IWA MONTHLY FOCUS

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ARCHITETTURA IN ARABIA SAUDITA:
UNA SFIDA APPASSIONANTE TRA CARATTERI ISLAMICI TRADIZIONALI E SVILUPPO TECNOLOGICO

di Glauco D’Agostino

Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “Geopolitica. Geopolitics, Political Geography and Geostrategy Magazine”, Year XIII, no. 59 (1 / 2015) “THE SAUDI RISING POWER – from Regional to International -“, Top Form Publishing House, Association of Geopolitics “Ion Conea”, Bucharest, 2015.

Jeddah-Burj al Mamlakah (Kingdom Tower) project

Sommario. L’anima dell’odierno Regno di Arabia Saudita, che dalla sua nascita poco più di 80 anni fa, condivide gli aspetti contraddittori della tradizione e della modernità, sempre sospesa tra l’intransigenza etica dei costumi wahhābiti e la spinta esogena ad uno strabiliante progresso tecnologico, sempre cercando una difficile coesistenza di forma e di contenuti.

A questa apparente contraddizione non sfugge l’architettura saudita, perché in questo particolare contesto, gli aspetti funzionali non dovrebbero prescindere dalla manifestazione di spiritualità su cui la Nazione si fonda; e perché i principi islamici dovrebbero rappresentare un ponte di collegamento tanto per la classica distinzione tra architettura religiosa e quella civile, quanto per la connessione culturale con il resto della Umma.

Dando per assodati questi assunti, l’effettiva adesione dell’azione reale ai presupposti ideali è non da oggi messa in discussione e fa parte del normale dibattito tra critici ed esperti del Regno Saudita.

Sussiste il pericolo dell’affievolimento di quell’identità che lo stile tradizionale islamico interpreta anche oggi e della perdita di riconoscibilità dei vari stili regionali della Penisola, espressioni di condizioni climatiche e costitutive dei territori locali. Questo perché l’uso del cemento armato e l’introduzione dell’aria condizionata ha progressivamente reso inutili tutti gli accorgimenti strutturali e compositivi che storicamente hanno dato forma e funzione all’edificio classico, tanto religioso quanto civile.

Comunque, non è che questa separazione tra modernità e tradizione si sia poi dimostrata così drastica, come dimostrano gli sforzi e i tentativi operati dagli architetti contemporanei per giungere ad una sintesi.

Riyāḍ, con i suoi quasi sei milioni di abitanti attuali, ha un crescente sviluppo urbano. Quanto a rinnovo urbano, è Mecca a presentare i maggiori sconvolgimenti del suo tessuto storico: gran parte della città vecchia, realizzata con mattoni crudi di fango, è stata distrutta. Anche Jeddah, la città costiera dalle influenze ottomane e egiziane, ha estesamente rinnovato il suo tessuto urbano sin dagli anni ‘50 e, di conseguenza, una serie di architetture moderne hanno sostituito molti antichi edifici storici. A Jeddah, comunque, non mancano nuovi edifici di stile islamico. Madīnah, come Mecca con la Masjid al-Ḥarām, è indissolubilmente connessa alla presenza della Masjid an-Nabawī, la Moschea del Profeta. Gli stili architettonici dell’Ḥijāz nel suo complesso hanno assorbito sin dal XVI secolo l’influenza politica e culturale ottomana di Egitto, Siria e Turchia. Nelle Isole Farasān le caratteristiche degli edifici si sono sviluppate verso una particolare architettura tutta isolana. In tema di castelli e palazzi la Regione meridionale di Najrān esibisce le proprietà più significative ed uniche della Penisola Arabica. Nella Provincia Orientale troveremo sia vestigia islamiche dell’antichità sia modernissima edilizia di stile universale sia tentativi di architettura ibrida.

Infine, Il Quartiere Diplomatico di Riyāḍ è un esempio di integrazione tra tradizione islamica e sviluppo tecnologico, modello per tutta la Umma.

 

Clamorosi contrasti e sforzi di sintesi

Dubai City-Burj Khalīfa (comparison with Burj al Mamlakah)Chiunque prenda visione del progetto del Burj al Mamlakah (la Kingdom Tower) (foto 1, in apertura), il grattacielo che svetterà sulla città di Jeddah al suo completamento tra qualche anno, assume coscienza di quello che l’Arabia Saudita ha deciso di diventare, accettando il ruolo (anche simbolico) di avanguardia economico-finanziaria e architettonica del mondo arabo. Con i suoi 1.008 metri di altezza e 167 piani, sarà il più alto edificio del mondo, sorpassando di 180 metri il Burj Khalifa di Dubai City (foto 2, a destra): un investimento di 1,23 miliardi di dollari USA, prima fase del progetto di sviluppo “Kingdom City” di 20 miliardi di dollari USA, per un edificio in cemento armato e acciaio con una facciata interamente in vetro.

Dumat al-Jundal-Caliph ‘Umar ibn al-Khaṭṭāb MosqueChiunque visiti la città in rovina di Dumat al-Jundal, nella regione settentrionale di al-Jawf ai confini con la Giordania, e vi scopra nelle vicinanze la Moschea Califfo ‘Umar ibn al-Khaṭṭāb (foto 3, a sinistra), si renderà pienamente conto della tradizione islamica insita nella storia dell’Arabia e di come questa abbia prodotto un tipo di architettura dopo tutto non dissimile da quella del vicino Medio Oriente. L’impianto della Moschea data al 638, cioè ai primi anni del Califfato Rāshidūn e, malgrado molte alterazioni, mostra i caratteri tipologici dell’architettura religiosa araba, che sarebbero stati utilizzati per molti secoli ancora:

  • Un an (cortile) che precede la sala di preghiera principale, nella quale si entra attraverso una porta situata nel muro di qiblā (quello che indica la direzione delle preghiere e della prosternazione verso Mecca);
  • Schema funzionale a T, distintivo dello stile arabo originario, con pilastri in pietra in file parallele al muro di qiblā e con architravi in legno;
  • Copertura della sala di preghiera realizzata in tronchi di acacia e palma;
  • Un minareto rettangolare con copertura piramidale.

