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IDENTITÀ ETNICHE DEI POPOLI DEL MAR NERO: LA DIFFICILE CONVIVENZA NELLA DIVERSITÀ

di Glauco D’Agostino

Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XVII, nr. 78-79 (2 / 2019) “MAREA NEAGRĂ – STRATEGII 2020“, Editura “Top Form”, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea, Bucureşti, 2019.

Fig. 1 – Tatari di Crimea, danza etnica

Sommario

Il tema che qui si presenta è la riflessione sulla complessità della composizione di comunità conviventi sullo stesso territorio, sulle origini storiche che ancora definiscono identità e sulle determinanti politiche che hanno influito su decisioni e comportamenti di intere componenti sociali. La multi-etnicità, il poli-linguismo e la multi-religiosità della gente insediata attorno al Mar Nero ha costituito storicamente motivo di interconnessioni e, alternativamente, di rivalità, invasioni e saccheggi.

Gli Stati nazionali ospitano svariate minoranze etnico-linguistiche e religiose che spesso testimoniano le ragioni di una presenza consolidata nella storia da tradizioni e comportamenti. Tra i più interessanti gruppi minoritari insediati oggi attorno al Mar Nero vi sono quelli appartenenti alle seguenti famiglie etniche: Slavi, popoli del Caucaso, popoli di origine turca, Greci del Ponto, Armeni, Ebrei, popoli neo-latini orientali, Indo-Ariani, Tedeschi. Si possono tracciare anche ambiti di pertinenza geo-antropica, dove le comunità slave cristiano-ortodosse sono prevalenti nella parte settentrionale e occidentale, quelle caucasiche di varie religioni nella parte orientale e quelle musulmane di origine turca nella parte meridionale.

Fig. 2 – La città portuale di Amasra (Turchia) sul Mar Nero

Se accettiamo l’ottica della continuità storica e la condizione d’indipendenza di uno Stato, la Rus’ di Kiev, il primo nucleo della Grande Russia, nasce nell’882 e si sviluppa successivamente con la formazione dell’Impero Russo, dell’URSS e dell’attuale Federazione Russa; le attuali Romania e Bulgaria nascono formalmente nel 1881 e 1908; la Turchia nel 1923 dallo scioglimento del Sultanato Ottomano; ma Transdnestrija, Moldavia, Ucraina, Georgia e Abkhazija, sorti dal disfacimento dell’URSS, hanno meno di 30 anni di vita da Stati indipendenti.

La caduta degli Imperi russo e ottomano, minati dal sorgere degli Stati-nazione, ha senza dubbio indebolito il carattere di convivenza nella diversità, esacerbando conflitti etnici e religiosi entro le comunità: le esclusioni sociali si sono moltiplicate in ragione di un interesse a determinare omogeneità all’interno di un quadro spesso fittiziamente unitario. È la stagione dei nazionalismi che perdura all’attualità e che preoccupa sul piano geo-politico. Il problema è la gestione delle minoranze e delle loro rivendicazioni in termini di diritti, esistenti o presunti. Senza sminuire l’importanza dell’appartenenza nazionale, sembra evidente che uno strumento più adatto a comprendere interazioni sociali tra gruppi con diversi costumi e tradizioni è l’esame dei legami etnico-linguistici e religiosi nel loro contesto storico e anche dei loro rapporti con il potere politico.

Parole-chiave: Mar Nero, multi-etnicità, poli-linguismo, multi-religiosità, Slavi, popoli del Caucaso, popoli di origine turca, Greci del Ponto, Armeni, Ebrei, popoli neo-latini orientali, Indo-Ariani, Tedeschi, nazionalismo.

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L’imperfezione degli attuali Stati-nazione

L’area gravitante attorno al Mar Nero costituisce da sempre un insieme geo-antropico da interpretare unitariamente in virtù delle sue caratteristiche aggregatrici e al di là delle vicende politiche spesso cruente che ne hanno strutturato la vita sociale durante i secoli. Questo a causa del potere delle comunicazioni intercorse tra le sue coste che ha articolato le relazioni tra gruppi etnico-linguistici e religiosi della più diversificata natura e tuttavia fortemente interrelati in ragione di un interesse comune verso la gestione di uno spazio definito in termini collettivi. Il risultato è un eterogeneo amalgama di popoli e culture segnate dal fenomeno di continue migrazioni e contaminazioni di tradizioni e conoscenze.

La caduta degli Imperi russo e ottomano, minati dal sorgere degli Stati-nazione, ha senza dubbio indebolito il carattere di convivenza nella diversità, esacerbando conflitti etnici e religiosi entro le comunità, costrette entro la camicia di forza di identità nazionali spesso frutto di costruzioni ideologiche a danno di minoranze considerate estranee in casa propria. Mancando l’ombrello dell’entità politica sovraordinata che determinava (o anche imponeva) la coesione tra soggetti di diversa composizione etnica, religiosa e culturale, le esclusioni sociali si sono moltiplicate in ragione di un interesse a determinare omogeneità all’interno di un quadro spesso fittiziamente unitario. È la stagione dei nazionalismi che perdura all’attualità e che preoccupa sul piano geo-politico, passando per il confronto tra blocchi di alleanze, conquiste territoriali e induzione di influenze politiche e commerciali.

Se questo è il fondale del palcoscenico, l’essenza della rappresentazione storica resta il rapporto tra i popoli nella loro diversità che difficilmente può risolversi nell’assimilazione alla cultura dominante o anche nell’assunto un popolo-uno Stato. Lasciando da parte il dibattito sull’evoluzione dei fenomeni e sulle possibili soluzioni (che certo implicano tempistiche storiche al di là delle contingenze presenti), il tema che qui si presenta è la riflessione sulla complessità della composizione di comunità conviventi sullo stesso territorio, sulle origini storiche che ancora definiscono identità e sulle determinanti politiche che hanno influito su decisioni e comportamenti di intere componenti sociali.

