IWA MONTHLY FOCUS

Il PUZZLE CURDO TRA NAZIONALISMO E ISLAMISMO

Identità etnica e identità religiosa a confronto dopo la fine dell’influenza marxista sui movimenti irredentisti

di Glauco D’Agostino

Le aree di insediamento della popolazione curda su territori di quattro Stati

Il 12 novembre scorso il principale partito curdo in Siria, il Partito dell’Unione Democratica (PYD), ha annunciato l’intenzione di creare un governo di transizione nelle aree dominate dai Curdi nel nord-est del Paese, ricevendo l’appoggio da parte del governo regionale semi-autonomo del Kurdistan iraqeno.

Il 30 ottobre l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), uno dei più grandi partiti politici nel Kurdistan iraqeno, ha auspicato apertamente, per voce di uno dei suoi fondatori, il coinvolgimento dell’Iran negli affari interni iraqeni. La dichiarazione assume particolare rilevanza, perché dal 2010 il PUK esprime politicamente il Presidente di tutto l’Iraq, il suo leader Jalāl Ṭālabānī.

A marzo di quest’anno il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), un movimento turco di sinistra, dopo un lungo conflitto con le autorità governative, ha sottoscritto il cessate il fuoco con la Turchia, avviando negoziati di pace.

Cosa sta avvenendo in quest’area cruciale del Medio Oriente, che vede frammenti di una componente etnica ripartita tra quattro Stati tentare di assumere un ruolo politico coordinato, ricercando, forse, la tanto agognata unità negata dai vincitori dopo la caduta del Sultanato Ottomano? E che ruolo giocano le componenti religiose e i movimenti islamisti?

La Storia di quest’area indica la complessità dei rapporti politici e religiosi intercorsi nel suo tessuto sociale e nelle relazioni con i popoli viciniori; e, tuttavia, questa complessità si riversa nell’attualità, inducendo ad approfondire quanto necessario per poter comprendere gli avvenimenti.

Intanto, tra i quattro Paesi che ospitano popolazioni curde (Turchia, Siria, Iraq, Iran), due sono potenze regionali considerevoli, che competono per l’egemonia politica ed economica su vaste aree concorrenti, e le altre due stentano ad affermarsi perfino come unità statuali di controllo del proprio territorio:

  • la Turchia, erede della potenza politica del Califfato ed oggi estrema propaggine orientale della Nato, esprime una discreta influenza anche culturale su molte importanti regioni, spaziando dai Balcani, al Caucaso, all’Asia Centrale;
  • l’Iran, il più grande attrattore del mondo sciita, ha un forte ascendente sulle popolazioni che professano questa fede dall’area siriano-libanese, al Golfo, all’Azebajdzhan, alla stessa Asia centro-meridionale;
  • l’Iraq, dopo gli sconvolgimenti provocati dall’intervento americano, è in cerca di una stabilizzazione politica, che consenta anche di mettere a frutto le enormi risorse energetiche a disposizione e di armonizzare le tendenze etnico-religiose centrifughe, esplose con il conflitto e l’occupazione straniera;
  • la Siria, governata dalla minoranza sciita alawita, ma estremamente frammentata nella sua composizione etnico-religiosa, vive il dramma di una guerra civile devastante, che ha messo a nudo, anche qui, le gravi colpe di una rapace politica di occupazione cripto-coloniale da parte dei vincitori di due Guerre Mondiali, incapaci di dare un assetto credibile, legittimo e durevole alle popolazioni medio-orientali (si veda anche il caso palestinese).

Dal punto di vista politico, i Curdi, con un peso demografico di circa 25 milioni presenti nell’area (escludendo quindi gli elementi della diaspora), sono oggi prevalentemente coagulati attorno ad alcuni movimenti sostanzialmente laici, che agiscono all’interno dei singoli Stati di appartenenza:

  • in Iraq:

–          il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), partito conservatore fondato dopo la Seconda Guerra Mondiale e guidato da Mesûd Barzanî, attuale Presidente del Kurdistan iraqeno;

–          l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) di Jalāl Ṭālabānī, partito di sinistra fondato nel 1975, dopo il fallimento della ribellione curda in Iraq dell’anno prima;

  • in Turchia

–          il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), movimento attivo anche in Iraq, guidato da Abdullah Öcalan e in passato non solo chiaramente anti-religioso, ma anche accreditato di atti terroristici in Turchia ed Europa;

  • in Siria

–          il Partito dell’Unione Democratica (PYD), affiliato al Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) e che ha pubblicamente espresso sostegno per la rivoluzione contro Baššar al-Asad;

  • in Iran

–          il Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (PDKI), di orientamento social-democratico, fondato nel 1945;

–          il Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK), movimento politico impegnato in una lotta armata di lunga durata contro le autorità iraniane;

–          l’Organizzazione Rivoluzionaria dei Lavoratori del Kurdistan (Komaleh), gruppo di tipo guerrigliero fondato nel 1969 come ramo curdo del Partito Comunista Iraniano e guidato da Abdullah Mohtadi e Ebrahim Alizadeh.