Alcuni di questi caratteri si possono ritrovare, per esempio, nell’impianto originario coevo della Moschea Amr ibn el-Ass della nuova Fustat (il nucleo originario del Cairo), che fu fondata nel 642 alla conquista araba dell’Egitto, sempre sotto il Califfato di ‘Umar ibn al-Khaṭṭāb. Certo, originariamente la Moschea di Fustat non aveva minareti e tantomeno il tetto piramidale era all’epoca così frequente. Ma questi pochi caratteri enunciati servono a individuare alcune costanti architettoniche degli edifici religiosi costruiti nei secoli anche in Arabia.

Dunque, gli esempi sopra citati sono due paradigmi estremi dell’anima dell’odierno Regno di Arabia Saudita, che dalla sua nascita poco più di 80 anni fa, condivide gli aspetti contraddittori della tradizione e della modernità, sempre sospesa tra l’intransigenza etica dei costumi wahhābiti e la spinta esogena ad uno strabiliante progresso tecnologico, sempre cercando una difficile coesistenza di forma e di contenuti.

A questa apparente contraddizione non sfugge la sua architettura, perché in questo particolare contesto, diversamente dai presupposti del mondo secolarizzato, gli aspetti funzionali non dovrebbero prescindere dalla manifestazione di spiritualità su cui la Nazione si fonda; e perché i principi islamici dovrebbero rappresentare un ponte di collegamento tanto per la classica distinzione tra architettura religiosa e quella civile, quanto per la connessione culturale con il resto della Umma. L’egiziano ‘Abdul-Wāḥed el-Wakil, uno dei maggiori attori dell’espressione architettonica islamica in Arabia Saudita, dice: “Una delle rare qualità che ho nel mio lavoro è che ho davvero studiato arte sacra e architettura sacra”.

Dando per assodati questi assunti, l’effettiva adesione dell’azione reale ai presupposti ideali è non da oggi messa in discussione e fa parte del normale dibattito tra critici ed esperti del Regno Saudita. “È incredibile che nobiltà e conoscenza una volta trasmesse tramite l’architettura sacra oggi siano perdute. Le cattedrali, i templi d’Egitto hanno tutti un messaggio da dare. Questo è ciò che cerco di fare nel mio lavoro. E io credo che sia la mancanza di atteggiamento sacro che sta causando così tanti problemi oggi. Non sto parlando di fanatismo, ma di qualcosa di universale” dice ancora el-Wakil, aggiungendo la propria opzione per l’utilizzo di materiali del luogo (terra e pietra), anche per la loro durata e resistenza ai cambiamenti meteorologici. E anche perché non mancano modelli storici nella Penisola che attestano l’uso della pietra: per esempio la già citata Moschea del Califfo ‘Umar ibn al-Khaṭṭāb; il Salwa Palace di ad-Dirʿiyya (primi del XIX secolo), il centro del potere della famiglia as-Sa‘ūd; le architetture storiche dell’Ḥijāz meridionale e delle Isole Farasān; le confortevoli abitazioni di Mecca, Jeddah e altre città costiere; i palazzi della regione meridionale dell’ʿAsīr, compresi quelli di alcune zone dove le facciate sono decorate con quarzo bianco.

Naturalmente, l’obiezione posta sottolinea il pericolo dell’affievolimento di quell’identità che lo stile tradizionale islamico interpreta anche oggi e della perdita di riconoscibilità dei vari stili regionali della Penisola, espressioni di condizioni climatiche e costitutive dei territori locali. Questo perché l’uso del cemento armato e l’introduzione dell’aria condizionata ha progressivamente reso inutili tutti gli accorgimenti strutturali e compositivi che storicamente hanno dato forma e funzione all’edificio classico, tanto religioso quanto civile. E quest’ultima diversificazione non ha molto senso negli archetipi della tipologia architettonica, quando si rifletta sul fatto che il prototipo di moschea è in definitiva l’abitazione del Profeta a Medina, la quale era una costruzione ipostila rudimentale, con varie funzioni (tra cui quelle di ritrovo per la comunità e luogo di preghiera) e provvista di cortile interno porticato. Al contrario, oggi è sempre di più diffusa un’abitazione con le seguenti caratteristiche:

  • Grandi finestre nelle pareti esterne, con i relativi problemi di climatizzazione ormai affidati al controllo meccanizzato invece che al sapiente uso di tecniche naturali;
  • Giardino aperto esterno a rimpiazzare il cortile recintato, il quale offre maggiore privacy e rispetto per i diritti dei vicini, anche e soprattutto per le donne, visto il contesto di costumi religiosi del Paese;
  • Tendenza alla compattezza delle funzioni e delle forme architettoniche, prima razionalmente distribuite in spazi distinti;
  • Eccessivo uso delle decorazioni esterne (sottolineatura di benessere sociale), in contrasto con la sobrietà della casa tradizionale, tutta concentrata sulla vivibilità interna.

Riyāḍ-Ministry of Petroleum and Mineral Resources BuildingComunque, non è che questa separazione tra modernità e tradizione si sia poi dimostrata così drastica, come dimostrano gli sforzi e i tentativi operati dagli architetti contemporanei per giungere ad una sintesi.

