determinante in questo quadro è il ruolo dell’India, la quale nel 2023 presiederà i Summit di SCO e G20. I meccanismi multilaterali che ormai coinvolgono le relazioni internazionali sono sempre più utilizzati dagli Stati. SCO e EAEU sono istituzioni concepite come strategia geo-politica per l’Asia. I BRICS rivendicano uno spazio decisionale da parte di Paesi emergenti, dove il contributo asiatico è determinante. La BRI pone in essere un meccanismo di accordi commerciali e di sviluppo assolutamente privo di costrizioni. L’Asia, pur tra secolari diatribe interne, sembra diventare soggetto geo-politico capace di interiorizzare i conflitti interni e superarli in vista di un comune vantaggio.

Parole-chiave: Asia, multipolarismo, multilateralismo, Cina, Russia, India, Ucraina, Stati Uniti, sanzioni, protezionismo, Asia-Pacifico, Indo-Pacifico, BRICS, SCO, EAEU, BRI.

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Introduzione

Sorprende l’incoscienza dell’Occidente nel comprendere l’inadeguatezza del sistema di governance mondiale di fronte ai cambiamenti degli assetti internazionali. Ancora di più sconcerta l’inadeguatezza della diplomazia dell’Unione Europea che, indebolita dalla Brexit, chiude le porte anche alla Turchia, alleata NATO, e respinge la Federazione Russa addirittura come Stato sponsor del terrorismo. Il risultato è che la Gran Bretagna ritorna nelle braccia del suo alleato storico (Washington, non certo Bruxelles) e Ankara e Mosca guardano sempre più all’Asia. Pechino ringrazia.

Il blocco geo-politico che si sta formando in Asia è in costruzione per lo meno da un decennio, ma oggi trova finalmente lo spazio di manovra che l’indebolimento dei sistemi economici e politici euro-atlantici consente e anzi provoca con le sue ormai desuete filastrocche ideologiche. Per i Paesi del Sol calante, un avversario geo-politico non è un concorrente da battere lealmente secondo i dettami del libero mercato cui dice di ispirarsi. Semplicemente, il rivale, quando non esplicitamente considerato un nemico, non è mai troppo democratico, non rispetta mai pienamente i diritti umani di cui Washington e Bruxelles sono i soli depositari. Peccato che il passato coloniale e bellico smentisca questa pretesa, ma, soprattutto, abbia perpetuato apparati fondati sulla coercizione della potenza militare attraverso alleanze vincolanti anche sul piano delle scelte geo-economiche.

In questo quadro, i Paesi rifiutati dal sistema di potere dell’ordine mondiale si attrezzano non per contrastare la supremazia militare del dominante (oggettivamente imbattibile su questo piano), ma per conseguire il consenso dei “volenterosi” attraverso aggregazioni aperte alla collaborazione e mai costrette da vincoli di lealtà. Questo perché alcuni di questi Paesi reietti hanno nel frattempo acquisito conoscenze e capacità in altri campi dell’agire umano (finanza, tecnologia, comunicazione) e tentano di capire con più realismo le esigenze del XXI secolo. È un tentativo, certo, e non privo di contraddizioni. L’Occidente resta tuttora il baluardo della conservazione di un potere che tuttora detiene. Ma forse non si accorge che le sue basi scricchiolano perché obsolete rispetto ad un modo di intendere le relazioni internazionali, che giunge e si fa strada da Oriente per coinvolgere i non rappresentati da un modello di governance esclusivo e settario.

Le considerazioni che seguono, aldilà delle valutazioni sopra espresse e che fungono da quadro generale di riferimento, sono piuttosto descrittive degli sviluppi degli schieramenti soprattutto in Asia, considerata il teatro di riferimento principale per la contesa geo-politica in atto e futura.

Multilateralismo come alternativa al modello di governance

Il mondo sembra indirizzato verso un nuovo ordine multipolare o forse già lo è. Il motore di questo processo è senz’altro la Repubblica Popolare Cinese, la quale non intende essere il perno di questo nuovo ordine perché la multipolarità non prevede una sostituzione unilaterale del potere esclusivo di una potenza sovrana. Sarebbe una contraddizione in termini. Siamo dunque ad un cambio di paradigma nella guida dei destini del pianeta? Potrebbe essere. Le spinte conservatrici sono ovviamente molte e gli stessi analisti si dividono sull’argomento. Tuttavia, i segnali in tal senso sono ormai presenti da molti anni. Assieme alle assunzioni di principio (velleitarie o meno), sono veicolati messaggi che hanno tutta l’aria di una potenzialità già in essere, sebbene i tempi ancora acerbi e una saggia prudenza sconsiglino accelerazioni sul tema.

Dopo la crisi finanziaria globale del 2007-08, le cinque economie emergenti di altrettanti Paesi in via di sviluppo (Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa) presenti nel Forum intergovernativo del G20, che avevano dato vita all’aggregazione chiamata BRICS, si presentarono subito come alternativa al modello di governance del G7 formato da Paesi radunati attorno ai valori ideologici di pluralismo e democrazia. In pratica, una contestazione di leadership soprattutto in ordine ai limiti strutturali della risposta data dalle 7 economie più avanzate verso le conseguenze di quella crisi ancora oggi non superate.[1] Viceversa, ancora oggi i BRICS rinnovano la loro fiducia nel G20, pur esprimendo la convinzione “che è imperativo rafforzare il coordinamento macro-politico per far uscire l’economia mondiale dalla crisi”.[2]

