TATARSTAN E BASHKORTOSTAN: UN TEST POLITICO E RELIGIOSO PER TSAR PUTIN
di Glauco D’Agostino
Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “International Journal of Multicultural and Multireligious Understanding”, Vol. 3, n° 5, Hamburg, Germany, October 2016. Le foto e i loro riferimenti sono un’aggiunta di islamicworld.it
Sommario
Il processo di centralizzazione del potere istituzionale avviato da Putin in una Federazione che attualmente annovera 85 soggetti (comprese la Repubblica di Crimea e Sebastopoli) rischia di entrare in collisione con le aspirazioni di auto-governo in particolare delle 22 repubbliche, in ragione della riconosciuta vasta presenza di etnie minoritarie che vivono sui loro territori. Ciascuna repubblica ha una propria costituzione e legislazione. Ma secondo la Legge Federale Russa tutti i capi regionali devono essere nominati dal Presidente Russo. Questa situazione crea un quadro, se non di incertezza normativa, almeno di tensioni istituzionali che rischia di degenerare se non correttamente indirizzato, anche per le specifiche caratteristiche etnico-religiose delle Repubbliche di Tatarstan e Bashkortostan, in particolare. Entrambe le repubbliche sono considerate un modello vincente di Stati multietnici, soprattutto per la capacità di mettere insieme Cristiani e Musulmani entro una coabitazione pacifica.
Le preoccupazioni di Mosca danno anche corpo al fantasma del mai sopito pan-turchismo, visto che il Tatarstan ha tuttora significativi movimenti indipendentisti, con una combinazione di ideali nazionalisti e di revival religioso, ma tutti con caratteristiche di lotta pacifica e mai estremistica. La scuola giuridico-teologica tradizionale tra i Musulmani della regione è quella ḥanafita e la progressiva presenza dei Salafiti nella regione uralica è considerata da molti (sebbene contestata da altri) come fonte di un estremismo dilagante. La Federazione Russa dovrebbe impegnarsi a riconoscere e a diffondere tra la popolazione di Tatarstan e Bashkortostan il valore della coesistenza etnica e religiosa che sono alla base del concetto federativo russo nell’era post-comunista.
Parole-chiave: Tatarstan; Bashkortostan; Putin; centralizzazione; Kazan; nazionalismo; Islam ḥanafita
Introduzione
Inquadrare le relazioni di Tatarstan e Bashkortostan con il governo federale russo implica affrontare la questione su vari piani, da quello etnico-religioso a quello economico e istituzionale. Ma non solo. Perché quelli citati possono essere trattati come faccende esclusive della politica interna della Russia. E invece proprio la peculiarità storico-culturale delle due repubbliche uraliche riporta, anche oggi, ad un argomento che coinvolge i rapporti tra Stati sovrani, come sono quelli, e lo vedremo, tra Russia e Turchia. Questo saggio non intende focalizzare quest’ultimo tema citato, non vuole sottolineare la preponderanza della politica estera nella trattazione di aspetti che competono alle sfere politico-amministrative delle gerarchie formatesi all’interno della Federazione. Ma i rapporti Mosca-Ankara fanno da sfondo a tutti i ragionamenti che sono qui affrontati in sede politico-culturale e istituzionale.
Dopo l’incontro Putin-Erdoğan dell’agosto scorso, molte sono state le analisi condotte giustamente attorno ad un evento che può definirsi storico per gli effetti che questo potrà avere sugli assetti del Medio Oriente dopo le incomprensioni sull’affaire siriano. Poco spazio, però, è stato dedicato a quello che può significare per i rapporti tra Mosca e l’Islam russo, tra Mosca e l’Islam gravitante attorno al lascito culturale di derivazione turca o ottomana. L’intesa potrebbe definirsi “win-win” perché ognuna delle parti potrebbe innalzare il proprio potenziale di influenza e attrazione, in quanto poli di gravitazione a dir poco in ambito regionale. Oppure, la solidità di quell’intesa potrebbe scontrarsi con le difficoltà di mettere a punto questioni secolari non completamente definite, a partire dalla Crimea e dal Caucaso per finire all’Afghanistan e all’Asia Centrale.
Tatarstan e Bashkortostan si inseriscono in questo quadro di riferimento regionale in quanto chiari esempi di una condizione in movimento. Dare rilievo alle loro particolarità e proprio in questo momento di riavvicinamento tra le parti non intende contrastare un processo di conciliazione che, se resiliente ai contrasti, non può che rappresentare stabilità per tutti. Vuole recepire, invece, il desiderio di partecipazione e rappresentanza delle parti coinvolte (le popolazioni islamiche, in primis e oltre agli interessi statali e nazionali), perché gli assestamenti necessari non siano ulteriormente smentiti, trascinando con sé tutti gli sforzi di affinamento delle posizioni in corso proprio in questo delicato momento di riequilibrio politico internazionale.
Le difficoltà nascenti
Basta considerare il nome della più nota moschea della regione tra il Medio Volga e gli Urali, Qol Şärif [foto 2 d’apertura], distrutta nel XVI secolo e re-inaugurata a Kazan nel 2005, per sintetizzare il braccio di ferro, discreto ma risoluto, che le due repubbliche autonome russe stanno conducendo nei confronti di Mosca. Specialmente il Tatarstan. Qol Şärif era l’Imām del Khanato mongolo di Kazan morto nel 1552 difendendo la sua terra (che all’epoca comprendeva anche parte dell’attuale Bashkortostan) dalla Russia di Ivan IV il Terribile.