Fig. 3 – Bucarest (Romania), Cattedrale Patriarcale Ortodossa dei SS. Costantino ed Elena e il Palazzo del Patriarcato (foto dell’autore)

Intanto, gli Stati formati nell’ultimo secolo e mezzo che hanno sbocco sul Mar Nero corrispondono ai gruppi etnici dominanti insediati sulle sue coste. Russi, Ucraini e Bulgari sono slavi e prevalentemente Cristiani ortodossi; Georgiani e Romeni sono gruppi etnici a se stanti aderenti alla stessa religione; i Turchi rappresentano il gruppo etnico originario di una miriade di etnie classificate come popolazioni di origine turca e tutte di religione islamica. I nuovi Stati indipendenti apparsi nell’ultimo ventennio sulle rive del Mar Nero (o aree interne di pertinenza geografica) sono entità secessioniste di ispirazione politica russa, ma mentre la Transdnestrija e le autoproclamate Repubbliche del Donbass sono popolate da Slavi Cristiani Ortodossi, l’Abkhazija è abitata da popolazioni caucasiche nord-occidentali, Georgiani e Armeni prevalentemente di fede cristiana o musulmana secondo la comunità di appartenenza.

Tuttavia, la situazione non è così nettamente determinata, perché gli Stati nazionali ospitano svariate minoranze etnico-linguistiche e religiose che spesso testimoniano le ragioni di una presenza consolidata nella storia da tradizioni e comportamenti. Tra i più interessanti gruppi minoritari insediati oggi attorno al Mar Nero vi sono quelli appartenenti alle seguenti famiglie etniche: Slavi, popoli del Caucaso, popoli di origine turca, Greci del Ponto, Armeni, Ebrei, popoli neo-latini orientali, Indo-Ariani, Tedeschi. Ovviamente, un gruppo etnico che è maggioranza in un Paese può essere minoranza in un altro Paese della stessa area proprio in virtù delle migrazioni secolari volontarie o imposte dalla situazione politica. E ancora, approfondendo ulteriormente, un gruppo etnico può essere minoranza rilevante in un Paese, ma non rappresentare una presenza significativa in un’area di pertinenza costiera (vedi ad esempio gli Ungheresi in Romania). E questo è ancora più evidente per i grandi Stati nazionali come la Russia e la Turchia, dove i popoli caucasici dell’Est o i Curdi, maggioranza in vaste zone di quei Paesi, non hanno una presenza rilevante nelle aree gravitanti attorno al Mar Nero. Così, per grandi linee, si possono tracciare anche ambiti di pertinenza geo-antropica, dove le comunità slave cristiano-ortodosse sono prevalenti nella parte settentrionale e occidentale, quelle caucasiche di varie religioni nella parte orientale e quelle musulmane di origine turca nella parte meridionale.

Proviamo a delineare alcune caratteristiche delle famiglie etniche suesposte.

Minoranze slave

Le principali minoranze slave nell’area (ovviamente al di fuori dei loro Stati nazionali di riferimento) sono di etnia russa, ucraina e bulgara, tutte insediate in zone con popolazione di fede cristiana-ortodossa. I Russi sono presenti massicciamente nel Donbass ucraino, ma anche in Moldavia, Transdnestrija e Georgia. Dal XVIII secolo nella regione di Budzhak, cioè la Bessarabia meridionale attualmente di nazionalità ucraina, nelle adiacenti Dobruja romena e bulgara e nella provincia bulgara di Varna sono insediati i Lipovani, una popolazione di origine russa costituente una dissidenza di natura religiosa rispetto alla Chiesa Ortodossa Russa: appartengono alla fazione degli Antichi Ritualisti, cioè a quei Cristiani Ortodossi che seguono la ritualità tradizionale antecedente alla Riforma introdotta tra il 1652 e il 1666.

Secondo il censimento del 2014, gli Ucraini sono minoranza in Crimea (15,7%) dopo i Russi (67,9%). In quell’anno la Crimea è stata annessa alla Federazione Russa, dando vita alla Repubblica di Crimea e alla città federale di Sevastopol’ come due delle 85 entità costituenti la Federazione. I Bulgari, invece, costituiscono una delle principali minoranze nella regione ucraina del Mar Nero, specialmente in quella di Odessa che ne accoglie circa 150 mila. Comunità ucraine e bulgare sono presenti in Moldavia, Transdnestrija e Romania per un totale di 600-750 mila persone.

Minoranze caucasiche

Fig. 4 – Mappa linguistica del Caucaso (di Asya Pereltsvaig, 2012)

I popoli caucasici che vivono nelle aree prospicienti il Mar Nero possono dividersi in due famiglie etniche, che sono i Caucasici nord-occidentali e quelli meridionali. Tra i primi vi sono Circassi, Abazi e Abkhazi che sono legati anche da lingue della stessa origine; tra i secondi vi sono Georgiani, Lazi e Mingreli, che sono accomunati da lingue kartliane strettamente correlate anche alla lingua abkhaza [fig. 4]. Così l’Abkhazija [fig. 5] diventa l’anello di congiunzione tra nord e sud del Caucaso con la sua complessità linguistica, etnica e religiosa che spiega anche le sue vicende storiche recenti e del passato. Ma andiamo con ordine.

Fig. 5 – Mappa etnica dell’Abkhazija (2009)

Figg. 6 e 7 – Cherkesska (tunica tradizionale maschile) d’Abkhazija

I Circassi in senso lato (quindi non solo gli abitanti della Karačaj-Circassia) vivono soprattutto in Kabardino-Balkaria, Adygea e anche Karačaj-Circassia. Queste tre Repubbliche della Federazione Russa accolgono circa 650 mila Circassi, che sono prevalentemente Musulmani sunniti della scuola giuridico-teologica ḥanafita. Soltanto nella prima di queste repubbliche sono la maggioranza della popolazione (57,2% al censimento del 2010) nella loro versione locale rappresentata dai Cabardi. In Karačaj-Circassia, invece, il gruppo etnico dominante è quello dei Karačaj che sono di origine etnica e linguistica turca e parlano una lingua Qıpçaq, benché anche loro siano Musulmani sunniti. Un gruppo etnico meno numeroso è quello degli Abazi, che originariamente abitavano la parte occidentale dell’Abkhazija e migrarono nella parte settentrionale dell’attuale Karačaj-Circassia nel XIV e XV secolo. Le loro caratteristiche etniche e religiose sono simili a quelle dei Circassi e oggi una piccola percentuale vive anche nel vicino kraj di Stavropol’. Gli Abkhazi, invece, sono stanziati, oltre che in Abkhazija che ne accoglie circa 120 mila, anche in piccole comunità locali di Georgia e Ucraina.