Dritti al cuore della sfida, il problema di prospettiva più spinoso è l’affiancamento al dollaro di altre monete concorrenti nelle transazioni internazionali, comunque tralasciando le realtà emergenti delle criptovalute senza intermediari in modalità peer-to-peer. Già nel 7° Summit dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi BRICS, tenuto nella città russa di Ufa, in Bashkortostan, l’8 e 9 di luglio 2015, la dichiarazione finale assumeva di riconoscere “il potenziale per espandere l’uso delle nostre valute nazionali nelle transazioni tra i Paesi BRICS. Chiediamo alle autorità competenti dei Paesi BRICS di continuare la discussione sulla fattibilità di un uso più ampio delle valute nazionali negli scambi reciproci”.[3]

Riunione del Consiglio dei Leaders SCO, Samarcanda, Uzbekistan, 15-16 settembre 2022 (Fonte: News 18)

Stati membri dell’EAEU

L’importanza attuale di quel summit è anche sottolineata dall’appello formulato da Xi Jinping per una “prospettiva strategica e di lungo periodo”[4] ad altre due organizzazioni di cooperazione regionale che giocano un ruolo determinante in Asia: l’Organizzazione per la Cooperazione di Shànghăi (SCO)[5] e l’Unione Economica Eurasiatica (EAEU). A sua volta, Vladimir Putin aggiunse all’epoca: “Non c’è dubbio: abbiamo tutte le premesse necessarie per ampliare gli orizzonti di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa, per unire le nostre risorse di materie prime, il capitale umano e gli enormi mercati di consumo per un potente slancio economico”. Oggi il Cremlino richiama alla necessità del multilateralismo come strumento di riequilibrio dell’ordine mondiale, mentre fa appello alle Nazioni Unite perché limiti il potere d’influenza del blocco occidentale come arma di condizionamento ideologico e politico.

Queste citazioni servono anche a far comprendere che le attuali apprensioni di Mosca in materia di vigente gestione della finanza e del commercio internazionale hanno origini ben datate[6] e che la pandemia e la guerra in Ucraina hanno soltanto esacerbato.

Stati membri della SCO

Il 25 aprile 2022, in una dichiarazione all’Esposizione Innoprom di Taškent, in Uzbekistan, il Ministro russo del Commercio e dell’Industria Denis Valentinovič Manturov (dal successivo luglio anche Vice Primo Ministro) così si esprimeva: “Quello che sta accadendo in tutto il mondo negli ultimi due anni, in primo luogo, è l’impatto della pandemia. Quello che sta accadendo oggi nell’economia globale ci dà un’indicazione di come dobbiamo ristrutturare la nostra logistica, la nostra cooperazione produttiva, in quali aree abbiamo bisogno di sviluppare le nostre economie. Anche questa è, come si diceva comunemente prima, de-dollarizzazione. Ora abbiamo aggiunto anche la de-eurizzazione, ovvero una transizione verso le nostre valute per essere il più indipendenti possibile in termini di accordi nelle consegne reciproche dei nostri prodotti e nella mutua cooperazione … Vediamo cosa sta succedendo ora in Europa occidentale, negli Stati Uniti, è praticamente iperinflazione. Nessuno ricorda una cosa del genere, o almeno non succedeva da molto tempo, più di 30 anni, in questi Paesi. I prezzi stanno aumentando rapidamente per le materie prime scambiate in borsa. Ciò sta avendo un forte impatto sullo sviluppo dei settori dell’industria e dell’economia in generale”.[7]

Il ruolo propulsivo di BRICS, SCO e EAEU

Il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin

Dunque, la sfida per una riforma dell’architettura finanziaria mondiale è aperta, questa volta con il concorso congiunto di Cina, Russia e India.[8] Causa dell’accelerazione è il boicottaggio occidentale nei confronti di Mosca in ordine al sistema di transazioni finanziarie e pagamenti (la rete di intermediazione SWIFT); lo strumento strategico che si intende adottare è la diplomazia verso i Paesi BRICS, economie emergenti che assieme raggiungono il 18% degli scambi commerciali mondiali e il 25% degli investimenti esteri.[9] Nel 2017, al 9° BRICS Summit di Xiàmén, Xi Jinping aveva proposto l’allargamento del gruppo ad altri Paesi che ne condividessero gli obiettivi, lasciando intendere il lavoro diplomatico per la costruzione di un nuovo, più ampio raggruppamento, quello che sarà definito BRICS+. Soprattutto, questo soggetto ancora virtuale preconizzava non soltanto la stretta collaborazione tra SCO e EAEU già sollecitata nel Summit di Ufa, ma il concorso di altre istituzioni quali il Mercato Comune del Sud (Mercosur), l’Associazione Sud-Asiatica per la Cooperazione Regionale (SAARC) e l’Unione Doganale dell’Africa Meridionale (SACU). Quando Putin presiedette il 12° BRICS Summit tenuto online il 17 novembre 2020, sollecitava l’estensione del sistema di pagamento commerciale adottato dai BRICS a tutti i BRICS+ (Zongyuan, 2022).

Il 13° Summit BRICS (online) presieduto dall’India, 9 settembre 2021

L’appello di Xi e Putin ha suscitato effettivo interesse in molti Paesi. Tra questi:

  • Per quanto riguarda i BRICS:
    • Argentina e Iran hanno chiesto l’ammissione prima che lo facesse l’Algeria a novembre 2022;
    • Turchia, Arabia Saudita e Egitto hanno espresso il loro interesse ad aderirvi al 14° Summit del 23 giugno 2022, presieduto dalla Cina e giocato sui temi della cooperazione in materia di valute locali, logistica e commercio elettronico transfrontaliero.
  • Per quanto riguarda la SCO:
    • A giugno 2022 l’Iran, che diventerà membro a pieno titolo nel 2023, ha chiesto ai Paesi membri la creazione di una singola moneta valida per tutti i Paesi dell’Organizzazione;
    • Lo scorso settembre la Bielorussia, già Stato osservatore, ha formalizzato la propria richiesta di accesso a pieno titolo;
    • Sempre a settembre, la Turchia, per bocca del Presidente Erdoğan, ha annunciato che chiederà l’adesione come membro,[10] diventando così il primo Paese NATO ad entrare pienamente in una organizzazione a guida cinese;[11]
    • Qatar, Egitto e Arabia Saudita sono stati accettati nella stessa organizzazione come “Dialogue partners” (Varma, 2022).