Ma sarebbe sbagliato enfatizzare la Storia lontana per descrivere un confronto che, più che di natura religiosa, ha il sapore di una contesa istituzionale nell’era post-sovietica. Anche perché la ferita provocata dalla caduta del Khanato (seguita da conversioni forzate al Cristianesimo ed emigrazione verso gli Urali e la Siberia)[1] era stata già in parte sanata da Caterina II la Grande, quando l’Imperatrice di tutte le Russie permise l’insediamento di un Muftī e revocò la proibizione di costruire moschee. E anche perché, all’attualità, Vladimir Putin ha dimostrato sensibilità verso il tema “rapporto Islam-Stato” quando a ottobre del 2013 ha incontrato i responsabili del Consiglio Spirituale dei Musulmani a Ufa, capitale del Bashkortostan (Aron, 2015); e quando qualche anno prima, nel 2005, nell’anno delle celebrazioni per il 1000° anniversario della fondazione di Kazan, il Presidente si era recato nella capitale tatara per partecipare ai festeggiamenti e presiedervi una riunione della Comunità degli Stati Indipendenti.[2]
Certo, resta lo strappo compiuto poco prima delle dimissioni dal suo incarico amministrativo alla fine del 2015 da Tälğät Safa uğlı Tacetdin, il Gran Muftī di Russia, che rende evidenti i legami tra motivazioni religiose e posizionamenti geo-politici. Intervenendo a Ufa al IV Qoroltai dei Bashkiri (Grande Assemblea, nella tradizione di Gengis Khan e Tamerlano il Grande) subito dopo l’intervento militare russo in Siria, Tacetdin ha riportato quanto detto al Presidente Putin qualche giorno prima: “Vladimir Vladimirovič, forse dovremmo fare alla Siria e Israele ciò che abbiamo fatto in Crimea? […] Dovremmo conquistarli. Possa la Russia estendersi fino alla Mecca”.[3]
Sul piano interno tuttavia, il processo di centralizzazione del potere istituzionale avviato da Putin in una Federazione che attualmente annovera 85 soggetti (comprese la Repubblica di Crimea e Sebastopoli) rischia di entrare in collisione con le aspirazioni di auto-governo in particolare delle 22 repubbliche, in ragione della riconosciuta vasta presenza di etnie minoritarie che vivono sui loro territori. Ciascuna repubblica ha una propria costituzione e legislazione. Ma, secondo la Legge Federale Russa Sui Principi Generali dell’Organizzazione delle Autonomie Locali nella Federazione Russa nella sua versione del 2005, tutti i capi regionali devono essere nominati dal Presidente Russo (Ross, 2007). D’altra parte, la Costituzione tatara, finalizzata a garantire i diritti etnici, religiosi o linguistici delle minoranze, sostiene che il Presidente della Repubblica deve essere eletto dal popolo.[4]
Questa situazione crea un quadro, se non di incertezza normativa, almeno di tensioni istituzionali che rischia di degenerare se non correttamente indirizzato, anche per le specifiche caratteristiche etnico-religiose delle Repubbliche di Tatarstan e Bashkortostan, in particolare. Di tutto questo si cercherà di dare conto nel prosieguo.
Una panoramica
Lo scorso maggio Ufa [tre immagini della città nelle foto 5, 6 e 7 a lato] ha ospitato due eventi importanti sul piano del business industriale mondiale: il Forum Internazionale “Big Chemistry” e la XXIV edizione dell’Esposizione Internazionale “Gas. Oil. Technologiy”. Nella giornata di chiusura, il 27, nell’ambito del Forum Petrolchimico Russo, anche il Primo Ministro del Tatarstan Ildar Khalikov è intervenuto nella sessione plenaria “Norme governative e programmi industriali nel settore petrolchimico”.[5] Il mese prima a Kazan, capitale del Tatarstan, circa 700 delegati hanno preso parte alla 11a Venture Fair, in cui i 10 finalisti tra 55 start-up selezionate tra 378 aziende, oltre al premio in denaro, hanno conquistato l’opportunità di partecipare al programma internazionale di accelerazione nella Silicon Valley e in Irlanda.[6]
È il nuovo volto di queste due repubbliche russe nel secondo decennio del XXI secolo, caratterizzato da un’apertura dei legami economici e commerciali con l’estero, specialmente per il Tatarstan, che intrattiene rapporti con oltre 120 Paesi stranieri per un fatturato di quasi 15 miliardi di dollari di fatturato.
La Repubblica del Tatarstan, insieme con i suoi ricchi depositi di minerali, la forte produzione, una manodopera altamente qualificata, ha una delle più forti e varie economie regionali della Russia (con un PIL pro capite di oltre 23.000$ nel 2009, il 6° nella Federazione Russa), e anche una solida stabilità finanziaria. Il Tatarstan, che al bilancio federale dà più di quanto riceva, è anche considerato come un modello di sviluppo economico di successo, aiutato da un sistema di trasporto efficiente che sarà ulteriormente potenziato dalla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Mosca-Kazan, in preparazione dei campionati mondiali di calcio del 2018, ospitati proprio a Kazan.[7]
I suoi profitti principali provengono dalla produzione di petrolio (circa 32 milioni di tonnellate di greggio estratto ogni anno nella repubblica, principalmente dalla sua maggiore società Tatneft),[8] dalle industrie manifatturiere e di trasformazione chimica, fornendo incentivi fiscali agli investimenti e zone economiche speciali per la costruzione di una moderna tecnologia.[9] Tuttavia, un ulteriore aspetto è il problema ambientale. Kazan, la millenaria capitale con rinomate università (nel 2004 l’Università di Kazan ha celebrato il suo 200° anniversario) e parchi scientifici, sta rapidamente diventando uno dei dominanti hub tecnologici russi (Zavyalova, 2016), sebbene la sua economia sia ancora dipendente dall’industria petrolifera, con le relative conseguenze determinate dal processo di trattamento di un prodotto caratterizzato da proprietà particolarmente nocive per la salute a causa dell’alta concentrazione di impurità.[10]
Anche la Repubblica di Bashkortostan, una regione confinante con la Siberia, basa la sua economia sul petrolio (oggi il 43% del suo prodotto industriale) fin dai tempi dell’Unione Sovietica, aggiungendo più di recente la chimica e i sistemi energetici.[11] Bashneft, la sua più grande compagnia petrolifera che produce più di 15 milioni di tonnellate di petrolio e una delle poche compagnie petrolifere della Russia ad essere rimasta fuori dal controllo governativo fino allo scorso ottobre,[12] è in espansione anche ben oltre il Bashkortostan (in Medio Oriente) (Hammond, 2013). Il Presidente bashkiro Rustem Zakievič Khamitov [nella foto 11 a lato], ingegnere di 62 anni, è noto per la sua linea tecnocratica e riformista, attenta agli investimenti esteri.
Entrambe le repubbliche sono considerate un modello vincente di Stati multietnici, soprattutto per la capacità di mettere insieme Cristiani e Musulmani entro una coabitazione pacifica. Fino alla caduta dell’URSS nelle Repubbliche Socialiste Sovietiche Autonome Bashkira e Tatara (rispettivamente fondate nel 1919 e 1920) l’Islam, come tutte le religioni, è stato in gran parte represso: prima del 1917 in quella che oggi è la Russia c’erano più di 15.000 moschee; nel 1956 ne rimanevano solo 94 (Malashenko, maggio 2015). Persino gli irrealistici tentativi profusi dal leader bolsceviko tataro Mirza Khaidargalievič Sultan-Galiev per riconciliare Islam e Comunismo (seppure nei termini avanzati dal movimento modernista e considerati blasfemi dall’Islam ortodosso) erano stati fallimentari (D’Agostino, giugno 2010). Anzi erano stati aspramente repressi da Stalin perché controrivoluzionari. Si dovette attendere il 1991, perché si riprendesse l’edificazione di molte moschee e chiese o si procedesse alla loro ricostruzione.