Fig. 8 – Mappa amministrativa della Georgia (comprese Abkhazija e Ossezia del Sud)

In Georgia, Stato dichiaratamente cristiano-ortodosso con la religione avvertita come base identitaria, più dell’80% della popolazione è composto da Georgiani, ma nella sua Repubblica Autonoma di Adjara il 30% della popolazione locale (che è pur sempre di etnia e lingua georgiana) è tradizionalmente musulmano sunnita dal XVI secolo. La condizione di minoranza religiosa non è facile per i Musulmani di Adjara (come anche per le minoranze azere e cecene dell’interno) perché resta il retaggio storico della resistenza che i Georgiani hanno opposto in passato verso gli Imperi musulmani ottomano e persiano, per cui si richiede loro una continua prova di fedeltà allo Stato. Questo comporta spesso l’aspettativa di un rifiuto da parte loro degli obblighi e dei costumi imposti dall’Islam e dalle tradizioni. L’astenersi degli uomini dal bere alcolici o indossare l’hijāb in pubblico per le donne causa perdita di consenso sociale e problemi nell’attività lavorativa, inducendo alla conversione al Cristianesimo, che è maggioritario e nella percezione della popolazione aiuta a conquistare una più alta posizione sociale.[1] Tuttavia, in Adjara le organizzazioni musulmane sono in crescita per l’aiuto che a queste fornisce la Turchia, la quale guarda alla regione anche per sviluppare buone relazioni economiche con la Georgia.[2]

Fig. 9 – Shaykh georgiano-musulmano, 1900 (foto dalla Biblioteca di Stato Russa)

Sottogruppi dell’etnia georgiana sono gli Svani, i Mingreli e i Meskhiani, che parlano dialetti del gruppo linguistico kartliano simili al Georgiano. I primi, insediati nella regione storica di Svaneti, nel nord-ovest della Georgia, sono Cristiani ortodossi, come i 400 mila Mingreli delle adiacenti regioni di Mingrelia e Abkhazija; i Meskhiani, 77 mila persone collocate nella regione sud-occidentale di Samtskhe-Javakheti, sono divisi tra comunità cristiano-ortodosse e cattolico-romane. Consistenti minoranze meskhiane esistono anche nella provincia nord-orientale turca di Ardahan e lungo i confini georgiani con la Turchia, quantunque in questo caso siano Musulmani di etnia e lingua turca.

Proprio la questione del rimpatrio dei Turchi meskhiani di Georgia rappresenta ancora oggi un grosso problema politico per le istituzioni. La questione nacque quando nel novembre del 1944 Stalin iniziò la deportazione di 120 mila componenti di questa etnia dalla Georgia meridionale in Asia Centrale. Negli anni ’80 i Turchi meskhiani cominciarono il loro lento rientro in Patria, ma sempre illegalmente, non essendoci una legge che ne prevedesse il rimpatrio. Soltanto nel 1999, quando la Georgia fu ammessa nel Consiglio d’Europa, le autorità si impegnarono a varare un provvedimento in tal senso, che si concretizzò nel luglio 2007 con la Legge sul Rimpatrio dei Deportati. Tuttora, a 12 anni dall’approvazione di quella legge, molti Turchi meskhiani continuano a non avere riconosciuto lo status di rimpatriato, dovendo così rinunciare ai diritti di assistenza sanitaria ed economica, oltre che alle rivendicazioni riguardanti il diritto di proprietà sugli immobili abbandonati all’epoca o su quelli acquisiti in tempi più recenti.[3]

Fig. 10 – Membri di una comunità lazi

Questa questione rende evidente i legami storici esistenti tra Georgia e Turchia, legami che si possono leggere ancora attraverso le connessioni tra minoranze etnico-religiose e luoghi, in una continuità territoriale che supera gli attuali confini. Se i Turchi meskhiani sono, per così dire, un pezzo di Turchia in Georgia, i Lazi [fig. 10] testimoniano un pezzo di Georgia in Turchia. Questo sottogruppo dell’etnia georgiana parla la lingua lazuri di origine kartliana, ma professa l’Islam sunnita dal XV secolo. Si distinguono due diversi gruppi di Lazi, che sono stanziati l’uno nell’area orientale della regione del Mar Nero (nelle provincie di Rize e Artvin) e l’altra in quella occidentale (provincie di Adapazarı, Sapanca, Yalova e Bursa). Questi ultimi sono discendenti di immigrati in fuga dalla guerra ottomano-russa alla fine del XIX secolo; negli ultimi 20 anni sono in maggioranza emigrati verso le maggiori città della Turchia occidentale.[4] Una delle richieste più pressanti della minoranza lazi è stata sempre incentrata sul diritto all’istruzione nella lingua lazuri, che è classificata in via di estinzione dall’UNESCO, e soltanto dal 2013 la nuova politica di “democratizzazione” varata dal governo ha consentito lezioni facoltative presso alcune scuole pubbliche delle provincie interessate.[5]

Minoranze di origine turca

In Bulgaria e Turchia vivono i Turchi bulgari, etnia formatasi a cominciare dal XIV-XV secolo, quando gli Ottomani conquistarono la Bulgaria determinando immigrazione turca in loco e conversione di molti Bulgari all’Islam nei secoli successivi. Oggi in Bulgaria quasi 300 mila Turchi sono insediati in Dobruja (Silistra e Dobrič), in altre province del Nord-Est (Razgrad, Šumen e Tărgovište) e in quelle delle città portuali di Burgas e Varna, mentre, viceversa, una cifra di entità simile è registrata in Turchia come persone nate in Bulgaria.[6] Quasi tutti hanno mantenuto la fede religiosa islamica.

