LE INQUIETUDINI DEI MUFTIATI RUSSI E IL LORO RUOLO POLITICO-RELIGIOSO
La coesistenza sui territori di Muftiati concorrenti e affiliati a diverse aggregazioni trova il disappunto del Cremlino. Allo stesso tempo, la questione della loro autonomia rispetto allo Stato e una certa strumentalizzazione a fini nazionali creano un quadro di scontro e incertezza
di Glauco D’Agostino
La situazione odierna dopo la progressiva frammentazione del Muftiato storico
Dalla caduta del sistema sovietico, in Russia permane il problema della definizione dei Muftiati (o alternativamente del Muftiato unificato), cioè delle entità di Amministrazione Spirituale dei Musulmani (DUM) incaricate di indirizzare responsi giuridici soprattutto di natura etica e di incoraggiare la popolazione musulmana ad accettare le leggi dello Stato attraverso un’interpretazione compatibile con la Sharī’a. Istituzionalizzato da Caterina II con l’Assemblea Spirituale Musulmana di Orenburg del 22 settembre 1788, il Muftiato operò a Ufa come organismo centralizzato per tutti i Musulmani prima dell’Impero e poi dell’Unione Sovietica fino al 1943, quando il Presidium del Soviet Supremo, su impulso del suo Presidente Mikhail Ivanovič Kalinin, autorizzò la creazione della corrispondente Amministrazione Spirituale dei Musulmani di Asia Centrale e Kazakhstan (SADUM) a Taškent; l’anno dopo nascevano quelle di Transcaucasia (DUMZ) a Bakı e del Caucaso Settentrionale (DUMSK) a Bujnaksk, in Daghestan. Ovviamente, a maggio del 1944 seguiva l’istituzione del Consiglio per gli Affari dei Culti Religiosi (SDRK) sotto l’autorità del Consiglio dei Commissari del Popolo dell’URSS, nell’ambito del quale ricadeva anche il coordinamento delle attività delle religioni diverse dalla Cristianità Ortodossa. Nel maggio del 1965 il controllo sulle comunità cristiano-ortodosse e quelle rimanenti fu unificato sotto l’autorità del Consiglio per gli Affari Religiosi.
Oggi l’Islam è ufficialmente rappresentato da circa 60 entità istituzionali operanti a livello territoriale, benché molte di queste siano affiliate a due organizzazioni-ombrello: l’Amministrazione Centrale Spirituale dei Musulmani di Russia, con base a Ufa, in Bashkortostan, e condotto da Tälğät Safa uğlı Tacetdin; e il Consiglio dei Muftī di Russia, insediato a Mosca e presieduto da Rawil uğlı Ğəynetdinev. Entrambi i leader sono di nascita tatara e recano i titoli di Grand Muftī e Shaykh al-Islām, due appellativi che individuano l’attività di coordinamento dei Muftī; il secondo aveva anche la funzione storica di consigliere spirituale e giuridico-religioso dei Sultani. Tacetdin rappresenta la continuità con l’Amministrazione Spirituale dei Musulmani della parte europea dell’URSS e della Siberia (DUMES, così come il corrispondente Muftiato era denominato sin dal 1948), avendone assunto la Presidenza nel 1980, incarico reiterato nel 1992 con la trasformazione dell’organismo in Direzione Spirituale Musulmana Centrale di Russia e dei Paesi europei della Comunità degli Stati Indipendenti (CSBM). L’attuale Amministrazione Centrale Spirituale dei Musulmani di Russia (TsDUM) rivendica competenza sulla Federazione Russa (esclusi i territori di Krasnodar e Stavropol’ e le Repubbliche del Caucaso Settentrionale) ed estende la sua giurisdizione anche a Bielorussia, Moldavia e Lettonia.
L’altra grande organizzazione-ombrello, il Consiglio dei Muftī di Russia, essendo nato nel 1996, è un raggruppamento post-sovietico e usufruisce del vantaggio della posizione della sua sede centrale nella capitale federale, che gli consente un più facile accesso alle istituzioni politiche e finanziarie. Al Consiglio aderiscono l’Amministrazione Spirituale dei Musulmani della Federazione Russa (DUM RF), ridenominazione di una precedente organizzazione presieduta sempre da Ğəynetdinev dalla sua fondazione nel 1994; e dal 1998 anche l’Amministrazione Spirituale dei Musulmani della parte asiatica della Russia (DUM AChR), con sede a Tobol’sk e presieduto dal tataro siberiano Grand Muftī Nafigulla Khudchatovič Ashirov che è anche Co-Presidente del Consiglio dei Muftī di Russia.