L’India, che a proposito di sanzioni sta accrescendo l’importazione di petrolio dalla Russia, sembra intenzionato a utilizzare il rénmínbì per le relative transazioni, visto che la moneta cinese, secondo dati SWIFT, rappresentava ad aprile 2022 la quinta valuta più attiva in valore per i pagamenti a livello mondiale (Buck, 2022). Nuova Delhī è stata anche evasiva in ordine ad una proposta dei Paesi del G7 per un tetto massimo sulle importazioni di petrolio russo come mezzo per danneggiare l’economia russa.

Pure la New Development Bank (NDB) può essere considerata uno strumento di aggregazione regionale rilevante, anche per la promozione dell’uso delle monete locali. Proposta dall’India come entità multilaterale di sviluppo tra i Paesi BRICS, attiva dal 2015 e insediata a Shànghăi, si è subito dichiarata aperta alla collaborazione con altre istituzioni sul tema della protezione dell’ambiente.[12] Soprattutto la sua composizione si è ampliata, accogliendo tra i suoi membri nel 2021 il Bangladesh, gli Emirati Arabi Uniti, l’Uruguay e l’Egitto. Tra i progetti più significativi, la sua operatività ha permesso di finanziare in Cina lo Jiangxi Natural Gas Transmission System Development, in India il Bihar Rural Roads e il Madhya Pradesh Major District Roads II, in Russia The Development of Water Supply and Sanitation Systems; e la connessione di 592 mila famiglie all’approvvigionamento idrico e 727 mila alle reti di raccolta delle acque reflue è stata appena approvata nello Stato di San Paolo, in Brasile.[13]

Protezionismo e sanzioni vs. apertura al mercato

La partita sembra giocarsi su sanzioni e protezionismo da una parte, apertura al mercato e liberalizzazione dall’altra.[14] Incredibilmente, sulle prime posizioni sono schierati l’Occidente democratico e liberale con le sue propaggini asiatiche alleate, sulle seconde i cosiddetti Paesi emergenti con la leadership di un potere assoluto formalmente comunista. Un paradosso della Storia, ma una realtà che viviamo all’attualità, contraddittoria quanto si vuole, ma con cui siamo chiamati a fare i conti. Significa che l’equilibrio nel mondo globalizzato si troverà soltanto con modelli alternativi di gestione dei processi di scambio rispetto a quelli che hanno prevalso per 80 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale.[15]

Wáng Yì, Consigliere di Stato e Ministro degli Esteri cinese (a sinistra), incontra a Phnom Penh Hŭn Sên, Primo Ministro della Cambogia, 12 ottobre 2020

La guerra in Ucraina appare soltanto l’effetto di un processo di destrutturazione degli assetti mondiali, cominciata con la fine dell’Unione Sovietica nel 1991 e continuata con l’ammissione della Repubblica Popolare Cinese al WTO nel 2001, il sovvertimento del mondo islamico e l’allargamento ad est della NATO. Si direbbe che il meccanismo propulsore del cambiamento sia situato in Occidente, in cerca di una legittimazione all’esterno per il suo strapotere che da almeno 20 anni lo strangola e lo condanna ad un solipsismo esistenziale e alla schiavitù della rappresentazione del pensiero unico, il proprio. Eppure, è davvero l’ostinazione nel giocare la carta dell’ideologia nella geo-politica a determinare il collasso del suo potere, quando l’altra parte del mondo, al di là delle formulazioni dottrinarie, cerca orizzonti di vivibilità e stabilità finora precluse dalla dipendenza economica e finanziaria esterna. “È giunto il momento dell’Asia nella governance globale”, suggeriva pochi mesi fa Consigliere di Stato e Ministro degli Esteri cinese Wáng Yì a margine della 5a Sessione della 13a Assemblea Nazionale del Popolo.[16]

La crisi in Ucraina è allora la manifestazione dello scollamento di una pretesa conduzione politica unitaria del mondo senza aver considerato le conseguenze derivanti sul piano della direzione economica e monetaria degli “altri”, coloro che a quella conduzione non avevano accesso in quanto non condivisa.[17] “Tutti gli Stati devono avere parità di accesso al diritto allo sviluppo”, statuiva la Dichiarazione Congiunta Sino-Russa siglata a margine delle Olimpiadi Invernali di Pechino.[18]

La guerra in Ucraina ha portato allo scoperto questi meccanismi proprio con l’imposizione delle sanzioni alla Russia anche secondarie extraterritoriali, le prime di tale portata verso un Paese membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: sanzioni economiche, finanziarie, commerciali, militari, diplomatiche, sportive, seguite da sanzioni personali e aziendali e con l’aggravio del congelamento di conti bancari e proprietà.[19] Uno strumento, le sanzioni, che, al di là delle motivazioni, sono utilizzate in questo caso per cercare di isolare la Russia sul piano geo-politico. Il risultato è il rafforzamento del già esistente polo basato sui tre giganti d’Asia e edificato sulle istituzioni multilaterali collegate.