Bashkiri e Tatari, entrambi gruppi musulmani di origine turca, sono oltre il 50% della popolazione della regione; il 25% sono Ortodossi Russi, con significative minoranze di Cristiani di altre confessioni (ad esempio, gli Antichi Ritualisti), Ebrei e credenti di religioni tradizionali (cioè Neopagani slavi, Pagani mari, udmurti e mordvini, Tengriisti). In Tatarstan, che ospita più di 173 minoranze etniche,[13] è praticato ampiamente l’Islam ḥanafita tradizionale (nella sua versione di “Islam russo”, come alcuni lo chiamano), una varietà di Islam che fonde insegnamenti islamici moderati con costumi tradizionali tatari. Il Gran Muftī della Russia ha sede a Ufa, capitale del Bashkortostan e “capitale dell’Islam in Russia, risalente a Caterina la Grande”, citando il capo della Chiesa ortodossa della Natività della Beata Vergine Maria a Ufa [foto 12 a lato].[14] E se quest’ultima città è così considerata, Kazan, invece, può ufficialmente fregiarsi del titolo di “Terza Capitale di Russia” (dopo Mosca e S. Pietroburgo), da quando il Servizio Federale per la Proprietà Intellettuale (Rospatent) del Ministero dello Sviluppo Economico della Federazione Russa ha consentito la registrazione del brevetto nel 2009.[15]
Così, entrambe le repubbliche possono vantare qualificazioni culturali che sono all’altezza delle loro caratteristiche, da quelle architettoniche simboleggiate anche dalla Moschea Lala Tulpan (Tulipano in Fiore) di Ufa [foto 3 d’apertura], dalla Moschea Qol Şärif [foto 2 d’apertura, 13 in alto e 17 in basso] e la Chiesa dell’Annunciazione [foto 14 a lato] del Cremlino di Kazan [foto 1 d’apertura e 16 sotto], dall’architettura ottocentesca dei mercanti di Elabuga, a quelle del folklore tradizionale del Sabantuj (festa dell’aratro, nelle lingue di origine turca), festività nazionale delle repubbliche della regione del Volga-Urali in onore del grande poeta tataro Ğabdulla Tuqaj. E cosa significhi questo per il Tatarstan è testimoniato dalle parole che l’attuale Presidente Rustam Minnikhanov [nella foto 15 sotto], un ex Presidente del Consiglio Amministrazione di Tatneft, ha indirizzato ai suoi cittadini il 28 maggio scorso: “È un simbolo del risveglio della natura, di diligenza e di ospitalità della nostra gente. Accuratamente tramandata di generazione in generazione, la festa è diventata una vera e propria incarnazione dei nostri costumi originali e retaggio spirituale”.[16]
Sicuramente, la gente del Tatarstan e del Bashkortostan sta vivendo una ripresa culturale, religiosa ed economica. Ovviamente, soprattutto in considerazione delle peculiarità presentate dal periodo post-sovietico, al moderato ottimismo si contrappongono difficoltà e problemi, soprattutto per la prima repubblica.
Problemi politici
A parte le già citate controversie sui rapporti costituzionali tra repubbliche e federazione (che rimangono le più consistenti fonti di tensione di cui parleremo ancora), i maggiori problemi politici nascono dalle seguenti considerazioni:
- Mentre il Tatarstan ha avuto ampia autonomia da El’tsin, Putin ha imposto il primato della Costituzione federale russa e ha ridotto l’autonomia sia delle repubbliche sia delle regioni (Keenan, 2013);
- Il Tatarstan, pur continuando a detenere un maggior grado di autogoverno ai sensi del patto del 1990 con il governo federale, vorrebbe mantenere tutte le prerogative di uno Stato, compresa la sua Presidenza della Repubblica;
- A differenza di altre componenti che costituiscono la Russia, il Tatarstan ha già il diritto di stabilire lingue ufficiali oltre al Russo;
- Il Tatarstan sembra non avere alcuna intenzione di rompere i rapporti con la Turchia, come la Russia ha richiesto;
- Il moderno Tatarstan ha significativi movimenti indipendentisti che sono abbastanza pacifici. Alcuni movimenti nazionalisti hanno fatto appello ai Tatari e ad altri gruppi etnici di origine turca per la creazione di uno Stato indipendente, anche se non c’è alcuna speranza di ottenere un’effettiva sovranità, a causa della sua dipendenza dalle reti di trasporto controllate dai Russi;[17]
- I partiti basati su identità religiose (così come quelli regionali o etnici) sono vietati, allontanando la maggior parte della popolazione musulmana dalla leadership politica e conducendoli all’isolamento (Keenan, 2013).
Nel 1990, ancora prima della caduta dell’Unione Sovietica, tanto il Tatarstan quanto l’allora Bashkirija dichiararono la loro sovranità, ma non l’indipendenza come alcune delle repubbliche federate.[18] Dopo l’implosione dello Stato comunista, è soprattutto il Tatarstan a rivendicare la propria eredità culturale islamica, rivalutando la lingua tatara, da allora insegnata nelle scuole e traslitterata in caratteri latini, dopo l’abbandono dei caratteri arabi in favore di quelli cirillici imposto dalle autorità sovietiche.[19] Nascono i primi movimenti indipendentisti tatari, mentre nel 1992 la Bashkirija si rinomina Bashkortostan, con nuovo riferimento al kurt, il lupo sacro ai popoli di origine turca.
Lo stesso anno, sotto la guida di Mintimer ulı Şəymiyev (il suo primo Presidente), il Tatarstan promuove un referendum per confermare la propria sovranità e una larga maggioranza popolare approva la Costituzione, compresi alcuni dei suoi principi fondamentali, come il potere di eleggere la propria leadership, la libertà di promuovere la lingua tatara e il controllo della propria economia.[20] Tuttavia, proprio il principio di sovranità risulterà circoscritto dal chiarimento sull’appartenenza del Tatastan alla Federazione Russa, ai sensi del Trattato sulle deleghe di autorità e l’Accordo Sulla delimitazione dell’Autorità nella sfera delle relazioni economiche all’estero, entrambi del 1994.[21] La Costituzione del Tatarstan ne prenderà atto soltanto nel 2002, con l’approvazione dei relativi emendamenti a seguito della stretta imposta dal Presidente Putin: a quel punto, il Cirillico divenne l’unico alfabeto ufficiale consentito nelle province russe e la stampa del Tataro in caratteri latini fu ritenuta un rischio per la sicurezza nazionale.