Fig. 11 – Constanţa (Romania), Grande Moschea del Re

Popoli di origine turca sono anche i Tatari di Crimea, circa 300 mila persone stanziate, oltre che in Crimea, anche nella Dobruja romena, specialmente nella zona di Constanța, dove si insediarono nel XIII secolo. In Crimea i Tatari, che preservano la loro lingua di origine turca Qıpçaq, rappresentano il 12,6% della popolazione e fino all’annessione russa hanno costituito la più numerosa minoranza musulmana di Ucraina.

I Gagauzi, popolo di lingua Oghuz di origine turca e di religione cristiano-ortodossa, devono l’attuale insediamento territoriale alla fuga dalla Bulgaria ottomana verso la Bessarabia nella prima metà dell’800. Oggi vivono infatti tra Moldavia e Ucraina non lontano dai confini con la Transdnestrija, la maggior parte (circa 160 mila) nell’Unità Territoriale Autonoma di Gagauzia e nei confinanti distretti di Basarabeasca e Taraclia della Moldavia meridionale. Il resto (circa 50 mila) è distribuito tra Ucraina, nella regione di Budzhak e nell’oblast’ di Zaporizhia sulla costa del Mar d’Azov, e Turchia. Le loro tradizioni, viste le origini bulgare, si rifanno ad un misto di costumi turco-balcanici e certo la Turchia gioca un ruolo etnico-linguistico e culturale che rappresenta un modello per i Gagauzi. Tuttavia, la loro battaglia nei confronti del governo moldavo per la promozione della lingua e della cultura locale non è molto diversa da quella che i Lazi musulmani conducono in Turchia.

Fig. 12 – La regione settentrionale del Caucaso

Nel Caucaso settentrionale [fig. 12] sono insediati quasi 200 mila dei già citati Karačaj (in Karačaj-Circassia), oltre 100 mila Balkari (in Kabardino-Balkaria) e circa 40 mila Nogai (nel kraj di Stavropol’ e ancora in Karačaj-Circassia), tutti di religione musulmana sunnita. I Nogai discendono dalle tribù mongole e turche che tra il XVI e XVII secolo diedero vita all’Orda Nogai nella steppa pontico-caspica. Esiste qualche differenza idiomatica tra i Nogai di Stavropol’ e di Karačaj-Circassia, benché parlino entrambi una lingua di origine turca: i primi si esprimono nel Nogai vero e proprio; i secondi in Aqnogai (cioè il Nogai Bianco o dell’ovest). Comunque, altre comunità esistono nella città romena di Constanța e nella provincia nord-occidentale turca di Eskişehir.

Minoranze greco-pontiche

Fig. 14 – Abito femminile dei Greci del Ponto

Fig. 13 – Greci del Ponto, costumi tradizionali

Nella regione del Mar Nero vi è stata una presenza storica di Greci (coloni dall’antica Grecia e successivamente da Bisanzio), che persiste ai giorni nostri per discendenza particolarmente nel nord-est della Turchia, nelle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina, in Georgia e nei comprensori romeni di Brăila e Constanța. La scarsa presenza attuale nell’area (circa 500 mila persone) è comunque frutto dello sfaldamento del Sultanato Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale, che ha condotto alla diaspora anche nelle regioni circostanti e costretto la maggior parte dei Greci del Ponto al ritorno nella patria originaria greca. La “Convenzione concernente lo scambio di popolazioni greche e turche” siglata a Losanna nel 1923 coinvolse infatti più di un milione e mezzo di Greci d’Anatolia, Tracia orientale and Caucaso scambiati con 355 mila Musulmani di Grecia. L’esodo delle comunità cristiano-ortodosse ha ridotto molto la presenza cristiana in generale, perché, prima che fosse abolito il Califfato e prima della disastrosa guerra innescata dai nazionalismi europei, in molte città turche la popolazione cristiana costituiva la maggioranza e l’integrazione tra le comunità religiose era naturalmente perseguita e attuata [vedi fig. 24].[7] Poi sarebbe iniziata la politica di “turchificazione” e assimilazione varata dalla neonata repubblica.

Fig. 15 – Provincia di Trebisonda (Turchia), Monti del Ponto, Monastero greco-ortodosso di Sümela Panagia

Nell’attuale Turchia, 4 mila Greci ortodossi rimangono insediati sul Mar di Marmara tra Imbros, Tenedos e Istanbul. Ma sulle coste del Mar Nero sono rimasti i Greci musulmani del Ponto convertiti dal XVII secolo che, secondo le statistiche dell’anno corrente, sono 345 mila distribuiti tra le provincie di Rize, Sakarya e Trebisonda. Nei dintorni di quest’ultima città vivono anche 4.500 Greci che hanno mantenuto la lingua romeyka nella forma di un dialetto greco-pontico, ma anche questa comunità è composta da Musulmani.

I restanti Greci del Ponto della diaspora sono insediati principalmente sulla sponda settentrionale del Mar Nero, vale a dire nel Donbass e nel Caucaso settentrionale (Stavropol’ e Krasnodar), ma poche migliaia vivono anche in Crimea, a Odessa e nell’Adjara georgiana.