Un terzo polo è rappresentato dall’Amministrazione Spirituale dei Musulmani della Repubblica del Tatarstan (DUM RT), retto dal 2013 da Kamil Iskәndәr uğlı Sәmigullin [foto sotto]. In virtù della presenza di un Islam “tradizionale” legato anche alla Confraternita sufi Naqshbandiyya, il Muftiato gioca un ruolo di resistenza storica rispetto ai grandi Muftiati istituzionali (la Naqshbandiyya è stata un esempio di sopravvivenza sufi nell’Unione Sovietica), oltre che di autonomia politica che spesso si rifletterebbe, secondo i detrattori, nella tendenza a esercitare funzioni di politica estera non sempre conformi a quelle del Cremlino. Il riferimento è all’orientamento filo-turco e a presunti legami con un certo neo-Ottomanismo presente in alcuni circoli Naqshbandi di Turchia. Il contrasto con il Consiglio dei Muftī di Russia si è reso evidente anche recentemente, quando al VI Congresso mondiale dei Leader delle religioni tradizionali, tenuto in Kazakhstan il 10 ottobre scorso, Sәmigullin si è opposto alle dichiarazioni di Ğəynetdinev in merito alla condizione, a suo dire di assoluta serenità, degli Uyghuri dello Xīnjiāng cinese (che i Tatari considerano “fratelli di sangue”). “Come può non reagire un leader religioso di fronte alle politiche antireligiose? Noi in Russia abbiamo fatto tesoro delle lezioni della storia e delle conseguenze negative della lotta alla religione per la società intera”, ha controbattuto Sәmigullin.[1] Il Consiglio ha ovviamente difeso il proprio Grand Muftī, sottolineando il suo sforzo di mediazione con il governo cinese proprio in favore dei Musulmani uyghuri.
Dalla fine del 2016 è operante una nuova organizzazione-ombrello denominata Assemblea Spirituale dei Musulmani di Russia (DSM RF) che raccoglie attorno al proprio Presidente Al’bir Rifkatovič Krganov la DUM di Mosca e della Russia Centrale e i Muftiati di Omsk, Kemerovo, Khanty-Mansi, Chuvashija e alcuni della Regione del Volga. Secondo Alexey Malashenko, l’Assemblea sarebbe nata con il supporto della Chiesa Ortodossa Russa.[2]
Resta il problema dei Muftiati russi derivanti dalla giurisdizione dell’Amministrazione Spirituale dei Musulmani del Caucaso Settentrionale (DUMSK), che cessò di operare alla caduta dell’Unione Sovietica e fu rimpiazzato da un omonimo organismo a metà degli anni ’90. Senza contare che il Consiglio dei Musulmani del Caucaso, erede della DUM di Transcaucasia di epoca sovietica e che opera dalla capitale azera Bakı sotto l’autorità dello sciita Grand Muftī Shaykh al-Islām Allahşükür Hümmət Paşazadə, dichiara il proprio primato, tra gli altri, sui Muftī sunniti di Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria, Karačaj-Circassia e Adigezia. Tuttavia, la realtà nel Caucaso Settentrionale è ben diversa, a causa della frammentazione dei gruppi musulmani che rivendicano competenze di amministrazione, per le rivalità interne e per una certa ambiguità delle posizioni dei Muftiati. Basti citare il fatto che tutti sono affiliati collettivamente e contemporaneamente sia al Consiglio dei Muftī di Russia di Ğəynetdinev sia al Consiglio dei Musulmani del Caucaso di Paşazadə, prediligendo l’interesse per alleanze dopotutto convenienti. Ma le differenze di impostazione dottrinale dei vari Muftiati si riflette nell’azione di ciascuno sulla base dei rapporti creati con le autorità delle singole repubbliche o territori.