Con queste premesse, è più facile ora capire la svolta di Putin in tema di federalismo rispetto alla precedente gestione di El’tsin, soprattutto per il timore di secessioni territoriali che, per paradosso, erano consentite dalla Costituzione sovietica (seppure in via teorica) e invece proibite come attentato all’unità dello Stato sotto il sistema democratico. Si tratta senza dubbio di una concezione eterodossa del federalismo, un “federalismo centralizzato” se si vuole, ma certamente non dissimulato. Lo chiarisce lo stesso Presidente nel suo libro First Person: “La Russia è stata creata come uno Stato super-centralizzato. Questo è … stabilito nel suo codice genetico” (Sakwa, 2002). E, come rileva Tabish Shah, dell’Università Britannica di Warwick, già prima dell’avvento di Putin sulla scena politica, nel 1999 Evgenij Primakov, da Primo Ministro, aveva detto che “la restaurazione del potere verticale dello Stato” era necessaria per garantire che i movimenti separatisti causati dalla debolezza del sistema fossero “domati, liquidati e sradicati” per evitare una completa rottura della Federazione.[22]
A questo tipo di consapevolezza espressa con chiarezza fanno riferimento i provvedimenti richiamati all’inizio di questo scritto, compresa la prerogativa del Presidente della Federazione di nominare i Capi dei soggetti federati, cui dal 2010 non è più riconosciuto il titolo di Presidente, ma quello di “Capo della regione”, “Leader regionale” o “Chairman del governo”, non essendo più eletti secondo le locali Costituzioni (Keenan, 2013). Queste costituzioni, dato che nell’assetto federale della Russia la legge federale ha la priorità, avrebbero dovuto essere modificate di conseguenza entro il 2015. Ma il Tatarstan si è rifiutato di adempiere all’imposizione costituzionale federale, prima argomentando che non vi è necessità di alcuna modifica (proprio in virtù della sottoposizione della repubblica allo Stato federale), poi rigettando la legge federale nel 2012.[23]
D’altra parte, sembra sacrosanta ogni rivendicazione tatara, considerando le seguenti formulazioni contenute proprio all’art. 1 della sua Costituzione: “La Repubblica del Tatarstan è uno Stato democratico costituzionale associato con la Federazione Russa tramite la Costituzione della Federazione Russa, la Costituzione della Repubblica del Tatarstan e il Trattato tra la Federazione Russa e la Repubblica del Tatarstan Sulla Delimitazione dei Soggetti Giurisdizionali e la Reciproca Delega delle Competenze tra gli Organi Statali della Federazione Russa e gli Organi Statali della Repubblica del Tatarstan, ed è un soggetto della Federazione Russa. La sovranità della Repubblica del Tatarstan consiste nel pieno possesso dell’autorità dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), al di là della competenza della Federazione Russa e dei poteri della Federazione Russa nella sfera della competenza concorrente della Federazione Russa e della Repubblica del Tatarstan, ed è uno status qualitativo inalienabile della Repubblica del Tatarstan”.
Proprio per questo il Tatarstan continua a rivendicare non solo il titolo di Presidente per il Capo del suo Esecutivo,[24] ma anche la dizione di Consiglio di Stato per il suo organo legislativo e la facoltà di intrattenere relazioni economiche estere secondo l’Articolo III del Trattato, che recita: “Gli Organi Statali della Federazione Russa e gli Organi Statali della Repubblica del Tatarstan sono autorizzati a coordinare congiuntamente le relazioni economiche internazionali ed estere”. Ma Mosca ribatte, reiterando le accuse verso Kazan di intrattenere dissimulate relazioni diplomatiche con diversi Stati esteri, compresi alcuni dichiaratamente in contrasto con la politica estera della Federazione Russa: in passato l’allusione era ovviamente alla Turchia, in particolare nel momento di alta tensione nel teatro di guerra siriano; adesso la situazione sembra essere migliore.
Le preoccupazioni di Mosca danno anche corpo al fantasma del mai sopito pan-turchismo che già aveva scosso l’Impero Russo sin dagli anni ’80 del XIX secolo. All’epoca, il movimento modernista Jadīd (in Arabo, il Nuovo), propugnato dall’editore tataro di Crimea İsmail Gaspıralı (conosciuto come Gasprinskij) e sospettato dalle autorità tsariste di relazioni con i movimenti analoghi nati nell’Impero Ottomano e nel Raj britannico, si era poi espanso in Asia Centrale ai primi del ‘900 ed era poi risorto nell’Unione Sovietica (e dopo il 1991 anche nell’Uzbekistan liberato) (D’Agostino, 2010).
Certo, il Tatarstan ha tuttora significativi movimenti indipendentisti, ma tutti con caratteristiche di lotta pacifica e mai estremistica. Il Partito dell’Indipendenza Nazionale Tatara İttifaq, il primo partito non comunista in Tatarstan e ispirato al partito liberal-democratico monarchico İttifaq al-Muslimin (Unione dei Musulmani) presente nella Duma tsarista, dal 1990 chiede con la sua leader, la poetessa Fäwziä Bäyrämova, il riconoscimento dello Stato tataro come entità internazionale, rivendicando comunque la supremazia dell’Islam sulla nazione e rigettando le idee di Jadīdismo, Sufismo ed Euro Islam (di quest’ultimo si parlerà in seguito) (Malashenko, 2015).
L’Unione dei Giovani Tatari Azatlyk (Libertà, in Tataro), nata nel 1989 sotto il regime sovietico, persegue apertamente un ideale pan-turchista, organizzando raduni con lo slogan “Il Tatarstan non è Russia” e “I clan di origine turca possono diventare un’unica nazione solo attraverso l’Islam” (Keenan, 2013). Il suo Presidente, Nail Nabiullin, ha dato vita a manifestazioni a Kazan “per la tutela dei diritti costituzionali dei Musulmani” e ha coordinato a Mosca la presenza di attivisti provenienti da Bashkortostan, Chuvashija e dalla regione di Ul’janovsk in azioni nell’ambito delle “manifestazioni pan-russe contro l’Islamofobia”.
Dunque, una combinazione di ideali nazionalisti e di revival religioso, che tuttavia non sconfina nel radicalismo perché il suo target è una popolazione prevalentemente pacifica e sostanzialmente integrata e poi per la consapevolezza che una piena indipendenza del Tatarstan è irrealistica, a causa della sua posizione geo-politica e della sua rilevanza economica strategica per Mosca. Ne consegue che ogni rivendicazione non può che avere obiettivi di mantenimento e ampliamento del suo status autonomista all’interno della Federazione Russa.