Armeni

Fig. 16 – Mesrob II Mutafyan, defunto Patriarca di “Istanbul e tutta la Turchia” della Chiesa Apostolica Armena

Nell’area del Mar Nero gli Armeni della diaspora sono localizzati soprattutto sulla costa orientale, ma alcune migliaia appartenenti a comunità più antiche si sono insediate dal V secolo nelle città costiere bulgare di Burgas e Varna nelle vesti di cavalieri bizantini. Oltre 40 mila sono in Abkhazija (il 20% della popolazione locale), concentrati nella capitale Sukhumi e nelle città di Gulripshi e Gagra, a seguito dell’emigrazione iniziata nell’ultima parte del XIX secolo. Nel Caucaso settentrionale gli Armeni sono diffusi nella Repubblica di Adygea, nel kraj di Stavropol’ e negli oblasti di Krasnodar e Rostov-na-Donu. Nella regione georgiana meridionale di Samtskhe-Javakheti, ai confini con l’Armenia, costituiscono la maggioranza della popolazione e sono divisi tra affiliati alla Chiesa Apostolica Armena o Chiesa Gregoriana (l’80%) e la Chiesa Armeno-Cattolica (il restante 20%), cioè coloro che accettano il primato papale della Chiesa di Roma. La questione del rispetto dei loro diritti è stata ripetutamente sollevata dalle rivendicazioni civili, che riguardano, come sempre in questi casi, maggiore considerazione dell’identità nazionale e della lingua armena e conseguente maggiore autonomia. A questo si aggiungono le istanze religiose per la restituzione alla Chiesa Apostolica Armena di alcune chiese attualmente di proprietà della Chiesa Ortodossa Georgiana. Tuttavia, nonostante le proteste e la scarsa partecipazione alla vita politica degli Armeni, le richieste non hanno trovato ascolto presso le autorità (Middel, 2007).

Fig. 17 – Donne hemşin (di CharlesFred)

Appartenenti all’etnia armena sono anche gli Hemşin, che sono classificati in tre gruppi distinti. Hemşin del Nord sono identificati quelli presenti in Georgia e nel Caucaso e che sono in maggioranza Cristiani e parlano un loro dialetto della famiglia delle lingue armene occidentali. Hemşin dell’Ovest e dell’Est sono invece quelle comunità insediate sulla costa orientale turca del Mar Nero che, a somiglianza dei Lazi georgiani insediati sugli stessi territori, sono Musulmani sunniti dalla seconda metà del XV secolo, ma sono immigrati all’inizio del XIX secolo da Georgia, Russia e parti dell’Armenia. Con i Lazi condividono anche la condizione di minoranza parlante una lingua arcaica in via di estinzione (Kirac, 2019), anche se tutti ormai parlano correntemente turco.

Altre minoranze

Molte altre minoranze sono presenti attorno al Mar Nero e tra queste si distinguono per continuità di presenza quelle appartenenti alle famiglie etniche ebraica, neo-latina orientale, indo-ariana e tedesca.

La maggiore presenza ebraica nell’area è registrata in Ucraina e Turchia (soprattutto a Istanbul), rispettivamente 53 mila e 15 mila persone, che salgono ulteriormente se si comprendono coloro che hanno genitori ebrei.[8] In Crimea, secondo il censimento 2014, vivono 3.300 Ebrei e tra di loro i componenti di due piccole comunità con diverse caratteristiche e diverse origini. I K’araj di Crimea, che professano l’Ebraismo karaita fedele alla Tōrāh Scritta come sola suprema autorità giuridico-teologica, derivano da aderenti turcofoni dell’Europa centrale e orientale e dell’Impero Russo, da cui ereditano il Karaim, una lingua di origine turca con influenze ebraiche. I Krymchak sono Ebrei ortodossi successori di immigrati da tutta Europa e Asia e sono anche loro turcofoni.

Fig. 18 – Regioni di Moldavia e Transdnestrija

Le minoranze costituite da popoli neo-latini orientali sul Mar Nero sono romene e moldave distribuite nei Paesi della sezione nord-occidentale dell’area. La questione si complica se si tiene conto che molti studiosi considerano i Moldavi come una costola dell’etnia romena e quindi in pratica non esistente. Questa è piuttosto una questione politica che coinvolge la storia di Romania e Moldavia e la diffidenza che la prima ha sempre contrapposto all’Unione Sovietica anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando entrambe erano accomunate dalla stessa ideologia di regime. I censimenti in Moldavia e Transdnestrija, comunque, registrano i Moldavi come etnia a se stante, ma la Dichiarazione d’Indipendenza moldava del 1991, contrariamente alla successiva Costituzione, stabilisce il Romeno come lingua ufficiale. Al di là di queste doverose distinzioni, in Moldavia sono censiti 193 mila Romeni e in Ucraina 151 mila. Per quanto riguarda i Moldavi fuori dalla Moldavia, 259 mila vivono in Ucraina, 162 mila sono immigrati in Romania e 157 mila al censimento del 2015 sono i cittadini di “etnia moldava” rimasti in Transdnestrija dopo la secessione del 1990.

Fig. 19 – Abitazioni tradizionali di “baroni” rom nella Moldavia romena (foto dell’autore)

I Roma (o Zingari) sono Indo-Ariani originari dell’India settentrionale che per loro natura sono difficili da censire unitariamente. In Romania, la nazione che ne accoglie il maggior numero, sono stanziati più di 600 mila Zingari, ma la percentuale più alta sul totale della popolazione locale (più del 10%) si registra in Bulgaria, mentre in Turchia, Romania e Moldavia si attesta sul 3-4%.

Infine, circa 33 mila Tedeschi negli ultimi 30 anni si sono progressivamente insediati in terra ucraina, provenienti da Russia e Asia Centrale a seguito dello sfaldamento dell’Unione Sovietica.

Lo sfondo storico

Fig. 20 – Membro mulatto di una tribù d’Abkhazija

Questa descrizione non ha l’intento di trattare statisticamente un argomento così complesso, ma soltanto di offrire il quadro dell’eterogeneità della presenza antropica attorno al Mar Nero che non può essere ricondotta ad un contesto burocratico di appartenenza nazionale più o meno recente. Certo, se accettiamo l’ottica della continuità storica e la condizione d’indipendenza di uno Stato, la Rus’ di Kiev, il primo nucleo della Grande Russia, nasce nell’882 e si sviluppa successivamente con la formazione dell’Impero Russo, dell’Unione Sovietica e dell’attuale Federazione Russa; le attuali Romania e Bulgaria nascono formalmente nel 1881 e 1908; la Turchia nel 1923 dallo scioglimento del Sultanato Ottomano; ma Transdnestrija, Moldavia, Ucraina, Georgia e Abkhazija, essendo sorti dal disfacimento dell’Unione Sovietica, hanno meno di 30 anni di vita da Stati indipendenti (tra l’altro il primo e l’ultimo neanche universalmente riconosciuti).