  • Strategie tradizionali per il condizionamento climatico sono state attuate, ad esempio, per il Community Center di Jeddah e per le Moschee sul Lungomare della stessa città;
  • Archi e porticati sono utilizzati nell’International Medical Center di Jeddah;
  • Mashrabiyas, gli schermi intagliati a grate che tutelano la privacy e consentono all’aria fresca di immettersi in casa, decorano i nuovi edifici dell’Ḥijāz settentrionale e centrale: l’Elaf Taiba Hotel di Medina, di nuovo il Community Center e alcune delle Moschee sul Lungomare di Jeddah;
  • Tecniche qualitative per l’illuminazione e la ventilazione sono state adottate a Riyāḍ per l’edificio del Ministero del Petrolio e delle Risorse Minerarie (foto 4, sopra), rinnovato nel 1983, e per quello che ospita gli uffici delle Agenzie delle Nazioni Unite, il quale presenta in facciata piccole aperture triangolari sulle pareti, motivi tradizionali del Najd già usati nel Qar al-Mamak di Riyā del 1865 quali elementi che favoriscono la continua ventilazione.

Riyāḍ-King Fahd Library BuildingPer quanto riguarda il condizionamento climatico e l’illuminazione, un discorso a parte merita la Biblioteca King Fahd di Riyāḍ (in primo piano nella foto 5, a sinistra) per le sue innovative soluzioni previste nella progettazione e concretizzate nella sua realizzazione del 2013. Prima di tutto, la struttura della facciata in cavi d’acciaio a filigrana (con colori che cambiano durante la notte) offre protezione dal sole, con conseguente massima penetrazione e trasparenza della luce e ritrovando la tradizionale attitudine medio-orientale. L’antico edificio della Biblioteca, comprendente una cupola (originariamente in cemento, ora ricostruita in acciaio e vetro), è incorporato nella cornice di una nuova struttura complessiva, applicando principi di conservazione dei monumenti. Adottando una soluzione molto originale, la nuova Biblioteca ha una nuova copertura punteggiata da lucernari, sotto la quale bianche membrane distribuiscono la luce in tutti i locali interni. Di conseguenza, l’edificio simbolicamente a forma di cubo della Biblioteca King Fahd, comprensivo di spazi espositivi, una libreria e un ristorante, interpreta oggi il ruolo di uno dei più importanti centri culturali del Paese, essendo parte del Distretto in via di sviluppo commerciale e residenziale di Olaya.

Riyā, l’eredità di Konstantinos Doxiadis e il Najd

Riyāḍ (“I Giardini” il suo significato), già capitale dell’Emirato di Najd (Secondo Stato Saudita) dal 1824 e poi capitale del Regno di Arabia Saudita dal 1932, con i suoi quasi sei milioni di abitanti attuali ha un crescente sviluppo urbano sin dall’ammodernamento del quartiere residenziale reale nel 1950 e dall’introduzione negli anni ‘60 dello schema reticolare della città da parte di Konstantinos Doxiadis secondo la sua teoria ekistica, già messa in atto a Islāmābād, in Pakistan. Negli ultimi 40 anni la città ha giocato le sue più interessanti carte del rinnovo urbano su tre livelli di intervento:

  • La riabilitazione dei quartieri storici, come quello eseguito a partire dal 1976 per il Distretto di Qar al-Hokm, un’opera ancora in corso di realizzazione. All’interno del distretto, il progetto ha riguardato anche il già citato Qaṣr al-Maṣmak e la ricostruzione nel 1992 della Grande Moschea Imām Turki bin Abdullāh (per 17.000 fedeli) da parte dell’architetto giordano Jamāl Rasem Badran;
  • Il revival dell’architettura tradizionale islamica, come è il caso della ricostruzione del Palazzo del Governatore di al-An e della nuova sede della Saudi Arabian Monetary Agency, quest’ultima concepita con un’estetica tradizionale, ma con funzioni, metodi e materiali moderni;
  • Lo sviluppo del concetto di modernità, attraverso la realizzazione di grandi interventi urbani dedicati al business e alla residenza: il Distretto Finanziario King Abdullāh è uno di quelli ancora oggi in fase di costruzione, con 59 torri e 12.000 residenti da allocare, per un investimento di 7,8 miliardi di dollari USA. L’idea è quella di integrare la parte più versatile della popolazione saudita con gli standard occidentali. “Ma questa integrazione si ferma al margine del distretto” tuonava The New York Times in un articolo del 2010, riconoscendo, comunque, che “le indicazioni progettuali non dicono nulla sulla separazione dei sessi”.

Ma in realtà Riyāḍ ha storicamente fatto parte del sistema abitativo e culturale della regione centrale saudita dell’“altopiano” (“Najd” in Arabo, appunto), costituito da insediamenti di oasi all’interno di un paesaggio semi-desertico abitato da Beduini.

Proviamo a ricomporre i motivi costruttivi dominanti negli antichi edifici di questa regione:

  • spessi muri di mattoni crudi o fango, che garantiscono resistenza di carico e prestazioni di isolamento termico;
  • coperture costruite con fusti e rami d’albero e intonacate col fango;
  • frequente presenza di parapetti a denti di sega e decorazioni triangolari a rilievo.

Tuttora le case tradizionali antiche presentano le seguenti caratteristiche costruttive, tenendo presente che sussistono differenze tra la parte settentrionale e quella meridionale della regione:

Najd Settentrionale

  • ampie porte principali con gradini rettangolari o arcuati;
  • carente presenza di portali esterni;
  • doppio accesso alle case più grandi: uno per gli uomini e i loro ospiti maschi, l’altro per le donne;
  • cortile interno, dove si affacciano le porte e le finestre delle camere.