Problemi religiosi
Entro le aspirazioni nazionaliste sussiste ben viva una componente religiosa. Come rileva Alexeij Malashenko, Presidente del Carnegie Endowment for International Peace Center for Religion, Society, and Security di Mosca, in un suo saggio del 2014 “L’Islam in Russia non può essere del tutto obbediente allo Stato, perché in questo Paese, come nel resto della Umma globale musulmana, è abituale esprimere la protesta sociale e politica contro il sistema dominante incapace di tutelare gli interessi dei Musulmani, garantire la giustizia sociale e costruire normali rapporti con la società” (Malashenko, 2014). E ancora: “Poiché i Musulmani in Russia sono parte integrante della comunità islamica globale, con tutte le tendenze inerenti … queste tendenze sono presenti in tutta la Umma, e né il Caucaso settentrionale, né il Tatarstan che è esistito in un ambiente cristiano per mezzo millennio possono essere isolati da loro”.[25] In un altro scritto del 2015, egli nota come “Tatari e Bashkiri sembrano così russificati e la loro tradizione islamica così debole rispetto a quella del Caucaso settentrionale che la stessa questione della radicalizzazione dell’Islam e della sua politicizzazione nel bacino del fiume Volga sembra ormai artificiosa”.[26] Tesi in qualche modo confermata negli anni ’90 da Vali Ahmet Sadur, uno dei fondatori del Partito della Rinascita Islamica, quando afferma che i Musulmani di Russia sono “ancora più concentrati sulle divisioni etniche piuttosto che far parte di una Umma unita” (Malashenko, 2015).
Questi riferimenti sono funzionali all’introduzione del grande dibattito sul volto dell’Islam nella regione degli Urali e del Medio Volga promosso dalle autorità negli ultimi anni perché preoccupate da una presunta infiltrazione di componenti religiose storicamente assenti sul territorio. In particolare i problemi sollevati sono relativi alle seguenti considerazioni:
- L’Islam tradizionale è ancora considerato come ritualista e conservatore, in particolare da parte dei giovani, che sono affascinati dall’Islam non tradizionale;
- Una presunta eccessiva apertura del “tradizionalismo ḥanafita” (secondo la definizione di Valiulla Makhmutovič Iakupov, il Vice Muftī del Tatarstan assassinato nel 2012) verso la cultura occidentale è stata rifiutata dai Salafiti (Bustanov and Kemper, 2013);
- I Salafiti tatari sostengono di essere un corpo separato rispetto ai Russi ortodossi e ai Tatari ḥanafiti (Keenan, 2013);
- Alcune organizzazioni che rappresentano “l’Islam ufficiale”, affermano che la crescita dei Salafiti può essere compressa solo con la forza e che nessun canale di comunicazione dovrebbe essere mantenuto con loro;
- Si sta operando una pericolosa persecuzione dei Salafiti, a causa di un aperto patrocinio di una forma di Islam rispetto ad un’altra (Malashenko, 2015);
- Sono comparsi acronimi dei Mujāhidīn che fanno riferimento a esperienze fondamentaliste provenienti dal Caucaso;
- Cellule di movimenti che operano per un Califfato Islamico, che precedentemente sono stati attivi quasi esclusivamente in Asia Centrale, esistono in tutte le principali città di Tatarstan e Bashkortostan.
La scuola giuridico-teologica tradizionale tra i Musulmani della regione è quella ḥanafita, adottata nel 922 dai governanti della Bulgaria del Volga[27] nella forma praticata nel Khorezm (all’epoca dominato dal Regno Samanide sotto formale potestà del Califfato Abbaside di Baġdād) e in contrasto con quella shāfi’ita, più conservatrice, seguita dal Califfo. All’influenza del Khorezm sull’Asia Centrale è dovuta la scelta di tutti i popoli dell’Asia Centrale di origine turca verso la scuola ḥanafita, che non a caso fu il madhhab prevalente negli Imperi Ottomano e Mughal. La scuola ḥanafita si basa sull’ijtihād istiḥsān, l’interpretazione personale costruita, in mancanza di altre fonti illuminanti, sulla ricerca del bene soggettivamente definito, e prevede il consenso unanime (ijmā’) della comunità musulmana attraverso la pronuncia dei dotti. Questo facilita entro certi limiti l’adattamento delle norme sharī’atiche alle popolazioni non arabe e al mutare dei costumi nel tempo e consente maggiore flessibilità nel giudizio dei comportamenti non ortodossi: anche la condizione delle donne meno restrittiva rispetto a quelle di altre scuole rientra, dunque, in questa concezione (D’Agostino, 2010).
Se la via “tradizionale” tatara alla scuola ḥanafita resti ancora entro i limiti imposti dal madhhab è tuttora parte del dibattito. Quel che è certo è che un’interpretazione troppo “occidentale” della conduzione degli affari islamici è fortemente contestata dai gruppi salafiti presenti in Tatarstan. Anche se, come si è visto, certe caratteristiche sono insite nella scuola ḥanafita, piuttosto che provenienti da influenze “occidentali”.
La progressiva presenza dei Salafiti nella regione uralica (come, d’altra parte, in quella caucasica) segue la caduta delle barriere ideologiche e di mobilità imposte dall’Unione Sovietica. A quel punto, inizia una migrazione crescente sia verso l’esterno sia verso l’interno: nel primo caso quella determinata dalla necessità di formazione religiosa, che si dirige verso i luoghi santi per un congruo periodo di tempo, per poi far ritorno in Patria con un bagaglio culturale spesso improntato al Wahhābismo; nel secondo caso quella proveniente dall’Arabia Saudita e dal Caucaso del Nord e costituita da ferventi predicatori o da facoltosi religiosi dediti al finanziamento della costruzione di moschee e madāris nella regione (Keenan, 2013).
Entrambe le circostanze sono considerate da molti (sebbene contestate da altri) come fonti di un estremismo dilagante. Ildus Faizov, Presidente del Consiglio Religioso dei Musulmani del Tatarstan dal 2011 al 2013, è stato tra i principali soggetti apertamente schierati contro i Salafiti, bollati come “un movimento per imporre un’ideologia estranea ai Musulmani del Tatarstan” e “che impone il suo stile islamico, distruggendo le tradizioni locali ed un sistema di riti religiosi coordinato a livello nazionale”. Poco dopo Faizov metteva in atto il suo grido di allarme, con la proibizione delle pubblicazioni provenienti dall’Arabia Saudita, l’espulsione degli Imām giudicati troppo radicali e, per quelli restanti, la prescrizione di corsi di “tradizionalismo ḥanafita”. Tutto questo dava occasione per repressioni indiscriminate non solo verso i Salafiti radicali e i gruppi genericamente definiti wahhābiti, ma anche verso altre comunità musulmane come il deobandi Tablighi Jamā‘at e il movimento Nurcu con il connesso movimento sufi del filosofo turco ḥanafita Fethullah Gülen.