Senza voler sminuire l’importanza dell’appartenenza nazionale, sembra evidente che uno strumento più adatto a comprendere interazioni sociali tra gruppi con diversi costumi e tradizioni è l’esame dei legami etnico-linguistici e religiosi nel loro contesto storico e anche dei loro rapporti con il potere politico del momento. Qui possiamo soltanto proporre le premesse di una tale analisi e cioè indicare alcuni dei capisaldi storici che sono la fonte della formazione dei gruppi prima sommariamente analizzati.

Intanto i Georgiani sembrano essere l’etnia ancora esistente più antica dell’area, discendenti dagli Egrisi (tribù della Colchide caucasica) e dai Moschiani (da cui prendono il nome i già citati Meskhiani) e fondatori nel IV secolo a. C. del Regno di Kartli (o Iberia), il primo Stato georgiano, poi convertito al Cristianesimo ad opera di Santa Nino.

Fig. 21 – La Bulgaria nel XIII secolo

Fig. 22 – Rus’ di Kiev, icona Il Battesimo della Russia (1988) dell’Archimandrita Theodore Zenon, monaco del Monastero della Dormizione di Pečory, nell’oblast’ di Pskov

Etnia di antiche origini è anche quella bulgara. La Grande Bulgaria fu fondata nel 632 nell’arco settentrionale del Mar Nero da Bulgari Onoğuri, i quali erano semi-nomadi di origine turca provenienti dall’Asia Centrale. Il primo Stato bulgaro di lingua proto-slava nacque invece sul territorio dell’attuale Bulgaria nel 681, divenendo un Impero nel 913 e dominando l’area dei Balcani dal Dnepr all’Adriatico durante il IX-X secolo. Il Cristianesimo fu religione di stato dall’864 e l’Islam dal 922. Nel frattempo, popoli slavi e finnici accomunati dalla lingua slava antica orientale avevano fondato la Rus’ di Kiev, che nei secoli X e XI era lo stato più grande e potente d’Europa. La sua cristianizzazione avvenne nel 988 sotto la giurisdizione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Significò non soltanto l’abbandono del Paganesimo slavo, ma l’inizio dell’espansione di una sensibilità cristiana orientale di cui la nascente Russia fa ancora parte da quando nel 1054 si realizzò il Grande Scisma nella Chiesa di Roma. Il fatto che il Gran Principe di Kiev San Vladimir il Grande fosse stato battezzato nell’antica colonia greca di Chersoneso, in Crimea, avrebbe creato in seguito le basi per la legittimazione del potere russo sull’area.[9]

Nel 1227, alla morte di Genghis Khan che aveva fondato l’Impero Mongolo, nacque l’Orda d’Oro, un territorio che comprendeva anche quella che oggi è la Russia meridionale e ben presto avrebbe raggiunto l’Europa orientale e i Balcani. Inevitabilmente, la mescolanza etnica (gruppi mongolo, tataro-mongolo, di derivazione turca e ugro-finnico) ha portato a nuovi caratteri biologici e somatici e a nuove civiltà, da cui, secondo alcune tesi, potrebbero derivare i Tatari.[10] Come ci si sarebbe potuto aspettare, prevalse la lingua qıpçaq parlata dai suoi Khan e nel 1313 l’Islam sunnita divenne religione di stato.

Fig. 23 – L’ascesa del Sultanato Ottomano

Sul fronte sud, il Sultanato Ottomano, nato nel 1299 in Anatolia, tra il 1362 e il 1393 conquistò dall’Impero Bizantino Adrianopoli, nella Tracia orientale, Sofia, Šumen e Tărnovo, nell’attuale Bulgaria: era il prologo alla conquista di Costantinopoli del 1453 e l’inizio della diffusione dell’Islam nell’Europa sud-orientale. La Penisola di Crimea, precedentemente dominata dal 1441 da khan locali della Dinastia Geray, divenne formalmente nel 1478 il Khanato di Crimea. Sebbene fosse uno Stato vassallo del Sultanato Ottomano, il Khanato era flessibile e pragmatico nei confronti del Granducato di Mosca, a sua volta vassallo dell’Orda d’Oro. Sotto il governo di Solimano il Magnifico, l’Armenia occidentale e la Georgia occidentale entrarono a far parte del Sultanato e la Transilvania, la Valacchia e la Moldavia divennero Principati suoi tributari.

Fig. 24 – Mappa etnica della Turchia nel 1910 (di Spiridon Ion Cepleanu)

In generale, durante tutto il periodo ottomano l’Islam fu più tollerante di quanto al tempo non fosse la Cristianità (Jobst, 2017). Basti pensare al trattamento ricevuto dagli Ebrei dopo la Reconquista spagnola e alla conseguente politica delle porte aperte nei loro confronti da parte di Istanbul. Nella stessa Anatolia le minoranze etniche e religiose vissero per secoli accanto ai Turchi musulmani [fig. 24], dando vita ad un sincretismo di comportamenti ben lontano dall’isolazionismo o dall’assimilazione (Martyn, 2016). Tuttavia, lo stesso non fu nei confronti delle popolazioni esterne al Sultanato, spesso sottoposte a razzie e saccheggi.

Fig. 25 – Lo Tsar Pietro il Grande (artista anonimo, XVIII secolo)

La conquista di grandi aree sotto dominio ottomano nel corso delle guerre russo-ottomane testimonia l’interesse all’accesso sul Mar Nero da parte della Russia, nel frattempo passata dal Regno di Moscovia all’Impero Russo di Pietro il Grande. Il Khanato di Crimea, in cui i Tatari costituivano maggioranza etnica, fu strappato alla tutela ottomana nel 1774 e, dopo una gloriosa storia di oltre tre secoli, l’Impero Russo la annesse nel 1783 ad opera di Caterina II, la quale tenne a specificare che la regione sarebbe diventata parte dell’Impero Russo “per sempre” (Jobst, 2017). Quando il confronto russo-turco culminò nel Trattato di Adrianopoli nel 1829, la gravosa conseguenza fu l’allontanamento della popolazione musulmana dalle zone occupate dai Russi verso il Sultanato Ottomano. In Crimea, dopo una decisa politica di colonizzazione e di incoraggiamento all’immigrazione di diversi gruppi etnici (tra cui Tedeschi, Ortodossi bulgari e Gagauzi), la Guerra di Crimea portò alla fuga in massa dei Tatari principalmente verso Anatolia e Dobruja.