La Corte dell’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) a Minsk, Bielorussia

Interventi di politiche discriminatorie che sono tradizionali restrizioni commerciali (Fonte: Springer Link su dati Global Trade Alert, 2018)

La vastità delle tipologie di sanzioni imposte soprattutto dagli Stati Uniti, che fino ad allora avevano riguardato soltanto Paesi dalla limitata importanza geo-politica, ha condotto ad un sostanziale regime economico protezionistico globale, limitando i flussi di beni, servizi e persone e con il mondo diviso e polarizzato secondo l’atteggiamento tenuto in ordine alle sanzioni contro Mosca: da una parte quelli favorevoli, dall’altra quelli contrari, tra cui Cina, Iran, Siria, Corea del Nord, Myanmar, Venezuela e Cuba, essi stessi colpiti precedentemente da sanzioni occidentali (Ekman, 2022). Il voto all’Assemblea Generale dell’ONU per la risoluzione che chiedeva il ritiro completo delle forze russe e l’annullamento della sua decisione di riconoscere le autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk ha indicato una linea di demarcazione tra i Paesi. Tra i 40 membri che si sono dichiarati contrari o si sono astenuti, a parte la Federazione Russa, solo due sono europei, i restanti sono 18 africani (su 47 votanti aderenti all’Unione Africana), 15 asiatici (compresi 2 Paesi APEC e 2 ASEAN) e 4 latino-americani.[20] Tra i BRICS, solo il Brasile ha approvato la risoluzione, pur criticando le indiscriminate sanzioni. Per quanto riguarda altre organizzazioni regionali di cui la Russia fa parte, tutti i Paesi SCO (tranne l’Uzbekistan assente) e EAEU hanno dimostrato solidarietà con Mosca, astenendosi o votando contro la risoluzione come nel caso della Bielorussia.

La Cina, la BRI e la strategia centro-asiatica

L’incrocio di questi dati indica che tre potenze come Cina, Russia e India aggregano ben oltre i 10 Paesi coinvolti nella membership combinata di BRICS e SCO, impegnandosi in una sorta di collaborazione che Pechino declina in una “Nuova Tipologia di Partenariato per la Sicurezza”[21] per una politica di “costruzione dell’amicizia e del partenariato con i paesi vicini”. In particolare, la strategia di Xi Jinping adottata nel 2017 per la regione Asia-Pacifico ribalta la prassi delle alleanze basate sullo scontro, auspicando che “i Paesi possano diventare partner quando hanno gli stessi valori e ideali, ma possono anche essere partner se cercano un terreno comune pur conservando le differenze … I grandi Paesi dovrebbero trattare le intenzioni strategiche degli altri in modo obiettivo e razionale, respingere la mentalità della guerra fredda, rispettare i legittimi interessi e le preoccupazioni altrui, rafforzare le interazioni positive e rispondere alle sfide con sforzi concertati. I Paesi di piccole e medie dimensioni non hanno bisogno e non dovrebbero schierarsi con i grandi Paesi. Tutti i Paesi dovrebbero compiere sforzi congiunti per perseguire un nuovo percorso di dialogo anziché di confronto e perseguire partenariati piuttosto che alleanze”.[22]

È una strategia aperta ed elastica, che non pone vincoli e steccati, che non richiede fedeltà limitanti, ma si proietta verso l’inclusione e la reciproca consultazione al di là di barriere politico-ideologiche o alleanze.

La Nuova Via della Seta

Il più potente strumento in tal senso che la Cina ha messo in campo è la Belt and Road Initiative (BRI), cui, secondo l’aggiornato dossier condotto dal Green Finance & Development Center della Fanhai International School of Finance (FISF) presso la Fudan University di Shànghăi, partecipano i 147 Paesi che hanno siglato un Memorandum d’Intesa giuridicamente non vincolante.[23] Tra le principali conclusioni dello studio spicca l’impegno cumulativo della BRI, che ammonta a 932 miliardi di dollari, mentre gli investimenti in gas e petrolio nei Paesi BRI sono stati nel 2022 circa l’80% degli investimenti energetici cinesi all’estero, i maggiori dei quali in Arabia Saudita e Algeria. Si sottolinea qui che entrambi i Paesi sono tra quelli che hanno manifestato interesse ad aderire ai BRICS e l’Algeria ha già presentato formalmente la relativa domanda a novembre scorso. Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, gli investimenti cinesi incrementeranno la sinergia tra la BRI e la Vision 2030 cui si ispira Riyāḍ. Un ottimo esempio di interazione positiva. Per i progetti di investimento, infatti, il consorzio guidato da EIG Global Energy Partners, che da giugno 2021 controlla l’Aramco Oil Pipelines Company,[24] ha reso il Silk Road Fund e la China Merchants Bank i principali investitori.

Sessione plenaria del 7° Forum Economico Orientale, Vladivostok, Federazione Russa, 7 settembre 2022

Il Presidente Vladimir Putin al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo (SPIEF), 17 giugno 2016

Anche Putin gioca le sue carte con iniziative mirate che riguardano la sicurezza dell’esportazione delle sue risorse energetiche.[25] Dal 2017, con il primo meeting dello SCO Energy Club sotto la presidenza della Turchia di Erdoğan, il Cremlino apre ad alcuni osservatori e “dialogue partners” che sono funzionali al trasporto energetico verso Cina, Giappone, Corea, India e Europa, i mercati della maggiore domanda. Così, allaccia rapporti di “buon vicinato” con Paesi che si trovano lungo i percorsi degli oleodotti con origine in Russia, come Mongolia, Afghanistan, Iran, Sri Lanka e Bielorussia.[26]

La rete del gas in Turkmenistan (Fonte: Stefan Hedlund, Geopolitical Intelligence Services, 25 marzo 2019)