Najd Meridionale

  • edifici multipiano;
  • cortile delimitato da camere di stoccaggio dei foraggi, un magazzino per attrezzature agricole e la scala principale;
  • piani superiori destinati a camere familiari, un’apposita camera privata per l’anziano della famiglia, la cucina e le aree di servizio;
  • una terrazza per lavori domestici o riunioni, circondata da un alto muro, che di solito è traforato per consentire la circolazione dell’aria.

Mecca e il rapporto con Masjid al-Ḥarām

Quanto a rinnovo urbano, è Mecca a presentare i maggiori sconvolgimenti del suo tessuto storico: gran parte della città vecchia, realizzata con mattoni crudi di fango, è stata distrutta.

Makkah-aṣ-Ṣafā and al-Marwah WalkIl fatto determinante della sua storia è la presenza di Masjid al-Ḥarām, La Sacra Moschea, la più grande del mondo, che copre un’area di 356.800 mq (incluse le aree di preghiera interne ed esterne) e può accogliere fino a 4 milioni di fedeli durante il periodo di ājj. L’attuale disposizione di base risale al 1577 (epoca del Sultano Ottomano Selīm II), quando il grande architetto imperiale turco Mi’mâr Sinân Âğâ, già progettista della Moschea Süleymaniye venti anni prima, fu incaricato di ristrutturare la principale moschea della Mecca. Successive ristrutturazioni furono attuate nel 1629, sotto il regno del Sultano Murād IV. Ma la svolta decisiva per la Moschea e per la città stessa giunse nel 1955 dalla decisione di Sua Maestà Re Sa‘ūd di procedere al primo ampliamento della Sacra Moschea in più di mille anni, aumentando di cinque volte la sua area dell’epoca e sostituendo i sette corti minareti con altrettanti alti 89 metri. Al tempo stesso, il Corridoio lungo 300 metri tra aafā e al-Marwah (legato al rito a piedi del saʿy) (foto 6, in alto) è stato completamente coperto e incluso nella Masjid. Ancora più importante della precedente, l’espansione che Re Fahd avvia nel 1982 e completa 6 anni dopo, la più imponente della storia della Moschea. Non indulgeremo nella descrizione di tutte le innovazioni tecnologiche introdotte con questi ulteriori lavori (impianti di climatizzazione, piastrelle termoresistenti in marmo sul pavimento, un sistema di drenaggio, scale mobili, nuovi sistemi audio). Oggi al-Masjid al-Ḥarām è ancora una volta in espansione, con i lavori iniziati otto anni fa e che si protrarranno fino al 2020 con un costo di 10,6 miliardi di dollari USA: a quel punto, l’area totale avrà raggiunto i 40 ettari e il numero dei minareti sarà stato incrementato dagli attuali 9 a 11.

Makkah-Abraj al-Bayt Towers (August 2013) Makkah-Abraj al-Bayt Towers, clockLa presenza della Sacra Moschea ha anche influenzato lo sviluppo urbanistico della Mecca, attraendo investimenti ingenti nell’area circostante. Ne sono un esempio le Torri Abraj al-Bayt (foto 7, a sinistra), un progetto in stile post-moderno della società di consulenza libanese Dar al-Handasah, realizzato con un sistema strutturale composito in acciaio e cemento tra il 2004 e il 2012 con un costo di 15 miliardi di dollari USA. La più alta delle torri, la Mecca Royal Hotel Clock Tower (foto 8, a sinistra), raggiunge i 601 metri di altezza, conta 120 piani e accoglie una grande sala di preghiera per più di 10.000 persone, un museo islamico, un Centro di osservazione lunare e un orologio con il più grande quadrante del mondo. Il contrasto dimensionale, estetico, stilistico e funzionale tra al-Masjid al-Ḥarām e le Torri Abraj al-Bayt è ancora un altro esempio di convivenza tra architettura tradizionale e moderna, sebbene, come già detto, la Sacra Moschea non conservi molto delle originali strutture, ma pur sempre rappresenta un elemento simbolico per l’intera Umma islamica. Purtroppo, la scelta della collocazione delle Torri ha anche comportato l’abbattimento della cittadella ottomana Ajyad Fortress, costruita nel 1780, e il livellamento della collina sovrastante il sito della Ka’ba, dove sorgeva.

Makkah-Jabal Omar Development2Makkah-Jabal Omar Development5Ma le Torri Abraj al-Bayt non sono il solo eclatante esempio in questo senso. Un altro insediamento alla Mecca, il Jabal Omar Development (foto 9 e 10, a destra), un centro commerciale e residenziale in stile ibrido per 40.000 abitanti, del costo di 2,7 miliardi di dollari USA, iniziato nel 2008 e il cui completamento è previsto per il 2020, sta sorgendo su un terreno vicino alla Sacra Moschea.

Jeddah, l’eclettismo architettonico e l’opera di Wakil

Anche Jeddah, la città costiera dalle influenze ottomane e egiziane, ha estesamente rinnovato il suo tessuto urbano sin dagli anni ‘50 e, di conseguenza, una serie di architetture moderne hanno sostituito molti antichi edifici storici. Essendo divenuto lo scalo che oggi accoglie la maggior parte dei pellegrini provenienti dall’estero e diretti alla Mecca, nel 1981 ha inaugurato l’Aeroporto Internazionale King Abdul-Azīz, oggi tra i terminal aeroportuali più grandi del mondo. Progettato dal noto ingegnere strutturale e architetto bengalese-americano Fazlur-Rahamān Khān, si distingue per la modernissima soluzione adottata per la copertura (che è composta da una serie di vele simili a tende), per il suo ājj Terminal (di stile universale, appositamente costruito nel 1982 a servizio dei pellegrini) e per il King Fahd Royal Reception Pavilion (con forme islamiche tradizionali). Della stessa epoca è la sede centrale della National Commercial Bank, che, con i suoi 27 piani squarciati dalle tre alte e profonde aperture presenti sulle facciate, è caratterizzato dai conseguenti tre cortili, i quali proteggono gli uffici dalla luce diretta del sole, determinando anche una ventilazione esterna controllata in aggiunta a quella interna meccanizzata.