Fig. 26 – Bulgaria: i cambiamenti territoriali a cavallo della Prima Guerra Mondiale

Fig. 27 – Unione dei Principati di Moldavia e Valacchia: organizzazione amministrativa (1856-1878) (di Spiridon Ion Cepleanu, 2014)

All’inizio del XIX secolo l’espansione russa giunse nel Caucaso e nel 1801 San Pietroburgo annesse la Georgia, strappandola alla dinastia dei Bagrationi che la reggeva da tempi medievali. L’Adjara, la regione costiera meridionale dell’attuale Georgia, fu ceduta dal Sultanato Ottomano alla Russia imperiale nel 1878 alla fine della Guerra Russo-Turca, ma la sua popolazione rimase legata, come in parte all’attualità, alla Turchia e all’Islam. Quello stesso anno, sull’altra sponda del Mar Nero nasceva il Principato di Bulgaria come vassallo di Istanbul, ma che costituiva la premessa per l’indipendenza raggiunta nel 1908. La formazione dell’Unione dei Principati di Moldavia e Valacchia, invece, ebbe la sua naturale conseguenza nel Regno di Romania, nato nel 1881.

Fig. 28 – Caucaso: mappa amministrativa in URSS (1957-91)

Con la Rivoluzione d’Ottobre, Ucraina, Georgia e Crimea dichiararono effimere indipendenze dalla Russia bolshevika. La Repubblica Nazionale Ucraina e la Repubblica Democratica di Georgia restarono in piedi dal 1918 al 1921. In Crimea i Tatari diedero vita alla Repubblica Popolare di Crimea,[11] primo tentativo nel mondo islamico di creare uno Stato laico. Questa repubblica indipendente durò solo un mese. Ma l’Armata Bianca, una confederazione di forze anti-comuniste, controllò il territorio fino al 1920, quando fu sconfitta dall’Armata Rossa e cominciarono le epurazioni di centinaia di migliaia di persone, organizzate dall’ungherese Béla Kun, diventato Capo del Comitato Rivoluzionario di Crimea. All’epoca il quadro demografico dell’ultimo censimento in Ucraina contemplava tra le minoranze etniche Russi ed Ebrei (attorno al 10% ciascuna) e una più ristretta presenza di Tedeschi; in Crimea la maggioranza della popolazione era composta da Tatari e Russi (ciascuna per oltre un terzo), gli Ucraini erano il 12%, con più ridotte presenze di Ebrei e Armeni. Due esempi di una complessità etnica che riguarda tutta l’area del Mar Nero e che né la struttura federativa dell’Unione Sovietica, né la politica delle nazionalità varata da Lenin riuscirono a gestire per evitare i futuri scontri. Tuttavia, è da registrare che la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma d’Adjara, istituita nel 1921 all’interno della Georgia sovietica su accordo russo-turco, fu un esempio di autonomia creata su base religiosa, perché a protezione dei Musulmani locali di etnia georgiana. Peccato che la pratica religiosa fosse bandita nell’Unione Sovietica…

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Wolgatatarische Legion (la Legione dei Tatari del Volga) accolse nella Wehrmacht molti volontari delle etnie non-russe della regione. I Tatari di Crimea, per di più, furono accusati di collaborazionismo da Stalin, dimenticando le pesanti condizioni imposte dall’occupazione del Reichskommissariat Ukraine che ebbe giurisdizione sulla Crimea da settembre 1942 a ottobre 1943. Nel 1944 iniziarono le deportazioni comuniste di Tatari e Greci di Crimea verso la Siberia e l’Asia Centrale (Minahan, 2000) e nel 1956 Khrushëv permise a milioni di esiliati dalle purghe staliniste di tornare nelle loro terre, ma “dimenticò” i Tatari. La pluralità etnica, culturale e religiosa che aveva caratterizzato la costa settentrionale del Mar Nero nei secoli precedenti era così persa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo, dal 1954 la Crimea era stata ceduta all’Ucraina, sempre nell’ambito dell’Unione Sovietica.

Fig. 29 – Il territorio ucraino della regione storica di Budzhak

Fig. 30 – Romania: la Grande Unione dopo la Dichiarazione di Alba Iulia del 1918

Con la stagione delle indipendenze dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, cadde il pregiudizio ideologico verso le religioni, che furono finalmente libere di svolgere la loro funzione. Tuttavia, le minoranze religiose e etniche entro gli Stati nazionali cominciarono a subire le politiche di stampo nazionalistico varate dai nuovi governi, come è il caso già citato della Georgia in Adjara e Abkhazija o dei Gagauzi in Moldavia. In Crimea i primi conati secessionisti furono sedati dall’istituzione della Repubblica Autonoma di Crimea come entità costituente dell’Ucraina indipendente, mentre i Greci stanziati entro i confini dell’ex URSS avviarono il loro rimpatrio in Grecia.[12] Da parte sua, il Cremlino inaugurò la politica etnica di difesa delle minoranze russe negli altri Paesi dell’area, incoraggiando o determinando le secessioni di Transdnestrija, Ossezia del Sud e repubbliche del Donbass e attuando l’annessione della Crimea. Al contrario, ancora oggi restano sul terreno analoghe tentazioni da parte della Romania nei confronti del Budzhak ucraino [fig. 29], storicamente appartenente alla Bessarabia incorporata dalla Dichiarazione di Alba Iulia del 1918 [fig. 30], a fronte delle tendenze filo-russe dei Gagauzi di Moldavia e degli stessi Bulgari di Budzhak.[13] A dimostrazione, secondo fonti giornalistiche,[14] quattro anni fa c’è stato un precario tentativo di istituire un Consiglio Popolare di Bessarabia (BPC), in cui sono stati coinvolti esponenti del Partito nazionalista bulgaro Attack. L’intento era quello di instaurare una Repubblica Popolare di Bessarabia, subito represso dalle autorità ucraine e da cui hanno preso le distanze le comunità bulgare locali, ma l’azione ha sollevato preoccupazioni circa la volontà di Mosca di creare una Novorossija dalla Bessarabia al Donbass per riunire la popolazione russofona e minare ulteriormente l’integrità dello Stato ucraino.