La stessa linea mantiene il Muftī Farid Salman, Presidente del Consiglio degli ‘Ulemā’ dell’Associazione Russa dell’Accordo Islamico, un’organizzazione che può essere etichettata entro l’alveo del cosiddetto “Islam ufficiale” (Ibid.). Secondo lui, rispetto all’infiltrazione wahhābita nella regione, “quello che abbiamo di fronte qui non si adatta alla nostra cultura. Questa è una fiera e severa cultura beduina. Questo non ha nulla a che fare con l’Islam e i Musulmani, ma con i Beduini”. E, introducendo il tema del riferimento culturale religioso per la popolazione, “la natura dell’Islam nel Caucaso settentrionale è il Sufismo, ma anche i Tatari avevano la propria cultura sufi”.[28] Il riferimento al Sufismo è probabilmente un tributo agli sforzi operati dal defunto Gabdulkhaq Samatov, il qāḍī per il Tatarstan dell’Amministrazione Spirituale Musulmana di Ufa e uno dei maestri di Iakupov, per dimostrare che la ṭarīqa sufi Naqshbandiyya in Tatarstan non era del tutto scomparsa nell’era sovietica. In ogni caso, dal discorso di Salman consegue che, secondo lui, ogni elemento religioso estraneo alla cultura popolare tatara va combattuto anche con la forza.[29]
Naturalmente, molti analisti notano che questa non è la politica avviata da Mosca nel Distretto Federale del Caucaso Settentrionale, dove il governo dell’inviato presidenziale Gen. Sergeij Melikov, Comandante della forza militare congiunta contro l’insurrezione nel Caucaso Settentrionale, in realtà tratta con gruppi salafiti. Certamente, combattere una scuola di pensiero, per quanto ritenuta estrema, demonizzando i suoi aderenti in nome di un primato di una scuola denominata invece come “tradizionale”, non ha condotto a risultati apprezzabili perché ha contribuito all’immagine dei Salafiti come vittime sacrificali di un sistema di potere. E anche Juldash Jusupov, un etnologo dell’Istituto di Ricerca Umanitaria della Repubblica di Bashkortostan, dice che “il Salafismo non può essere considerato come una patologia subita dalla nostra società. Si tratta di un elemento del processo di sviluppo religioso … il Salafismo è un sistema religioso per i giovani … I jamā‘at [gruppi, N.d.T.] salafiti sono più aperti di quanto si creda” (Malashenko, 2015).
In ogni caso, il richiamo salafita non è certo l’unico a cercare una legittimazione nel Medio Volga e negli Urali. Per esempio, i Mujāhidīn del Tatarstan hanno raccolto l’eredità del defunto Rais Mingalejev, ritenuto strettamente connesso all’insurrezione del Daghestan, la quale a sua volta ha rimpiazzato quella in Cecenia; dal 2007 entrambe le insurrezioni sono state sotto il comando di Doku Khamatovič Umarov, 1° Emiro dell’Emirato del Caucaso, anche lui assassinato.[30] In verità questa presunta minaccia alla stabilità della regione è piuttosto virtuale e sostanzialmente propagandistica, essendo la situazione in Tatarstan e Bashkortostan abbastanza calma.
Altre preoccupazioni per le autorità giungono dalle attività di Ḥizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione), parte del movimento pan-islamista internazionale, che in precedenza aveva operato quasi esclusivamente in Asia Centrale, in particolare nella valle di Ferghana e a Taškent (Malashenko, 2015). Non è un caso che il movimento si sia radicato in Tatarstan dal 1996, quando vi giunsero alcuni suoi membri, soprattutto di etnia uzbeka e tadzhika, e tra di loro anche l’Uzbeko Alisher Usmanov, da allora insegnante nella madrasa “Islam del Millennio” di Kazan. I problemi per Ḥizb ut-Tahrir iniziarono nel 2003, quando la Suprema Corte di Russia riconobbe come terroristiche 15 organizzazioni (tra cui Ḥizb ut-Tahrir). Usmanov fu condannato a nove mesi in un carcere russo per detenzione illegale di armi e, dopo la sua estradizione in Uzbekistan, condannato a otto anni. Due anni dopo, la Suprema Corte del Bashkortostan condannò diversi attivisti del partito ad una pena che variava da quattro a nove anni di carcere.
Ma queste vicende giudiziarie non hanno certo fiaccato l’intensità delle attività, ormai illegali, di Ḥizb ut-Tahrir, il quale è presente non solo in Tatarstan e Bashkortostan, ma anche nella regione del Volga, nella Russia Centrale e in Siberia, inscenando plateali manifestazioni pubbliche soprattutto nelle maggiori città [una loro manifestazione nella foto 21 a lato]. Clamorosa, ad esempio, l’organizzazione nel 2009 del Kurban Bayrami, il nome tataro e turco della Festa del Sacrificio, con tanto di insegne del Califfato in piazza. Ma, a parte queste azioni piuttosto promozionali, non è che Ḥizb ut-Tahrir si sia distinto per sovversivismo o pericolosità nei confronti dell’ordine costituito. Il Partito della Liberazione preferisce, invece, agire sul piano del proselitismo non appariscente, attenuando tutte le prescrizioni coraniche nei confronti dei suoi aderenti, proprio per risultare più credibile ed avvicinabile agli occhi dei neofiti nel compito di unire i Paesi musulmani in un Califfato islamico elettivo e retto dalla Sharī’a (Ibid.). E, d’altra parte, questo non comporta in alcun modo supporto al terrorismo, anche visto l’atteggiamento che Ḥizb ut-Tahrir ha mantenuto dopo l’attacco dell’11 settembre, quando in una dichiarazione raccomandava che i Musulmani non effettuassero atti di terrorismo.
Potenziali proposte
La predilezione da parte delle autorità di una scuola religiosa sull’altra e l’agitare il pericolo di un terrorismo in effetti quasi inesistente non favorisce, come si è visto, la risoluzione dei problemi di coesistenza, ma nemmeno di quelli istituzionali sull’ampiezza dei poteri autonomistici delle repubbliche della regione (Keenan, 2013). La Federazione Russa dovrebbe impegnarsi a riconoscere e a diffondere tra la popolazione di Tatarstan e Bashkortostan il valore della coesistenza etnica e religiosa che sono alla base del concetto federativo russo nell’era post-comunista. E d’altra parte gli stessi Musulmani dovrebbero convincersi che le divisioni confessionali al loro interno non possono tracimare a tal punto da mettere in pericolo la coesione del corpo sociale suggerita dalle Costituzioni repubblicane.