In Daghestan, Cecenia e Inguscezia, per esempio, la presenza della Naqshbandiyya (nella versione del suo ramo Khalidiyya) e della Qādiriyya, entrambe penetrate nel Caucaso dalla Turchia, determinano una violenta opposizione alle dottrine salafite e wahhābite, ritenute “non tradizionali”: infatti, Daghestan e Cecenia hanno bandito per legge il Wahhābismo, che invece non è colpito dalle leggi federali. In Kabardino-Balkaria, Karačaj-Circassia e Adigezia il debole posizionamento sufi e la prevalenza della scuola giuridico-teologica ḥanafita hanno dato vita a una politica religiosa più flessibile, sebbene la prima di queste repubbliche abbia pure messo fuori legge le organizzazioni wahhābite dal 2001. Ma all’interno del Centro di Coordinamento dei Musulmani del Caucaso Settentrionale (KTs-MSK), organizzazione nata nel 1998 con lo scopo di contrastare l’estremismo religioso e presieduto dal 2003 dal karačaj Ismail Alievič Berdiev, le tensioni tra i Muftī sono arrivate a tal punto da minacciare l’uscita dall’organismo dei Muftiati di Daghestan e Cecenia, considerando che quest’ultima Repubblica è stata la promotrice dell’iniziativa del Centro. E in Inguscezia il Muftī Isa-Khadzhi Khamkhoyev ha recentemente “scomunicato” Yunus-bek Bamatgireevič Evkurov [nella foto sotto con il Presidente Putin], Capo della Repubblica che supporta il dialogo tra Islam “tradizionale” e quello “non ortodosso”, “fino a che non fermi la sua discriminazione nei confronti del clero”.[3]
Nella nuova Crimea sotto sovranità russa dal 2014, il Muftiato è rappresentato dalla Direzione Religiosa dei Musulmani di Crimea e Sebastopoli (DUMKS), il cui Muftī Emirali Ablaev [foto sotto], già alla guida della Direzione Spirituale dei Musulmani di Crimea (SDMC) dal 1999, a fine ottobre scorso è stato rieletto a Simferopol’ dal 6° Qoroltaj dei Tatari di Crimea (la Grande Assemblea della tradizione mongola). Ma questa elezione è stata subito contestata da Ayder Rustemov, eletto a sua volta nel 2016 a Kiev Muftī della DUM della Repubblica Autonoma di Crimea, in pratica un ramo indipendente e alternativo rispetto al nuovo corso del Muftiato ufficiale. Questo perché il DUMKS non poteva più coordinare la sua azione con il Mejlis del Popolo Tataro di Crimea, contrario all’annessione alla Russia e dichiarato organizzazione estremista dalle autorità. Di conseguenza, il Mejlis si è adoperato per la nascita del nuovo Muftiato alternativo di Crimea con sede in Ucraina. L’ennesimo contrasto tra Musulmani, questa volta dovuto a motivi squisitamente politici nazionali, dall’una e dall’altra parte!
Dunque, la frammentazione dei Muftiati ha portato anche alla coesistenza sugli stessi territori regionali di Amministrazioni Spirituali Islamiche concorrenti e affiliate a diverse aggregazioni. Al 2015, l’oblast’ di Kurgan aveva due Muftiati, quello siberiano di Tyumen’ (da cui dipende il già citato circondario autonomo Khanty-Mansi) ne aveva tre e quello di Sverdlovsk (con la città di Ekaterinburg) addirittura sei, come riportano Alexey Malashenko e Alexey Starostin.[4]
La funzione dei Muftiati e il loro rapporto con le autorità pubbliche
La mancanza di un’autorità unitaria che rappresenti l’interlocutrice islamica delle istituzioni trova il disappunto del Cremlino, anche perché questo determina atteggiamenti differenziati degli stessi organismi istituzionali verso le organizzazioni che alternativamente si propongono come portavoce esclusive delle istanze islamiche sugli stessi territori. Questo ha sollevato un dibattito nelle comunità dei Musulmani fino al punto da spingere alcuni a richiedere il ritorno al sistema esistente durante l’era sovietica, quando i Muftiati rappresentavano reali soggetti istituzionalizzati, sebbene lo Stato, mentre era garantito rispetto al leale comportamento dei credenti, le utilizzasse come amministrazioni di controllo delle relative minoranze religiose e dei loro territori di insediamento. Proprio in piena epoca staliniana e all’indomani della creazione di un sistema basato su quattro Muftiati territorialmente definiti, all’interno del Consiglio per gli Affari dei Culti Religiosi si era sviluppato il dibattito sull’utilità di un Muftiato unico sulla base di queste istanze:
- Un programma uniforme per le attività organizzative e amministrative delle comunità islamiche dell’URSS;
- Assistenza centralizzata ai Musulmani per il pellegrinaggio alla Mecca e in altri luoghi santi;
- Gestione unitaria delle istituzioni educative, con il coordinamento e la direzione delle loro attività;
- Azioni coordinate nella pubblicazione di riviste, libri di preghiere e altri materiali stampati;
- Coordinamento dell’accoglienza delle delegazioni musulmane straniere ospiti dell’URSS.[5]
Una decisione definitiva era stata presa nel 1949, quando il Consiglio, espressione di un regime formalmente ateo, si era espresso in favore dello status quo, perché il Muftiato unificato avrebbe rischiato di rafforzare la partecipazione dei Musulmani alla vita religiosa.