Stessa attenzione Pechino riserva ai Paesi dell’Asia Centrale, essendo diventata dal 2010 il loro primo partner commerciale ai danni dell’Europa. Dal 2020 ha avviato i meetings C+C5 (Cina più 5 paesi dell’Asia Centrale) per contenere gli effetti dell’analoga iniziativa USA C5+1.[27] Dai rapporti commerciali bilaterali la Cina passa così ad un livello di cooperazione politica multilaterale,[28] tra l’altro includendo anche il Turkmenistan, Stato a quel momento tradizionalmente neutrale e quindi fuori da SCO e EAEU. Sicuramente Mosca non vede di buon occhio alcune iniziative cinesi in Asia Centrale, tra cui la zona franca in ambito SCO e la creazione di apposite banche e fondi per lo sviluppo (Pandey, 2022). Tuttavia, anche recentemente, a margine del 7o China-Asia-Europe Expo tenuto a Ürümqi, Xīnjiāng, il 2022 Silk Road Economic Belt Core Area Development Summit Forum ha trattato il tema di una potenziale zona di libero scambio a partecipazione SCO centrato sullo Xīnjiāng come hub. L’iniziativa si collega all’incentivazione della BRI in Asia Centrale ed Europa attraverso i numerosi servizi di treni merci internazionali esistenti che giungono fino in Germania.[29]

La Regione Indo-Pacifico (il cerchio verde copre la regione ASEAN) (Fonte: Wikipedia)

Indo-Pacifico o Asia-Pacifico?

Se Pechino spinge verso ovest per una maggiore sicurezza regionale o per un più proficuo raccordo con i Paesi fornitori di energia di cui ha pressante bisogno,[30] ancora maggiore interesse dimostra per le aree dell’Asia-Pacifico. La Cina è infastidita dall’approccio interventista USA in quello che Washington chiama Indo-Pacifico attraverso strumenti geo-politici come il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza (QUAD) tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia, il Patto trilaterale AUKUS tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti[31] e il Summit per la Democrazia[32] che ha posto l’enfasi su lotta alle autocrazie e rispetto dei diritti umani in funzione anti-cinese, con interventi di attivisti anti-governativi di Hong Kong. Sullo sfondo la spinosa questione di Taiwan.

La mappa della Regione Asia-Pacifico

Rivendicazioni marittime nell’Indo-Pacifico (di Anne Matchima)

Dice ancora il Ministro cinese Wáng Yì: “I leader e gli alti funzionari statunitensi hanno affermato che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di cercare una nuova Guerra Fredda o di cambiare il sistema cinese, che la rivitalizzazione delle alleanze USA non è contro la Cina, che gli Stati Uniti non sostengono l’«indipendenza di Taiwan» e che non cercano il conflitto o il confronto con la Cina. Tuttavia, queste affermazioni sono solo rassicurazioni verbali, purtroppo, e devono ancora essere messe in pratica. La realtà che abbiamo visto è questa: gli Stati Uniti stanno facendo di tutto per impegnarsi in un’intensa competizione a somma zero con la Cina, continuano a provocare la Cina su questioni riguardanti i nostri interessi fondamentali e stanno intraprendendo una serie di azioni per mettere insieme piccoli blocchi per sopprimere la Cina … Questa non è affatto una sorta di benedizione per la regione, ma una mossa sinistra per interrompere la pace e la stabilità regionali” (Embassy of the PRC in the US, 2022).

Il riferimento alla Guerra Fredda ricorre in molti documenti. “Le parti si oppongono a un ulteriore allargamento della NATO e invitano l’Alleanza Nord-Atlantica ad abbandonare i suoi approcci ideologizzati di guerra fredda”, dice esplicitamente la Dichiarazione Congiunta Sino-Russa del 2022, riecheggiando il Libro Bianco cinese del 2017. Questo evidenzia che se Mosca è interessata all’opposizione di Pechino verso l’allargamento NATO, viceversa Pechino ricerca il consenso di Mosca sulle questioni di Taiwan, del Pacifico e della partnership trilaterale di sicurezza AUKUS che pone “gravi rischi di proliferazione nucleare” (Office of the President of Russia, 2022).

La Cina intende difendersi rispetto alle “provocazioni” degli Stati Uniti secondo i principi dell’Iniziativa per la Sicurezza Globale[33] lanciata da Xi Jinping il 21 aprile 2022 durante l’annuale Bó’áo Forum for Asia, un’organizzazione no-profit che dal 2001 raccoglie 28 Paesi dell’Asia e dell’Australasia. Durante il meeting, il Presidente cinese mette in chiaro la sua opposizione a “unilateralismo”, “doppi standard, abuso di sanzioni unilaterali e «giurisdizione di lungo raggio»”, ma anche la necessità di evitare di “costruire la propria sicurezza sulla base dell’insicurezza degli altri Paesi”.[34] Pechino, dunque, passa al contrattacco con le armi della diplomazia. Per esempio, sigla qualche giorno prima un patto di sicurezza con le Isole Salomone, nel Pacifico meridionale, che permetterebbe alla Cina di “effettuare visite in nave, rifornimenti logistici e scali e transizioni nelle Isole Salomone”.[35]

Stati membri dell’APEC (di Paulo Roberto Vela Júnior)

Stati membri dell’ASEAN

Ma la strategia diplomatica di Pechino mira sia ad utilizzare la sua influenza dentro organi sovranazionali asiatici di cui fa parte, come l’APEC (Cooperazione Economica Asia-Pacifico), la CICA (Conferenza sulle Misure di Interazione e Rafforzamento della Fiducia in Asia) e il Beijing Xiāngshān Forum, sia all’interconnessione con altre istituzioni riguardanti il sud-est asiatico e il Pacifico, come l’unione politico-economica dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) attraverso i suoi meccanismi collegati (ASEAN+6, East Asia Summit-EAS, Regional Forum-ARF, Defence Ministers Meeting Plus-ADMM+, Expanded Maritime Forum-EAMF).