Il tema è la proposizione di una gestione degli affari islamici che tenga insieme forme considerate autoctone e peculiari con altre ritenute esogene ed estranee alle tradizioni locali. Anche perché le prime sono percepite generalmente come interne e più compatibili con i processi di integrazione etnica e religiosa verso la componente russa e ortodossa, secondo l’esortazione coranica “O Genti del Libro! Giungete a una parola comune tra noi e voi: che non adoreremo altri che Dio”.[31] Ma le seconde, il Salafismo per intenderci, sono pur sempre parte del mondo musulmano in un ambiente sempre più caratterizzato dalla mobilità della popolazione.
Certamente, l’impossibilità per ciascuna costituente di riconoscersi e sentirsi rappresentata politicamente in un partito caratterizzato dall’appartenenza confessionale complica la chiarezza dei rapporti e l’individuazione di eventuali degenerazioni e radicalizzazioni. A questo proposito, Gabdulla-khazrat Galiulla, Muftī del Consiglio Spirituale dei Musulmani del Tatarstan dal 1992 al 1998, dice che “in uno Stato con forma di governo non-musulmana, dove i Musulmani costituiscono una minoranza, è solo attraverso movimenti politici che gli interessi e i diritti dei credenti possono essere difesi. È l’unico modo per influenzare le decisioni prese dalle autorità”.[32]
Ravil’ Ismagilovič Gajnutdinov, nato in Tatarstan e attuale Gran Muftī del Consiglio Spirituale dei Musulmani della Regione Europea di Russia con sede a Mosca, enfatizzando il carattere dinamico dei processi storici, afferma: “L’Islam è ancora in evoluzione. È possibile modernizzare le condizioni di esistenza dell’Islam in un ambiente multi-etnico e multi-culturale senza cambiare i suoi principi. Condivido il rinnovamento degli insegnamenti islamici, quegli aspetti che riguardano la sfera sociale, gli ambiti umanistici della vita umana. I principi essenziali sono incrollabili, naturalmente. Regolano la namaz [il termine derivato dal Persiano che indica la ṣalāt, la preghiera musulmana, N.d.T.], il digiuno, la zakat, i pellegrinaggi, i rapporti tra marito e moglie, i loro interessi di proprietà e di parentela” (Malashenko, 2015).
Anche Rafael’ Sibgatovič Khakimov, Direttore dell’Istituto di Storia dell’Accademia delle Scienze del Tatarstan, apre al riformismo islamico, rilanciando l’Euro-Islam come l’unica alternativa al conservatorismo religioso e al fondamentalismo. Considerando questa corrente di pensiero “come una moderna forma di Jadīdismo”, nella sua pubblicazione Euro Islam in the Volga region dice “L’obiettivo fondamentale dell’Euro-Islam è sull’ijtihād (un metodo di giudizio critico) per l’interpretazione moderna del Corano … L’ijtihād riunisce Oriente e Occidente”.[33] In questo, Khakimov appare perfettamente in linea con le teorie moderniste ottocentesche di ‘Abdannaṣīr al-Qūrṣāwī e Shihābaddīn al-Marjānī, precursori del Jadīdismo e poi ripresi in parte dal già citato Iakupov. La differenza, rilevante, tra Khakimov e Iakupov è che quest’ultimo “considerava sia i Jadīdi sia i Qadīmi [i loro “tradizionali” avversari, N.d.T.] come parti di pregio del retaggio islamico tataro”, come suggeriscono Alfrid K. Bustanov and Michael Kemper, dell’Università di Amsterdam (Bustanov and Kemper, 2013).
Conclusioni
Gli equilibri delle posizioni restano comunque nelle mani delle istituzioni repubblicane e del Cremlino, che potranno avere successo nell’indicare una strada di contemperamento delle visioni religiose ed etniche se effettivamente comprenderanno il valore della posta in gioco: la stabilità sociale della regione, ma anche la stimolazione di una coscienza civile aperta alla costruzione di una statualità complessa e multiforme che dia spazio alle espressioni culturali e di costume presenti sul territorio. E naturalmente anche alle modalità organizzative delle autonomie locali.
Il Presidente Putin, al di là delle tendenze centralizzatrici che gli vale il titolo irridente (o piuttosto adulatorio?) di Tsar, sembra averlo parzialmente compreso. E lo ha dimostrato durante l’incontro di ottobre 2013 con i responsabili del Consiglio Spirituale dei Musulmani a Ufa, già ricordato in apertura. Riprendendo le considerazioni presentate nel libro Putin’s Russia, curato da Leon Aron nel 2015, tre punti sembrano emergere dalle analisi del Presidente:
- La socializzazione dell’Islam è stata “l’evoluzione del tradizionale modo di vita, pensiero e visione dei Musulmani, in conformità con la moderna realtà sociale e in contrapposizione all’ideologia dei radicali”;
- L’Islam politico “non è necessariamente negativo”, il che implicherebbe un riconoscimento della legittimità del coinvolgimento della religione nella politica;
- L’invito di Putin ai leader musulmani russi a contribuire “all’adattamento sociale di quanti si recano in Russia per vivere e lavorare” e che sono anche Musulmani cerca di reclutare la comunità musulmana russa nell’influenzare i migranti.
Sembra una convincente ricerca di equilibrio e una rilevante apertura di credito verso l’impegno dell’Islam nell’edificazione di un nuovo rapporto con il Cremlino. Tatarstan e Bashkortostan in particolare lo sperano, nonostante le difficoltà di ordine politico-istituzionale!
[1] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving. Vedi School of Russian and Asian Studies, http://www.sras.org/tatarstan.
[2] Tatarstan: Capital Kazan Celebrates Its 1,000th Anniversary, ‘Equilibrium Of Cultures’ (26 agosto 2005). Vedi Unrepresented Nations and People Organization, http://www.unpo.org/article/2899.
[3] В Кремле не поняли идею муфтия о присоединении Израиля и Сирии к России (Il Cremlino non ha capito l’idea del Muftī sull’adesione di Israele e Siria alla Russia) (25 novembre 2015). Vedi LƐnta.ru, https://lenta.ru/news/2015/11/25/umor/.
[4] Costituzione della Repubblica del Tatarstan, Capitolo 2, art. 91.