A Jeddah, comunque, non mancano nuovi edifici di stile islamico, come la Dār adh-Dhikr al-ākim School del 1994-95 e il suo ampliamento del 2004. E nemmeno quelli di stile ibrido, come è il caso dell’al-Andalus Elementary School del 1983-84 e dell’edificio per gli uffici del Gruppo el-Khereiji del 2011.

A questo proposito, non si può parlare di architettura revival a Jeddah, senza sottolineare l’opera del già citato architetto egiziano ‘Abdul-Wāḥed el-Wakil, soprattutto (ma non solo) nella costruzione di moschee: queste presentano tutte muri portanti di mattoni cotti e altri elementi tradizionali, come volte e cupole, muqarnas, superfici coperte da intonaco bianco o granito. Il cemento armato è utilizzato solo per fondazioni, architravi e soffitti piani. Marmo e granito sono impiegati per pavimenti, pareti, maārīb (le nicchie) e anche per i balconi dei minareti.

Le principali sue opere in città, tutte commissionate tra il 1979 e il 1990 dal Ministero del Pellegrinaggio e degli Awqāf, o dal Comune di Jeddah, o anche da privati, sono le seguenti:

Moschee sul Lungomare:

a)     La Moschea sull’Isola (1986) è concepita come un elemento scultoreo di forma semplice, inserito nel paesaggio di un’isola artificiale. Nei suoi 400 mq sono inclusi una sala di preghiera rettangolare, un an porticato affacciato sul mare, un minareto quadrato, una cupola su tamburo ottagonale. Non contiene aree separate per uomini e donne;

b)     La Moschea Sulayman (1980-88), una combinazione di stili tradizionale arabo e contemporaneo, è esternamente austera. Il suo progettista ha pensato di reintrodurre elementi islamici tradizionali ormai in disuso, come una cupola centrale, un cortile interno, il soppalco di preghiera per le donne;

c)      La Moschea del Lungomare (1986-88) è un’architettura vernacolare rurale “free-style” di 195 mq. Vi si entra dalla parete di qiblā attraverso una grande sala coperta, un nartece e un riwaq (portico) con vista sul mare, procedendo verso la camera di preghiera a cupola. Presenta un massiccio minareto ottagonale e volte a catenaria;

d)     La Moschea Moamed Farsi (o Ruwais) (1989), architettura vernacolare di 216 mq, è un importante riferimento a motivo delle tre cupole che fiancheggiano il muro di qiblā.

Altre moschee:

e)     La Moschea Harithy (1986) è adornata da muqarnas in marmo sui due balconi dei minareti e nel mirāb e da piastrelle in ceramica di Kütahya, Turchia occidentale;

f)        La Moschea Juffali (1986) è una moschea vernacolare del tipo antica Jeddah per 2.000 fedeli;

Jeddah-H.M. King Sa‘ūd Mosque, an Iwan in the central courtg)     La Moschea Sua Maestà Re Sa‘ūd (1987) (un īwān del suo cortile centrale nella foto 11 a sinistra, di Zohair Harb), la più grande a Jeddah, si ispira allo schema persiano “a quattro īwān”, in particolare alla Moschea in stile safavide dell’Imām di Eşfahān, del XVII secolo. Il suo monumentale aspetto bianco è enfatizzato dall’ingresso decorato da muqarnas, a imitazione dell’enorme portale della Moschea-Madrasa in stile mamelucco del Sultano Badr-ad-Dīn al-Ḥasan al Cairo. D’altra parte, l’attuale moschea è la ricostruzione di quella in stile mamelucco e moresco costruita negli anni ’50 del secolo scorso. Comprende una sala di preghiera rettangolare a quattro īwān di 5.000 mq, la grande cupola principale in mattoni di 20 m di diametro e 42 di altezza, due cupole più piccole e una serie di cupolette, un minareto a tre livelli in mattoni alto 65 m;

h)      La Moschea ʿAzīziyyah (1988), 1.715 mq per 1.000-2.000 fedeli, presenta una pianta ipostila (composta da sei navate parallele al muro di qiblā), una cupoletta e un elegante minareto a stelo. Ospita abitazioni per imām e muezzin e le aree per la didattica;

i)        La Moschea Abraj (o bin Lādin) (1988), 123 mq, richiama prototipi ottomani, in particolare (tranne per le sue dimensioni) la Moschea cinquecentesca di Sinân Principessa Esmahan a Istanbul (meglio nota come Moschea Sokollu Memet Pasha). Ha una camera di preghiera rettangolare a cupola, tre campate a volta, un minareto squadrato a stelo a pianta esagonale con un balcone sorretto da volte a muqarnas. È arricchita da un mirāb in marmo.

Architetture civili:

j)        Il Palazzo Sulayman (1979) è un edificio multipiano di corallo e teak, ben progettato anche per la razionalità delle destinazioni d’uso (aree private, aree pubbliche, gli alloggi per gli ospiti, un’ala di servizio);

Jeddah Lightk)      The Jeddah Light (1990) (foto 12, a destra) è un faro di forma cilindrica in cemento e acciaio, alto 113 m e che sostiene un globo sferoide.