Conclusione

Come si è visto, la multi-etnicità, il poli-linguismo e la multi-religiosità della gente insediata attorno al Mar Nero ha costituito storicamente motivo di interconnessioni e, alternativamente, di rivalità, invasioni e saccheggi. La coesistenza non è forse congruente con gli istinti di sopraffazione ciclicamente affioranti in gruppi di potere che si susseguono nella Storia e si aggregano secondo canoni di mutua inclusione e conseguente esclusione delle minoranze. Questa constatazione è ancora più evidente da quando gli Stati-Nazione hanno sostituito la concezione imperiale della molteplicità di composizione ed espressione (almeno in teoria). Questa concezione aveva consentito nell’antichità a Ciro il Grande di liberare gli Ebrei e all’Impero Romano di insediare sul trono Imperatori provenienti da lontane provincie, e nei tempi più recenti al Sultanato Ottomano di accogliere Cristiani, Ebrei e popoli delle più svariate etnie e all’Impero Russo di formare, seppure non senza contrasti, uno Stato dalle cento etnie e dalle decine di religioni.

Oggi il crescente nazionalismo inaugurato nell’800 tenta di semplificare le soluzioni, chiamando all’unità i gruppi etnici dominanti e creando tensioni non soltanto con i vicini (che è la naturale genesi dei conflitti bellici), ma all’interno delle stesse Nazioni difficilmente compatte dal punto di vista etnico. Dunque resta il problema della gestione delle minoranze e delle loro rivendicazioni in termini di diritti, esistenti o presunti secondo le leggi fondamentali degli Stati.

Fig. 31 – La Dobruja dopo il 1878

Gli esempi più eclatanti qui presentati sono relativi a territori di formazione storica (la Dobruja, la Bessarabia, il Caucaso occidentale), oggi divisi da innaturali confini determinati dalle guerre per la costituzione degli Stati nazionali. Queste regioni rappresentano la quintessenza del mix di culture insediate sullo stesso suolo, le cui componenti hanno l’opzione di seguire ciascuna un percorso d’indipendenza o, viceversa, di richiedere rispetto e valorizzazione delle loro peculiarità e prerogative. Tutto il contrario delle continue invocazioni a conformarsi ai costumi prevalenti, il che implica omologazione alla maggioranza in termini di tradizioni, lingue, religioni e, in definitiva, perdita d’identità e assimilazione in cambio di accettazione.

La varietà dei popoli del Mar Nero deve essere percepita come un’opportunità. Questo è l’auspicio da consegnare alle istituzioni e alla società civile dei vari Paesi dell’area.

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[1] Inga Popovaite (5 marzo 2015). Georgian Muslims are strangers in their own country. Vedi https://www.opendemocracy.net/en/odr/georgian-muslims-are-strangers-in-their-own-country/

[2] Bert Middel (28 agosto 2007). State and Religion in the Black Sea Region (Draft Report). NATO Parliamentary Assembly, Sub-Committee on Democratic Governance.

[3] Nino Narimanishvili (21 giugno 2017). Return from exile: Muslim Meskhetians from Georgia. Vedi https://jam-news.net/the-return-from-exile/

[4] Minority Right Group International (s.d.). Laz. Vedi https://minorityrights.org/minorities/laz/

[5] Nimet Kirac (19 marzo 2019). Lost words: The struggle to save Turkey’s disappearing languages. Vedi https://www.middleeasteye.net/discover/lost-words-struggle-save-turkeys-disappearing-languages.

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[7] Sam Martyn (26 ottobre 2016). Turkey’s Christ-Haunted Black Sea Coast. Vedi The Southern Baptist Theological Seminary, http://jenkins.sbts.edu/2016/10/26/turkeys-christ-haunted-black-sea-coast/

[8] Sergio Della Pergola (2017). World Jewish Population, Number 20. Berman Jewish DataBank, New York, NY.

[9] Kerstin Susanne Jobst (13 febbraio 2017). The Northern Black Sea Region. Vedi http://ieg-ego.eu/en/threads/crossroads/border-regions/kerstin-susanne-jobst-the-northern-black-sea-region.

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[11] James B. Minahan (2000). One Europe, Many Nations: A Historical Dictionary of European National Groups, Greenwood Press, Westport, Connecticut (USA), pag. 189.

[12] Eleni Sideri (Dicembre 2017). Historical Diasporas, Religion and Identity: Exploring the Case of the Greeks of Tsalka, in Eleni Sideri, Lydia Efthymia Roupakia, Religions and Migrations in the Black Sea Region, pagg. 35-56. Palgrave Macmillan, Cham. doi: 10.1007/978-3-319-39067-3.

[13] European Parliament, Directorate-General for External Policies, Policy Department (Novembre 2017). Facing Russia’s strategic challenge: Security developments from the Baltic to the Black Sea. doi:10.2861/047170 (pdf).

[14]  Thomas de Waal, Balázs Jarábik (24 maggio 2018). Bessarabia’s Hopes and Fears on Ukraine’s Edge. Carnegie Europe, Brussels, Belgium. Vedi https://carnegieeurope.eu/2018/05/24/bessarabia-s-hopes-and-fears-on-ukraine-s-edge-pub-76445; Adam Roberts (20 novembre 2017). Bulgarian factor in Russian aggression against Ukraine. Vedi https://www.youreporter.it/foto_bulgarian_factor_in_russian_aggression_against_ukraine/

 

BIBLIOGRAFIA

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