Alla luce di queste considerazioni, di certo non sorprendono alcune prese di posizione come quelle riportate da Vladislav Kondratiev su Nezavisimaja Gazeta e riferite a Nazymbek Aktazhievič Ilyazov, Capo dei Muftī di Astrakhan, quando afferma che “ora è essenziale far rivivere la tradizione sovietica di governare la sfera religiosa della vita pubblica” e “le Direzioni Spirituali Musulmane dovrebbero lavorare nell’interesse dello Stato” (Malashenko, 2018). Si tratta di sottolineature volte a incrementare la collaborazione con le autorità e a rassicurarle di fronte al pericolo dell’estremismo, benché sollevi un’ombra di diffidenza rispetto alla questione dell’autonomia che i Muftiati dovrebbero mantenere nei confronti dello Stato. Dice Sәmigullin, il giovane Presidente della DUM della Repubblica del Tatarstan: “Anche se la religione è separata dallo Stato, vive nell’anima del nostro popolo”.[6] E aggiunge il Grand Muftī Ashirov: “Un tribunale laico non dovrebbe emettere giudizi sui problemi dell’Islam e soprattutto sui suoi testi sacri” (Malashenko, 2018). D’altra parte, Ilyazov aderisce alla TsDUM del Grand Muftī Tacetdin, il quale rivendica sul piano religioso (non certo politico) la piena continuità di amministrazione e di funzioni rispetto al periodo sovietico e in definitiva la stessa impostazione religiosa nell’atteggiamento rispetto allo Stato. Ma, sempre secondo Malashenko, è la stessa Chiesa Ortodossa Russa a rigettare questa impostazione che minerebbe i principi dell’autogoverno religioso.
Tuttavia, qui non è in discussione la lealtà verso la Federazione Russa. Tutti gli esponenti dei maggiori Muftiati – Tacetdin, Ğəynetdinev, Sәmigullin, Berdiev – sostengono la linea del Cremlino in materia di politica verso le comunità islamiche all’interno e all’estero. L’eccezione è rappresentata da Ashirov, che pure aderisce al Consiglio dei Muftī di Russia e ha sollevato apprensione per l’impegno bellico russo in Siria e i conseguenti bombardamenti effettuati. Mosca non è certo preoccupata per questo, perché è consapevole che i destini del rapporto con l’Islam russo si giocano sulla sensibilità del personale religioso. I quadri dei Muftī si vanno rinnovando per motivi anagrafici e i giovani che si affacciano a ricoprire la funzione si aprono a idee nuove. Questo può essere un vantaggio o uno svantaggio, a seconda dei punti di vista.
Gli anziani, tutti formati presso la Madrasa Mir-i-Arab di Bukhara [foto a lato dell’Autore] (che ha rivestito e riveste un’importanza particolare per essere stata l’unica operante in tutta l’Unione Sovietica, quando l’ateismo comunista impediva le attività di natura religiosa),[7] sono restii ai cambiamenti, ma d’altra parte assicurano una maggiore affidabilità dalla prospettiva dell’autorità politica in termini di concorso alla formazione di credenti ossequiosi delle prerogative istituzionali. La nuova generazione di Muftī, non compromessa da alcuna collaborazione con il sistema sovietico e versata nelle moderne tecnologie, ha maggiore abilità di raggiungere la parte più giovane dei fedeli e di influenzarne i comportamenti. Per converso, alcuni sollevano il dubbio se davvero questi Muftī siano in grado di esercitare attrazione in competizione con altri interessi che offrono il mondo secolarizzato o viceversa quello del radicalismo islamico.