Stati membri del Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP)(Fonte: UP Media)

Al vertice virtuale dell’ASEAN del 2020 ospitato dal Vietnam, 15 Paesi dell’Asia-Pacifico hanno firmato un accordo di libero scambio denominato Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP), il più grande blocco commerciale della storia, che comprende tutti i Paesi ASEAN, ma anche, oltre alla Cina, storici alleati di Washington, come Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Un successo diplomatico per il soft power di Pechino, perché allarga decisamente la sua rete di partners commerciali in tutto il Pacifico (Ekman, 2022). Commenta Eswar Prasad, Professore di Economia e Politica Commerciale alla Cornell University ed ex capo della Divisione Cina del Fondo Monetario Internazionale: “Il patto commerciale lega più strettamente le fortune economiche dei Paesi firmatari a quelle della Cina e nel tempo attirerà questi Paesi sempre più in profondità nell’orbita economica e politica della Cina”.[36]

Narendra Modi, Primo Ministro indiano

Determinante in questo quadro è il ruolo dell’India, la quale, fuori dalla BRI e dalla RCEP, è parte dei BRICS e della SCO, ma anche del QUAD e dell’IPEF. Quest’ultima è l’iniziativa Quadro Economico Indo-Pacifico per la Prosperità lanciata da Biden a maggio del 2022 per bilanciare la RCEP e che non a caso include proprio Giappone, Corea del Sud e Australia.[37] La presenza di Nuova Delhī nell’IPEF si inquadra nell’Act East Policy inaugurata nel 2014 dal Primo Ministro Narendra Modi e diretta a incrementare i rapporti con l’ASEAN, esattamente gli stessi intendimenti appena descritti per la strategia di Pechino verso il sud-est asiatico. Questa convergenza di intenti preoccupa Washington perché, se è vero che 7 dei 10 partners dell’ASEAN aderiscono all’IPEF, è anche vero che già Nuova Delhī ha mostrato una presa di distanza dal primo obiettivo (“pillar”) dell’iniziativa, che riguarda il commercio.[38] E nel 2023 l’India presiederà i Summit di SCO e G20.

Nel futuro sicuramente l’India manterrà gli storici buoni rapporti con Mosca. Da ottobre scorso la Russia è divenuta la sua prima fornitrice di petrolio, superando Iraq e Arabia Saudita. Hardeep Singh Puri, Ministro indiano del Petrolio e del Gas naturale e dell’Edilizia abitativa e dell’Urbanistica, così si esprime in ordine a potenziali conflitti morali per la guerra in Ucraina: “Abbiamo 1,34 miliardi di abitanti e dobbiamo assicurarci che ricevano energia … Compriamo tutto ciò che è disponibile”.[39]

Conclusioni

Washington e Bruxelles scelgono un atto di guerra, le sanzioni, come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. Perché le sanzioni sono un atto di guerra che affama i popoli e soprattutto innalza muri che impediscono la libera circolazione di persone e merci. Parliamo dell’essenza di due valori che ci avevano indicato come basi della civiltà occidentale: la pace e il libero mercato. Non che questi non siano stati ripetutamente violati in passato o che non lo saranno in futuro. Non siamo così puritani da crederci. Soltanto che le modalità con cui sono espletati all’attualità lascia davvero di stucco. Non tanto per motivazioni di carattere etico (non siamo puritani, lo ribadisco), ma perché questi meccanismi di esecuzione della politica internazionale si dimostrano improduttivi e risultano dannosi tanto per una corretta visione geo-politica quanto per il valore della diplomazia. Spingono alla guerra su un presupposto giudizio etico che contraddice tanto la geo-politica quanto la diplomazia. Le soluzioni sono individuate su base punitiva a somiglianza delle legislazioni penali degli Stati nazionali perché la Casa Bianca si propone come arbitro, anzi come tribunale di ultima istanza. Pratica illegittima e velleitaria nella pretesa, ma che tuttavia in passato ha funzionato nei confronti di Paesi deboli e indifesi o addirittura nei confronti di singole personalità sgradite. Altro è contro Paesi che sono di peso e siedono nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite.

Il risultato è un mondo diviso in due, una nuova Guerra Fredda di cui non si sentiva la mancanza e la reintroduzione di sistemi protezionistici che limitano il contesto del libero mercato. È come se, in una realtà ormai globalizzata, per Washington e Bruxelles il mondo si riducesse nelle sue dimensioni e le relazioni internazionali ai rapporti euro-atlantici. In realtà, miliardi persone e milioni di comunità vivono al di fuori di quell’area, operano, commerciano, studiano, amano, pregano al di fuori dei canoni dettati dall’Occidente, nonostante fino ad ora anche loro abbiano dovuto seguire i comportamenti (molti dei quali anche virtuosi) e ricevere i gadget (molti dei quali anche utili o divertenti) “consigliati” dall’Occidente. Per ironizzare, immagino che in Russia si viva male senza Coca Cola, come in Occidente senza il caviale originale non di contrabbando. In pratica, il modello proposto da Washington e Bruxelles è che ognuno consumi il proprio prodotto. Solo che non funziona così. I sanzionati esportano i propri prodotti energetici nell’altro mezzo mondo, mentre i sanzionatori regolano la temperatura dei termostati e pagano di più per i prodotti energetici importati dai pochi Paesi non sanzionati.

L’isolamento della Russia, se questo era l’obiettivo specifico delle sanzioni euro-atlantiche, è stato ed è illusorio. Certo, nell’immediato i dispositivi sanzionatori colpiscono le finanze di Mosca, ma nel lungo periodo le consentono di aprire nuovi mercati che significano anche influenza politica. Nuova Delhī, pur condannando l’invasione russa in Ucraina, si è rifiutata di aderire alle inique sanzioni decretate da molti Paesi e in India l’import di petrolio dalla Federazione è aumentato di 23 volte in 10 mesi.