[5] Tatarstan President’s Press Office (27.05.2016). Tatarstan Prime Minister Ildar Khalikov takes part in Russian petrochemical forum in Ufa. Vedi Government of the Republic of Tatarstan, http://prav.tatarstan.ru/eng/index.htm/news/655965.htm.
[6] Results of the Kazan Venture Fair: 10 startups were selected for the international accelerator (25.05.2016). Vedi 16th Russian & 11th Kazan Venture Fair, Kazan – April 26-27, 2016, http://www.kazanventurefair.com/show_news_eng/?title=2016_8_12_10_14.
[7] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving, cit.
[8] International Business Publications (2014). Russia: Tatarstan Republic Regional Investment and Business Guide, Washington, D.C. (USA), sezione Economy and Development, pag. 14.
[9] Tatarstan republic (s.d.). Vedi Leonard Boekelman, Global 7 Investment Group, http://global7group.com/tatarstan-republic.
[10] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving, cit.
[11] Bashkortostan republic (s.d.). Vedi Leonard Boekelman, Global 7 Investment Group, http://www.global7group.com/bashkortostan-republic.
[12] Rosneft ha siglato un accordo per acquistare una partecipazione di controllo in Bashneft lo scorso 12 ottobre. Vedi Kenneth Rapoza (14 ottobre 2016), Russia’s ‘Darth Vader’ Seizes Control Of Gas Company Bashneft, in Forbes, http://www.forbes.com/sites/kenrapoza/2016/10/14/russias-darth-vader-seizes-control-of-gas-company-bashneft/#5a2ed56d3faf.
[13] Welcome to the Republic of Tatarstan (s.d.). Vedi Official Tatarstan, http://tatarstan.ru/eng/about/welcome.htm.
[14] Joseph Hammond (6 dicembre 2013). In Russia’s Oil-Rich Bashkortostan, Site Of The Upcoming BRICS Summit, Terror Threats Undercut Investment Efforts. Vedi International Business Times, New York, NY (USA), http://www.ibtimes.com/russias-oil-rich-bashkortostan-site-upcoming-brics-summit-terror-threats-undercut-1496936.
[15] Kazan officially becomes Russia’s Third Capital (03.04.2009). Vedi pravda.ru, http://www.pravdareport.com/history/03-04-2009/107354-kazan-0/.
[16] Tatarstan President’s Press Office (28.05.2016). Rustam Minnikhanov: Sabantuy is the symbol of awaking the nature, diligence and hospitality of our people. Vedi Official Tatarstan, http://tatarstan.ru/eng/index.htm/news/656154.htm.
[17] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving, cit.
[18] Ibid.
[19] Ronan Keenan (estate 2013). Tatarstan: The Battle over Islam in Russia’s Heartland. Vedi World Policy Journal, argomento Unchaining Labor, http://www.worldpolicy.org/journal/summer2013/tatarstan-battle-islam-russias-heartland.
[20] Ibid.
[21] Agreement between the Government of the Russian Federation and the Government of the Republic of Tatarstan “On Delimitation of Authority in the Sphere of Foreign Economic Relations”. Vedi http://archive.is/6W2E#selection-33.0-35.21. Fonte: Università Federale di Kazan (21 dicembre 2012), http://www.kcn.ru/tat_en/tatarstan/agree.htm.
[22] Tabish Shah (s.d.). How Federal is Putin’s Russian Federation? Vedi http://www.atlantic-community.org/app/webroot/files/articlepdf/howfederal.pdf. La citazione di Shah si riferisce a: J. Corwin (18 gennaio 1999), Primakov calls for national unity, RadioFreeEurope / RadioLiberty Newsline, Vol 3, N° 11, parte I.
[23] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving, cit.
[24] Brian Whitmore (14 gennaio 2016). What Do Tatarstan And Belarus Have In Common?. Vedi RadioFreeEurope / RadioLiberty, Prague, Czech Republic, and Washington, D.C. (USA), http://www.rferl.org/a/what-do-tatarstan-and-belarus-have-in-common/27487602.html.
[25] Alexej Malashenko (luglio / settembre 2014). Islam in Russia. Vedi Russia in Global Affairs, n° 3, Moscow, Russia, http://eng.globalaffairs.ru/number/Islam-in-Russia-17002.
[26] Alexej Malashenko (13 maggio 2015). Islamic Challenges to Russia, From the Caucasus to the Volga and the Urals. Vedi Carnegie Moscow Center, Moscow, Russia, http://carnegie.ru/2015/05/13/islamic-challenges-to-russia-from-caucasus-to-volga-and-urals-pub-60334.
[27] Christine Jacobson & Josh Wilson (s.d.). Tatarstan Semiautonomous and Thriving, cit.
[28] Entrambe le citazioni sono tratte dall’articolo Farid Salman: What is the Difference between Traditional Islam and Salafiyyah? (s.d.). Vedi http://islam.ru/en/content/story/farid-salman-what-difference-between-traditional-islam-and-salafiyyah.
[29] Alfrid K. Bustanov & Michael Kemper (2013). Valiulla Iakupov’s Tatar Islamic Traditionalism. Vedi Asiatische Studien / Études Asiatiques, Revue de la Société Suisse – Asie, LXVII · 3, Peter Lang AG, Internationaler Verlag der Wissenschaften, Bern, Schweiz/ Switzerland, http://www.zora.uzh.ch/85101/1/03_KBustanov_MKemper_Z.pdf. pagg. 809-835.
[30] Two years of Imarat Kavkaz: jihad spreads over Russia’s south (7 ottobre 2009). Vedi Caucasian Knot, http://www.eng.kavkaz-uzel.eu/articles/11635/.
[31] The Holy Qurʾan, Sūra Āl-i-ʿim’rān (La Famiglia di Imrān), āya 64. Traduzione e commento di A. Yusuf Ali, Islamic Propagation Centre International, Durban, South Africa.
[32] Azat Khurmatullin, Università Islamica Russa di Kazan (20 giugno 2008). Islam and political evolutions in Tatarstan, documento presentato all’incontro Russia and Islam: Institutions, Regions and Foreign Policy, University of Edinburgh (UK), Old College. Vedi http://www.pol.ed.ac.uk/__data/assets/pdf_file/0008/28682/Islam_and_political_evolutions_in_Tatarstan.pdf, § Politicization of Islam in Tatarstan: does it make any sense?.
[33] Rafael Khakimov (s.d.). Euro Islam in the Volga region. Vedi Kazan Center of Federalism and Public Policy, Tatarstan, Russia, http://www.kazanfed.ru/en/authors/khakimov/publ1/.
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