Medina “la Radiosa”, le antiche moschee e Masjid an-Nabawī

Le città dell’Arabia Saudita in cui Wakil si è distinto per le sue opere sono anche Medina e Mecca. In quest’ultima, la Moschea Hafayer, adiacente a Masjid al-Ḥarām, è stata completata nel 2008. Sono rilevanti le sue ricostruzioni di tre moschee di Medina:

Madīnah-Masjid Quba’1a)     Masjid Quba’ (foto 13, a sinistra) è la più antica moschea del mondo. Costruita nel 622 dal Profeta Maometto con tronchi di palma e mattoni, poi ampliata nel 684, rinnovata e ampliata nel 706, ancora ristrutturata nel 1160 e diverse altre volte durante il governo ottomano, la sua ultima ricostruzione nel 1986 ha seguito lo stile tradizionale locale: la sala di preghiera rettangolare è sormontata da sei grandi cupole ed è affiancata da quattro minareti dal fusto ottagonale decorato; il suo an è coperto da una sorta di tenda retrattile;

Madīnah-Masjid al-Qiblatain (the Mosque of the Two Qiblās)b)     Masjid al-Qiblatain (la Moschea delle Due Qiblā) (foto 14, a destra) nasce nel 623 ed è legata al cambio di direzione della preghiera da Gerusalemme a Mecca che l’Arcangelo Gabriele ordinò al Profeta. Negli anni ‘60 dello scorso secolo la moschea appariva come un’architettura vernacolare della Penisola Arabica meridionale e manteneva un mirāb piatto a rilievo verso la qiblā di Gerusalemme. La sua ricostruzione nel 1992 ha previsto spazi sufficienti per 2.000 fedeli. Presenta una cupola e una falsa cupola, collegate da piccole volte a crociera in direzione della Mecca, nonché due minareti gemelli. La principale sala di preghiera simmetrica è marcata da volte a botte parallele al muro di qiblā;

c)      Jama Masjid è stata ricostruita dove si ritiene si siano svolte le prime preghiere del Venerdì.

Il Mīqāt al-Madīnah Mosque Complex, invece, nasce con il progetto di Wakil realizzato nel 1987 per 5.000 fedeli, con la funzione di accogliere e fornire servizi a coloro che compiono il pellegrinaggio a Medina.

Madīnah-Masjid an-Nabawī2Nonostante l’importanza dell’eredità storica costituita dalla afīa (la Carta di Medina), che attesta la nascita della Umma e della prima organizzazione politica dei Musulmani, il destino di Madīnah al-Munawwarah (“la Città Radiosa”) è, come quello di Mecca, indissolubilmente connesso alla presenza di un sito ammantato di sacralità: si tratta della Masjid an-Nabawī, la Moschea del Profeta (foto 15, destra), il secondo luogo più sacro al mondo dopo Masjid al-Ḥarām. E, come quest’ultima, ha avuto una continua espansione e un’incredibile trasformazione estetica e tecnologica.

Madīnah-Masjid an-Nabawī7 (XIX secolo)Madīnah-Masjid an-Nabawī3Del suo ampliamento si occuparono uno dopo l’altro nel VII-VIII secolo i Califfi ‘Umar ibn al-Khaṭṭāb, ‘Uthmān ibn ‘Affān e al-Walīd I (il cui nome è legato alla costituzione del primo mirāb), poi a più riprese gli Abbasidi, e ai Mamelucchi egiziani si deve la costruzione della cupola (ora di colore verde dal 1839) sopra la tomba del Profeta. Gli Ottomani procedettero ad un’ulteriore ingrandimento sotto il Sultanato di ‘Abdu’l-Mecīd-i I nel 1849 (una raffigurazione della Moschea nel XIX secolo nell’immagine 16 a destra, usata da BishkekRocks). Con l’istituzione del Regno Saudita e a partire dagli anni ’50 del Novecento, i Sovrani ‘Abd al-’Azīz, Faiṣal e Khālid apportarono consistenti modifiche ed estensioni all’area e agli edifici della moschea, che con Re Faiṣal vengono dotati di impianti di climatizzazione. Re Fahd, a sua volta, dà avvio alla più grande espansione della storia della moschea, rendendola “pari all’area della città di Medina nei tempi antichi”, citando le sue stesse parole; ma anche realizzando allestimenti tecnologici d’avanguardia, come le 27 cupole mobili in acciaio dei nuovi tetti, o gli ombrelli giganti che si aprono automaticamente per ombreggiare i cortili (foto 17, sopra, di Sekretärin). E ancora, sottoterra sono stati costruiti tunnel dei servizi e dei trasporti e parcheggi. Oggi Masjid an-Nabawī conta 10 minareti alti 105 m e può accogliere 600.000 fedeli (che salgono a 1 milione durante il periodo di ājj).

Le influenze stilistiche dell’ijāz, le sue torri, i suoi castelli

Mecca, Jeddah e Medina, le tre città sopra citate (cui si aggiunge la città montana di Ṭā’if, nella regione della Mecca), sono tutte parte della grande regione geografica occidentale dell’Ḥijāz, la quale, per la sua collocazione geografica, ha assorbito sin dal XVI secolo l’influenza politica e culturale ottomana di Egitto, Siria e Turchia e, conseguentemente, gli stili architettonici di volta in volta prevalenti in queste terre dello stesso Califfato sono la matrice delle similitudini che si incontrano nelle costruzioni della regione. Ovviamente, questo è tanto più vero per le parti settentrionali e centrali dell’Ḥijāz, mentre nel Tihāmah meridionale (la pianura costiera sul Mar Rosso) la maggior parte delle vecchie abitazioni sono simili nella costruzione alle capanne presenti sulla vicina costa orientale dell’Africa; e nelle restanti parti del sud sono applicate caratteristiche meno uniformi, a causa del clima e dei fattori economici.