Inoltre, i meccanismi multilaterali che ormai coinvolgono le relazioni internazionali sono sempre più utilizzati dagli Stati. SCO e EAEU sono istituzioni di origine asiatica e concepite come strategia geo-politica per l’Asia. I BRICS segnano il tentativo di rivendicazione di uno spazio decisionale da parte di Paesi emergenti, dove il contributo asiatico è preponderante e determinante. La BRI pone in essere un meccanismo di accordi commerciali e di sviluppo assolutamente privo di costrizioni e libero da pregiudizi ideologici.

Può questo atteggiamento essere la cifra dei rapporti internazionali del futuro? Potrebbe. A condizione che quel principio di autodeterminazione dei popoli tanto caro a Woodrow Wilson non sia interpretato soltanto come cardine giuridico per la definizione di confini statuali nazionali, ma anche come diritto dei popoli al conseguimento di uno sviluppo economico, sociale e culturale autonomo, applicando il concetto di autodeterminazione esterna. Nello specifico, Sud per il Sud e non soggetto residuale di politiche funzionali alle esigenze delle economie più avanzate.

In questo quadro, il Sud del mondo è pronto a sfidare il paternalismo occidentale proprio sul terreno dei suoi principi ispiratori, non affrontandoli come in passato con le inutili teorie terzomondiste, bensì prendendo atto di quei principi e allo stesso tempo dimostrando la capacità di gestire i propri peculiari processi di sviluppo senza imposizioni di limitanti subalternità, specie in materia di finanza ed economia.

L’Asia coloniale

L’Impero Indiano britannico, 1909 (da Imperial Gazetteer of India)

La seconda condizione è che sul piano geo-politico si prenda atto che posizioni oltranziste come isolazionismo spinto o cosmopolitismo indiscriminato non sono una condizione praticabile in un mondo interconnesso. Il valore del multilateralismo è proprio il confronto tra soggetti che si riconoscono reciprocamente in vista di un compromesso su interessi non sempre convergenti. Anzi. La domanda “Indo-Pacific o Asia-Pacific?” posta nel testo indica l’evolversi di un duello per il predominio sull’area asiatica. Niente di nuovo. Solo che questa volta i contendenti non sono tutti esterni all’area, a differenza che in passato, quando Britannici, Francesi, Olandesi, Americani si spartivano buona parte del territorio asiatico. L’Asia, pur tra secolari diatribe interne, sembra diventare soggetto geo-politico capace di interiorizzare i conflitti interni e superarli in vista di un comune vantaggio.

Pechino soprattutto ha capito che la strategia imperiale del divide et impera è meno produttiva di quella basata sulla pacificazione delle contese. La diplomazia cinese, attraverso la SCO, invita Mosca e l’EAEU a comporre eventuali dissidi sull’Asia Centrale e aggrega attorno allo stesso tavolo India e Pakistan, Iran e Turchia, storicamente avversari tra loro. Le aggregazioni multilaterali nate attorno ai Paesi più forti rappresentano appunto questo tentativo. Se Washington e Bruxelles le affronteranno con lo spirito da Guerra Fredda come in passato, il futuro condurrà a conflitti ben più problematici che non quello in Ucraina. La Casa Bianca sembrava averlo compreso dopo il fallimento in Afghanistan e in Iraq. Ma la rinnovata strategia di espansione delle alleanze militari e di agitazione delle piazze, che si accompagnano alla diplomazia infarcita di continui auspici di regime-change, non aiuterà certo a riconquistare l’influenza persa in Medio Oriente e in Asia Centrale, così come nell’area dell’Asia-Pacifico.

Anche il predominio economico e geo-politico cinese in Africa, acquisito senza guerre o atteggiamenti bellici, rientrerebbe nello stesso ragionamento. Ma questa è un’altra storia.

 

RIFERIMENTI

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***

[1] Paul Stronski and Richard Sokolsky (Gennaio 2020). Multipolarity in Practice: Understanding Russia’s Engagement With Regional Institutions. Washington, DC: Carnegie Endowment for International Peace. Vedi https://carnegieendowment.org/files/Stronski_Sokolsky_Multipolarity_final.pdf.

[2] Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China (20 maggio 2022). BRICS Joint Statement on “Strengthen BRICS Solidarity and Cooperation, Respond to New Features and Challenges in International Situation”. Vedi https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/zxxx_662805/202205/t20220520_10690224.html#:~:text=Theyper%20cent20reaffirmedper%20cent20theirper%20cent20commitmentper%20cent20to,basedper%20cent20onper%20cent20mutuallyper%20cent20beneficialper%20cent20cooperation.

[3] Oliver Stuenkel (2020). The BRICS and the Future of Global Order (Second Edition), Ch. 6 Ufa, Goa, Xiamen, and Johannesburg: Towards a China-centric BRICS Grouping (2015-2019), pag. 113. Lanham, Boulder, New York, London: Lexington Books.

[4] Atul Aneja (10 luglio 2015). BRICS, SCO, EAEU can define new world order: China, Russia. Vedi https://www.thehindu.com/news/international/BRICS-SCO-EAEU-can-define-new-world-order-China-Russia/article60334704.ece.

[5] In particolare, “la SCO ha stabilito relazioni di cooperazione con le principali organizzazioni internazionali tra cui le Nazioni Unite (ONU), la Comunità degli Stati Indipendenti (CIS), l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’Organizzazione di Cooperazione Economica (ECO), la Conferenza sulle Interazioni e Misure di Rafforzamento della Fiducia in Asia (CICA) e altri”. D. Bala Venkatesh Varma (Settembre 2022). India and the Shanghai Cooperation Organization: Looking Forward to the 2023 Summit, in Indian Council of World Affairs, “Renewing the Shanghai Spirit. India’s Presidency of Shanghai Cooperation Organization.” New Delhi: Sapru House. Vedi https://www.icwa.in/pdfs/ICWASCOGuestColumn.pdf.