In altri termini, la riflessione riguarda la funzione dei Muftiati come punti di riferimento per le comunità islamiche e se a questo fine debbano perseguire le vie di un Islam “tradizionale” (ḥanafita e sufi) o “non tradizionale” (salafita e wahhābita) rispetto agli usi e ai costumi dei territori. Ma ancor di più se l’istituto Muftiato sia ancora adeguato a definire l’atteggiamento dei credenti (soprattutto delle nuove generazioni) o se questi si auto-determinino in termini religiosi e politici in base ad altre componenti sociali (movimenti politici o della società civile). In questo senso è indicativo quanto affermato da Gabdulla-khazrat Galiulla, Muftī della DUM del Tatarstan dal 1992 al 1998: “In uno stato con una forma di governo non musulmano dove i Musulmani costituiscono una minoranza, è solo attraverso i movimenti politici che gli interessi e i diritti dei credenti possono essere difesi. È l’unico modo per influenzare le decisioni prese dalle autorità”.[8]
È un fatto che già dall’introduzione della perestrojka e poi dalla rovinosa caduta dell’Unione Sovietica l’istituto Muftiato sia uscito indebolito per la moltiplicazione dei soggetti che ne rivendicano legittimità. Eppure è difficile stabilire quanto abbiano influito ragioni di appartenenza dottrinale, contrasti dovuti ad ambizioni personali o la spinta politica autonomista di soggetti istituzionali a livello regionale interessati a intercettare il consenso di autorità e comunità del mondo musulmano.
Ingarbugliata la situazione politico-religiosa alla fine degli anni ’80 e durante tutti gli anni ’90, di cui diamo conto. Il primo Muftiato a cadere fu nel 1989 la DUM del Caucaso Settentrionale, quando il Muftī Maḥmud-ḥājji Gekkiev fu esautorato dalla carica con l’accusa di aderire alla scuola ḥanafita e di essere incapace di rappresentare i fedeli shāfi‘iti che sono maggioranza in Cecenia, Daghestan e Inguscezia. L’anno dopo nasceva la DUM del Daghestan, la prima di una serie che avrebbe coinvolto le altre comunità musulmane del Caucaso Settentrionale su base regionale. Ma anche la DUMES di Tacetdin, ribattezzata nel 1992 TsDUM di Russia e dei Paesi europei della Comunità degli Stati Indipendenti, incominciava a subire le prime defezioni. La prima fu quella della DUM del Bashkortostan, ristabilita ad opera del nuovo Muftī Nurmukhamet Magafurovič Nigmatullin, tuttora alla guida del Muftiato. Subito dopo seguirono quelle dell’Imām-Muḥtasib (Rappresentante del Muftiato) della Repubblica del Tatarstan e di diversi altri della regione del Volga e della Siberia, tutti in seguito aderenti alla DUM della Regione Centroeuropea della Russia, antesignana della DUM della Federazione Russa di Ğəynetdinev.
L’influenza politica nei contrasti è stata particolarmente evidente in Cecenia, Inguscezia e Daghestan, repubbliche maggiormente esposte alla politicizzazione in ragione della più accentuata appartenenza della popolazione alla fede islamica: rispettivamente 96, 99 e 94%. Le cartine di tornasole sono state le Guerre Russo-Cecene del 1994-96 e 1999-2000. Già dalla dissoluzione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno-Inguscia nel 1991 e la conseguente proclamazione della Repubblica Cecena di Ichkeria, i giovani Imām ceceni sotto l’autorità del Muftī Naqshbandi Magomed-Bashir-ḥājji Arsanukaev della neo-proclamata DUM di Cecenia non avevano avallato la linea indipendentista del Presidente ceceno Dzhokhar Musaevič Dudaev. Ma lo stesso avrebbero fatto i successori Qādiri di Arsanukaev, prima Akhmad-ḥājji Abdulkhamidovič Kadyrov dal 1993 e poi Akhmad Shamaev dal 2000, l’anno in cui Kadyrov divenne Capo della Cecenia ad interim. Entrambi i Muftī si opposero alle tesi secessioniste proposte dall’Islamismo radicale e dai suoi maggiori esponenti politici, come i Generali Shamil’ Salmanovič Basaev, Salman Betyrovič Raduev, Khunkar-Pasha Germanovič Israpilov e il saudita Sāmir Ṣālaḥ ʿAbd Allāh al-Suwaylim (noto come Amīr Khaṭṭāb) o il Capo della propaganda della Repubblica di Ichkeria Movladi Saidarbievič Udugov e il Mullāh wahhābita daghestano Mukhammad Bagautdin. Viceversa, in Inguscezia una più produttiva intesa fu stabilita tra il Muftī Shaykh Magomed Albogachiev e i due successivi Presidenti della Repubblica Ruslan Sultanovič Aushev e Murat Magometovič Zjazikov [foto sopra], più propensi alla pace e alla stabilità della regione. Fu forse per questo che quando nel 1998 nacque il Centro di Coordinamento dei Musulmani del Caucaso Settentrionale (KTs-MSK), la sua presidenza fu assunta dal Muftī Albogachiev.