Come già fatto per il Najd, si evidenziano le caratteristiche costruttive degli edifici tradizionali:

ijāz Settentrionale e Centrale

  • edifici da due a quattro piani;
  • accesso da una porta ad arco;
  • pareti esterne intonacate con calce bianca o di colore blu;
  • mashrabiyas multipiano, che decorano porte, finestre e le principali facciate degli edifici più grandi, con vasi ricolmi d’acqua appesi dietro gli schermi di legno.

ijāz Meridionale

  • edifici in pietra;
  • pareti esterne ed interne intonacate con fango;
  • in alcune zone, disegni (per lo più creati da donne) dipinti su pareti e scale;
  • grande quantità di strutture fortificate, come fortezze (a pianta rettangolare) e torri di guardia (a base circolare), costruite in città, pianure e vallate aperte, su colline e vette, a causa di invasioni straniere e turbolenze regionali.

Ṭā’if-Qaṣr ShubraGli esempi di castelli e torri nell’Ḥijāz Meridionale sono innumerevoli. Si citano qui: la torre di guardia quadrata a Muhail ʿAsīr (1850 circa); il Qar Shubra a quattro piani di ā’if (nella foto 18 a sinistra, una planimetria del 1925) (demolito nel 1858 circa, ricostruito ai primi del ‘900 e oggi Museo delle Tradizioni Arabe e Musulmane), che prende il nome da analogo palazzo del Cairo e che presenta mashrabiyas in legno turco e scale formali di accesso con marmo importato dall’Italia; Qar al-Muwaih (nella Regione della Mecca), eretto dagli Ottomani; il Castello con le torri gemelle di al-Bāha (nella regione omonima); il Castello di Jabal Fayfā’ (nella Regione di Jāzān).

Alla Regione di Jāzān appena citata appartengono le Isole Farasān, dove le caratteristiche degli edifici si sono sviluppate verso una particolare architettura tutta isolana:

  • case di pietra calcarea e mattoni;
  • pareti interne decorate con motivi riccamente lavorate in gesso, tipo mashrabiya;
  • interni decorati in stile cosiddetto tradizionale, peraltro simile (ma non uguale) ad alcuni lavori in gesso del Najd.

Farasān Islands-Aḥmed Munawar ar-Rifā‘ī’s houseSu queste isole si trovano due testimonianze coeve della locale architettura:

a)     La dimora di Amed Munawar ar-Rifā‘ī (1922 circa) (foto 19, a destra) è costruita in pietra e le pareti esterne del majlis (il salotto delle case importanti) sono rivestite di cornicioni e listelli geometrici intonacati. Affreschi abbelliscono l’interno di tutte le pareti del majlis. Altre camere hanno pareti lavorate in gesso, vetrate colorate e travi di legno dipinte a mano;

b)     La Moschea an-Najdi (1929) ha una pianta rettangolare di circa 560 mq. Comprende due sale di preghiera con dodici cupolette, un’area di preghiera per le donne posta dentro un altro edificio, un minareto. La particolarità è che le sue pareti sono composte prevalentemente da blocchi di corallo duro a taglio grezzo e ricoperti di gesso. Come nella casa precedente, schermi lavorati in gesso ornano le sue pareti e svolgono bene la funzione di ventilazione e di protezione dal sole.

La Regione di Najrān e la Sharqīyah

Najrān-Qaṣr al-‘Amārah (Governatorate Castle)In tema di castelli e palazzi, però, è la Regione meridionale di Najrān, situata lungo il confine con lo Yemen e caratterizzata da un’architettura tradizionale di fango, che esibisce le proprietà più significative ed uniche della Penisola Arabica. Uno dei migliori esempi è forse il Qar al-‘Amārah (il Castello del Governatorato) (foto 20, a sinistra), nel suo capoluogo Najrān. Costruito nel 1944 in materiali fangosi su fondazioni di pietra e ristrutturato nel 1986-87, è sede del Governatore e dei suoi delegati. Nei suoi 625 mq contiene 65 camere ed è circondato da alte mura marcate ai quattro angoli da torri di vedetta rotonde. Un’antica moschea e un pozzo pre-islamico testimoniano l’antichità del sito. Le facciate dispongono di strette porte e alte finestre, in conformità con i principi di sicurezza, difesa e moderazione del clima; l’uso del gesso è finalizzato a sottolineare l’estetica dei fabbricati, così come a proteggere le strutture di fango dal rapido processo di erosione.

Quando ci si sposta nella Sharqīyah (la Provincia Orientale), si possono ammirare antichi edifici e case in pietra calcarea, con elementi strutturali lignei che collegano i contrafforti. L’architettura locale è caratterizzata da vetrate verticali in facciata, le cui pareti sono ricoperte di intonaco o gesso. I tetti sono generalmente composti da rami di palma, mentre altri sono dotati di torri di ventilazione che aspirano l’aria in un sistema di condotti, i quali, a loro volta, raggiungono gli ambienti domestici interni per scopi di attenuazione delle temperature e ventilazione. Questa tecnologia naturale “passiva” è simile a quella utilizzata nelle oasi delle zone desertiche dell’Iran meridionale, determinando similarità anche nelle architetture e nei paesaggi urbani delle due zone prospicienti il Golfo, che storicamente si sono influenzate a vicenda.

Nella Provincia Orientale troveremo sia vestigia islamiche dell’antichità sia modernissima edilizia di stile universale sia tentativi di architettura ibrida.