[6] Rilka Dragneva (Ottobre 2018). The Eurasian Economic Union: Putin’s Geopolitical Project. Philadelphia, PA: Foreign Policy Research Institute. Vedi https://www.fpri.org/wp-content/uploads/2018/10/rpe-6-dragneva-final2.pdf.

[7] Russia proposes partners in EAEU, BRICS, SCO increase settlements in national currencies (25 aprile 2022). Vedi https://interfax.com/newsroom/top-stories/78552/

[8] Zongyuan Zoe Liu (6 luglio 2022). The BRICS Show Resilience Amid Global Tumult. Vedi https://cpecwire.com/economy/brics-countries-pay-bank/

[9] Graham Buck (23 giugno 2022). BRICS countries keen to develop own payment systems – Industry roundup: 23 June. Vedi https://ctmfile.com/story/brics-countries-keen-to-develop-own-payment-systems-industry-roundup-twenty-third-june.

[10] Turkey’s Erdogan targets joining Shanghai Cooperation Organisation, media reports say (17 settembre 2022). Vedi https://www.reuters.com/world/middle-east/turkeys-erdogan-targets-joining-shanghai-cooperation-organisation-media-2022-09-17/

[11] Baris Balci and Selcan Hacaoglu (18 settembre 2022). Turkey Seeks to Be First NATO Member to Join China-Led SCO. Vedi https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-09-17/turkey-seeks-china-led-bloc-membership-in-threat-to-nato-allies?srnd=fixed-income&leadSource=uverify%20wall.

[12] Xinhua (24 luglio 2015). NDB president says to work with AIIB. Vedi http://www.china.org.cn/business/2015-07/24/content_36136846.htm.

[13] New Development Bank (29 dicembre 2018). NDB’S Lending Commitment in 2018 Increased by 167%, Bringing Aggregate Approval Volume to USD 8 Billion. Vedi https://www.ndb.int/press_release/ndbs-lending-commitment-2018-increased-167-bringing-aggregate-approval-volume-usd-8-billion/; New Development Bank (20 luglio 2022). New Development Bank (NDB) Approves USD 875 Million for Water, Sanitation, Ecotourism and Transport in Brazil, China and India. Vedi https://www.ndb.int/press_release/new-development-bank-ndb-approves-usd-875-million-for-water-sanitation-ecotourism-and-transport-in-brazil-china-and-india/

[14] Yaroslav Lissovolik (Dicembre 2018). Building with BRICS and BEAMS: a Constructivist Approach to Global Economic Architecture. Valdai Discussion Club. Vedi https://valdaiclub.com/files/21698/

[15] Alice Ekman (Aprile 2022). China and the Battle of Coalitions. The ‘circle of friends’ versus the Indo-Pacific strategy. Chaillot Paper / 174. Paris: European Union Institute for Security Studies (EUISS). Vedi https://www.iss.europa.eu/sites/default/files/EUISSFiles/CP_174_0.pdf.

[16] Embassy of the People’s Republic of China in the United States of America (7 marzo 2022). State Councilor and Foreign Minister Wang Yi Meets the Press. Vedi http://us.china-embassy.gov.cn/eng/zgyw/202203/t20220308_10649559.htm.

[17] Glauco D’Agostino (2 luglio 2022). From the BRICS, a free market lesson to the West. A matter of style! Vedi https://www.islamicworld.it/wp/from-the-brics-a-free-market-lesson-to-the-west/

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[21] Alice Ekman (22 luglio 2019). China’s ‘New Type of Security Partnership’ in Asia and Beyond: A challenge to the Alliance System and the ‘Indo-pacific’ Strategy. Zurich, Switzerland: Center for Security Studies, Swiss Federal Institute of Technology Zurich (ETH). Vedi https://isnblog.ethz.ch/uncategorized/chinas-new-type-of-security-partnership.

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[25] Sanjay K. Pandey (Settembre 2022). India, Central Asia and SCO: Prospect and Challenges, in Indian Council of World Affairs, cit.

[26] Chaitanya Giri and Aashna Agarwal (2 aprile 2019). India & the influential SCO Energy Club. Vedi https://www.gatewayhouse.in/india-sco-energy/

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[30] La Cina è il Paese più energivoro del mondo, seguita da Stati Uniti, India e Russia (dati 2020). Vedi British Petroleum (2021). Statistical Review of World Energy | 70th edition, https://www.bp.com/content/dam/bp/business-sites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-stats-review-2021-full-report.pdf.

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[36] Amy Gunia (17 novembre 2020). Why the U.S. Could Be the Big Loser in the Huge RCEP Trade Deal Between China and 14 Other Countries. Vedi https://time.com/5912325/rcep-china-trade-deal-us/

[37] Kevin Liptak (23 maggio 2022). Biden unveils his economic plan for countering China in Asia. Vedi https://edition.cnn.com/2022/05/22/politics/joe-biden-japan-monday/index.html.

[38] Saurabh Sinha (10 settembre 2022). India stays out of Indo-Pacific trade pillar. Vedi https://timesofindia.indiatimes.com/business/india-business/why-india-opted-out-of-joining-trade-pillar-of-ipef-for-now/articleshow/94106662.cms#:~:text=LOS%20ANGELES%3A%20India%20has%20chosen%20to%20opt%20out,the%20same%20to%20issues%20like%20environment%20and%20labour.

[39] Press Trust of India (6 novembre 2022). Russia Becomes India’s Top Oil Supplier In October. Vedi https://www.outlookindia.com/business/russia-becomes-india-s-top-oil-supplier-in-october-news-235173.

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