Ben più complessa la situazione in Daghestan, dove il controllo del Muftiato passa per l’influenza delle principali etnie qui insediate: gli Avari, che costituiscono il gruppo etnico principale, i Dargwa, i Kumyki e i Lak. Dopo la parentesi Kumyk al vertice della nuova DUMD, nel 1992 gli Avari, che già dominavano nell’era sovietica, conquistavano il primato nel Muftiato con il loro candidato, ma subito Lak, Kumyki e Dargwa fondavano in successione propri Muftiati indipendenti, cui si aggiungevano quelli del Daghestan Meridionale e della minoranza Nogai di origine etnico-linguistica turca. Nel 1994 la svolta definitiva: il governo daghestano riconosceva la DUMD come l’unica autorità islamica sul territorio e negava la registrazione al Muftiato Nogai e il rinnovo della registrazione a tutti gli altri auto-proclamati Muftiati. Con questa pronuncia, gli Avari iniziavano un periodo di predominio assieme alla Confraternita sufi Naqshbandiyya, cui il potere della DUMD praticamente si affidava nel contrasto agli storici avversari wahhābiti.
Nel frattempo, nella Repubblica del Tatarstan si preparava lo scontro entro la DUM tra due esponenti che, sebbene d’accordo nell’opposizione al Grand Muftī Tacetdin per la sua intransigente difesa di uno Stato forte e indivisibile, esprimevano concezioni divergenti in merito al rapporto con lo Stato: Gabdulla-khazrat Galiulla, Muftī della DUM RT dal 1992, non nascondeva il proprio fastidio per l’interferenza del Presidente Mintimer ulı Şəymiyev negli affari religiosi; Gusman-khazrat Iskhakov, uno degli ideologi del movimento nazionale tartaro già prima della caduta dell’URSS, aveva come base programmatica la leale collaborazione con lo Stato, da cui le istituzioni religiose si attendevano gli aiuti necessari. Galiulla aveva iniziato già dalla metà del decennio a intessere rapporti con i movimenti nazionalisti, tra cui il Partito dell’Indipendenza Nazionale Tatara İttifaq, il primo partito non comunista in Tatarstan e che dal 1990 chiedeva il riconoscimento dello Stato tataro come entità internazionale, il Milli Mejlis (Congresso Nazionale), organismo che rivendicava la rappresentanza degli interessi del popolo tataro; e il partito di opposizione Unione Patriottica Popolare di Russia (NPSR), il cui leader Gennadij Andreevič Zyuganov, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa, aveva sfidato Boris El’tsin alle elezioni presidenziali del 1996.
Con queste non certo favorevoli referenze, Galiulla perse la presidenza del Muftiato a febbraio del 1998, quando l’avversario Iskhakov, con l’evidente appoggio del Presidente Şəymiyev, vinse le elezioni. L’anno dopo il Parlamento del Tatarstan approvava la legge “Sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose”, che regolava i rapporti Stato-Islam nel senso che la DUM RT era riconosciuta la sola organizzazione islamica centralizzata rappresentativa di tutte le altre. Per di più, la legge riconosceva il ruolo speciale dell’Islam nella storia e nella società della repubblica, lo stesso riconoscimento che due anni prima la Duma della Federazione Russa aveva accordato alla Cristianità Ortodossa per la Russia.