Ad al-Hufūf, già capitale della Provincia e principale centro urbano dell’Oasi al-Ahsa, la Moschea Jawatha, edificata nel settimo anno dell’Egira (628-29) e di cui restano cinque arcatelle in mattoni crudi del IX secolo, fu la prima moschea costruita in Arabia orientale e seguì di poco la Moschea del Profeta di Medina nell’eseguire la prima preghiera comunitaria del Venerdì. Vanta nella sua tradizione orale (ma senza alcuna documentazione storica) l’aver custodito Ḥajar al-Aswad (la Pietra Nera) per quasi 22 anni, da quando nel 930 fedeli ismailiti della Qarmaṭiyya l’avevano rimossa dalla Ka’ba. Nella città non mancano testimonianze storiche più recenti, come la Moschea a cupola Ibrāhīm Pasha dei primi del ‘900 o come l’Antico Palazzo del Governatore, costruito nel 1907 circa.

Dhahran e Dammām, invece, mostrano il volto pił moderno della Provincia Orientale: uno degli edifici più interessanti di stile universale è l’edificio della Saudi Association for Energy Economics a Dhahran; mentre lo stile tradizionale islamico è utilizzato tanto nel King Abdul-Azīz  Royal Saudi Air Base di Dhahran quanto nell’Aeroporto Internazionale King Fahd a Dammām. Entrambi, tuttavia, fanno ricorso alle più moderne e sofisticate dotazioni, in omaggio ad un inarrestabile progresso tecnologico. Il primo, progettato nel 1961 come aeroporto civile, presenta una torre di controllo simile a un minareto. L’altro, che dovrebbe essere il più grande aeroporto del mondo in termini di superficie, è stato costruito a cominciare dal 1983, già terminato 7 anni dopo e reso operativo dal 1999, accogliendo anche il traffico prima attestato sullo scalo di Dhahran. La sua moschea per 2.000 fedeli, costruita sul tetto del parcheggio, unisce stile moderno e elementi architettonici islamici, come archi, cupole, porte con decorazioni islamiche e intagli.

Un caso di studio: il Quartiere Diplomatico a Riyā

Il Quartiere Diplomatico di Riyāḍ dà vita di fatto ad un’utopia saudita, o meglio, vi giunge abbastanza vicino. Rappresenta un tentativo di praticabile integrazione urbana, relazionale, funzionale e stilistica.

A seguito della decisione del Ministero degli Affari Esteri di trasferire tutte le rappresentanze diplomatiche da Jeddah a Riyāḍ, un Master Plan di un nuovo quartiere nella capitale per almeno 120 missioni diplomatiche e 24.000 persone è stato avviato nel 1977 da architetti locali. La costruzione è iniziata sei anni dopo. Il Block 3 Centre (il suo nucleo e l’oggetto di questo caso), completato circa 30 anni fa, oltre ad ambasciate e consolati “comprende aree residenziali per funzionari e diplomatici, così come anche alcune strutture culturali, religiose, amministrative e commerciali di base della comunità, tra cui una moschea del Venerdì, un complesso per servizi amministrativi, una piazza centrale (Maidan), con centri commerciali, giardini, ristoranti, ecc.”, secondo il rapporto ufficiale dell’Āgā Khan Award for Architecture.

Le caratteristiche del Centro sono ispirate all’architettura tradizionale del Najd; in particolare:

  • le pareti esterne sono trattate come mura della città;
  • fasce decorative sporgenti marcano i vari livelli di piano;
  • merlature a gradini adornano i livelli dei tetti;
  • stucco color sabbia su rete metallica ricopre le superfici esterne, secondo la struttura delle facciate tradizionali di fango.

Le sequenze di diversi spazi, piazze e paesaggi creano l’atmosfera tradizionale degli insediamenti più antichi.

L’organizzazione degli spazi è molto razionale:

  • il Centro si sviluppa lungo una spina lineare;
  • il Block nel suo complesso è organizzato attorno alla Maidan;
  • ogni edificio è stato progettato attorno ad un cortile interno.

Il Block è accessibile attraverso due varchi principali. Un sistema di traffico che separa i trasporti su strada dal movimento pedonale lascia la superficie del Centro libera da interferenze e rumore: i pedoni vi entrano al livello del suolo e i veicoli al livello inferiore, dove sono disponibili parcheggi e accessi di servizio.

La Maidan (affollata quotidianamente di notte, durante le festività ed eventi speciali) è delimitata da ombreggiati riwak (portici) su due lati. La Moschea del Venerdì (per 7.000 fedeli) chiude un lato della Maidan, secondo i modelli di progettazione tradizionali del Najd: un portale evidenziato da due alti minareti guida verso il an della moschea ipostila e poi verso la sala di preghiera; sono inoltre disponibili spazi verdi con fontane.

Gli edifici del complesso governativo sono organizzati attorno all’atrio centrale, utilizzato come spazio di raffreddamento, e a una serie di cortili aperti.

L’Āgā Khān Award for Architecture, che ha premiato il Block 3 Center nel 1989, parla di “un modello ideale per città delle società islamiche e arabe, per aver gradevolmente conservato il legame tradizionale tra la moschea e gli altri servizi pubblici della città. Il paesaggio dell’intero progetto è stato concepito come un ecosistema autosufficiente, utilizzando, quando del caso, elementi vegetali reperibili nell’ambiente desertico circostante. La giuria ha ritenuto che il paesaggio sia una comprensione realistica e fantasiosa dell’organizzazione naturale e dello spazio nelle regioni calde e aride”.

In definitiva, un esempio di integrazione tra tradizione islamica e sviluppo tecnologico, modello per tutta la Umma. È quanto l’Arabia Saudita può attuare oggi e a ragione può sognare di attuare nel suo prossimo futuro!

 

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