La questione irrisolta del ruolo politico dei Muftiati
Insomma, negli anni ’90 si compongono tutte le principali condizioni di ridefinizione delle autorità che reggono gli attuali Muftiati, benché nuove frammentazioni e ricomposizioni non siano mancate nemmeno nei decenni successivi. Sullo sfondo rimangono tutti i problemi connessi con questo tema e che determinano la difficoltà di rapporto tra le stesse istituzioni religiose. Tuttavia, il dibattito continua vivacemente attorno ad una serie di questioni che riguardano non solo le tematiche religiose in senso stretto, ma anche il rapporto dell’Islam con la società e le istituzioni e in ultima analisi il suo ruolo nella sfera politica. Per esempio:
- La mancanza di autonomia dei Muftiati, che spesso sono trattati come agenzie governative perché controllati dalle istituzioni a livello territoriale o federale anche a causa delle provvidenze finanziarie che queste mettono a loro disposizione;
- Il riconoscimento di una sola istituzione religiosa da parte di alcune autorità locali, che comporta non solo un’indebita ingerenza dello Stato laico negli affari religiosi, ma anche la conseguenza di spingere le organizzazioni non riconosciute verso istanze radicali sul piano religioso e indipendentiste sul piano politico;
- La strumentalizzazione dell’Islam per fini politici (nazionalisti o di potere puramente secolare), di cui sono accusati diversi leader regionali, specialmente nelle regioni del Caucaso Settentrionale e del Volga quando spingono per la coincidenza delle identità nazionali e religiose;
- Il divieto di costituire partiti politici su base religiosa, che comporta indebolimento delle istanze sociali di chi naturalmente si aggrega attorno alle associazioni islamiche e non trova rappresentati i propri interessi nei consessi istituzionali e in una leadership riconosciuta;
- La presenza di aiuti finanziari stranieri da Paesi islamici verso attività religiose interne (costruzione di moschee, creazione di fondazioni, istituti e centri islamici), che determina una dipendenza anche in termini di pratica religiosa e di affiliazione spesso non gradite sul territorio;
- L’emergere del cosiddetto “radicalismo islamico” (in pratica i movimenti salafiti e wahhābiti), il cui richiamo universalistico è avversato sia dai sostenitori dell’”Islam tradizionale” sia dai difensori delle specificità nazionali e spesso trattato dalla Federazione Russa (a torto o a ragione) nell’ambito della lotta al terrorismo.
Con queste problematiche dovranno confrontarsi non solo i responsabili dei Muftiati russi, ma anche il Cremlino e le autorità locali, dimostrando equilibrio, responsabilità e rispetto verso le comunità islamiche, le quali devono riconoscersi partecipi della grande anima russa, ma in ogni caso non possono rinunciare né alla loro storia né alla loro tradizione né all’appartenenza a una comunità più ampia, la Umma.
[1] Vladimir Rozanskij (08/11/2018). Mosca, Kazan, il Caucaso: le divisioni tra i musulmani di Russia, da AsiaNews.it.
[2] Alexey Malashenko (Febbraio 2018). Islam in Today’s Russia, in Aldo Ferrari, Russia 2018. Predictable Elections, Uncertain Future, Ledizioni LediPublishing, Milano, Italy.
[3] Ingush Mufti unexplainedly absent from North Caucasus Muftiate conference (19 settembre 2108), da OC Media.
[4] Alexey Malashenko, Alexey Starostin (30 settembre 2015). The Rise of Nontraditional Islam in the Urals, Carnegie Moscow Center, Moscow, Russia.
[5] Renat I. Bekkin (2017). The Muftiates and the State in the Soviet Time: The Evolution of Relationship, in Z.R. Khabibullina, Российский ислам в трансформационных процессах современности: новые вызовы и тенденции развития в XXI веке (L’Islam russo nei processi di trasformazione del presente: nuove sfide e tendenze del XXI secolo), Уфимского научного центра Российской академии наук (Centro Scientifico di Ufa dell’Accademia Russa delle Scienze), Dialog, Ufa.
[6] Glauco D’Agostino (2018). Tatarstan-Putin: A Crossed Challenge, Glimmer Publishing, London-Istanbul-Moscow-Delhi-Jakarta.
[7] Glauco D’Agostino (Giugno 2010). Sulle Vie dell’Islam. Percorsi storici orientati tra dottrina, movimentismo politico-religioso e architetture sacre, Gangemi, Roma, Italia.
[8] Azat Khurmatullin, Kazan Russian Islamic University (20 giugno 2008). Islam and political evolutions in Tatarstan, paper presented at the meeting Russia and Islam: Institutions, Regions and Foreign Policy, University of Edinburgh (UK), Old College.
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