A tutt’oggi i soli ad avere ottenuto risultati concreti sono i Curdi iraqeni, prima con l’autonomia del Kurdistan promulgata nel 1975 e poi con il riconoscimento dello status di regione autonoma nell’ambito dello Stato federale, ottenuto nel 2005 a seguito degli eventi bellici del 2003. Come risultato dell’appoggio fornito agli Stati Uniti durante le due Guerre del Golfo e della sottrazione del Kurdistan al controllo militare di Baġdād, KDP e PUK reggono il Kurdistan iraqeno in coalizione, dopo essersi confrontati in un’aspra guerra civile negli anni ’90 e avere sottoscritto un trattato di pace nel 1998.

In Turchia il PKK si è impegnato a ritirare i suoi 2.500 combattenti, in cambio di una promessa da parte del governo di approvare leggi che riconoscano l’educazione in lingua curda e una relativa autonomia. In una prima fase il ritiro dovrebbe effettuarsi verso l’Iraq, ma una parte dei peshmerga (i guerriglieri curdi) potrebbe unirsi al PYD, il ramo siriano del PKK. In questo caso, qualora il PYD dovesse prevalere nelle aree curde di Siria, la Turchia si troverebbe a fronteggiare due aree autonome a guida curda ai suoi confini, quella iraqena e quella siriana: da cui la prudenza del governo turco nell’affrontare l’agenda curda, bilanciata tra un atteggiamento di fermezza e un altro di apertura alle richieste di autonomia.

In Siria i movimenti curdi, a fronte di una unità di facciata all’interno del Comitato Supremo Curdo (KSC), sono in realtà divisi fin dall’inizio della guerra civile, pur aspirando tutti all’autonomia. Il PYD ondeggia tra una posizione di indifferenza o non-ostilità nei confronti del regime a uno sbandierato sostegno ai ribelli, omaggio alla politica estera dell’ingombrante vicino turco; il Consiglio Nazionale Curdo di Siria, invece, guarda al Kurdistan iraqeno come modello politico ed istituzionale, anche perché i Curdi di Siria si preparerebbero a controllare oltre la metà delle risorse petrolifere nazionali, proprio come il Kurdistan autonomo in Iraq già fa nei confronti dello Stato federale: dunque, auspica il crollo dello Stato siriano, che favorirebbe una ricomposizione politica intorno a criteri etnici e culturali.

In Iran i Curdi sono in netta contrapposizione al regime degli Ayatollah, il che li pone fuori da ogni ruolo politico propositivo: d’altra parte, l’attivismo diplomatico di Tehrān verso il Kurdistan iraqeno, i buoni rapporti instaurati tanto con il KDP quanto con il PUK e il favore accordato al governo federale dello sciita Nūrī al-Mālikī rendono improbabile qualsiasi accondiscendenza sia iraniana sia iraqena verso le derive di violenza politica manifestate dai movimenti curdi intransigenti a cavallo delle regioni di frontiera.

Come si vede, i movimenti e i partiti politici emersi sono tutti di orientamento laico, anche se il sentimento nazionalista ha coinvolto e coinvolge i Curdi sunniti (che, diversamente dai vicini popoli arabi e turchi dell’area, aderiscono prevalentemente al madhhab shafi`ita), in misura maggiore rispetto a quelli aderenti ad altri culti islamici più o meno ortodossi e tradizionalmente presenti sul territorio, quali:

  • gli Sciiti, rappresentati soprattutto dai Duodecimani e dagli Alawiti, questi ultimi nati nella prima metà del X secolo a Baġdād e oggi saldamente al potere a Damasco (a seguito dell’azione politica degli Asad), oltre che diffusi nella Turchia meridionale;
  • gli Alevi, sincretisti adoratori di ‘Alī ibn Abū Ṭālib, nati nel X secolo in Persia e oggi presenti nella Turchia orientale;
  • gli Ahl-e Haqq (Gente della Verità), adoratori di ‘Alī con il culto degli Angeli e che vivono dai primi del XVI secolo nel Kurdistan meridionale (Persia occidentale e Kirkuk, in Iraq);
  • gli Yazidi, anche essi sincretisti con il culto degli Angeli originati dallo Zoroastrismo, nati nel Kurdistan centrale a seguito della conquista islamica e oggi insediati soprattutto a Mosul, in Iraq.

Ora, dopo le insurrezioni (nel 1919, 1921-24 e 1930-31) di Maḥmud Barzanji, Shaykh hanafita della Confraternita Qādiriyya, nel Kurdistan meridionale, quella del 1925 di Said Piran, Shaykh della ṭarīqa Naqshbandiyya, nell’Anatolia sud-orientale e quella promossa nel 1937-38 nel Dersim turco dall’etnia zaza di culto alevi, a causa della forte influenza marxista acquisita dal movimento nazionalista curdo a partire dagli anni ’50, i Curdi devoti alle rispettive fedi religiose hanno posto in secondo piano la loro identità etnica e sono stati spesso in conflitto con la prevalente politica irredentista. Solo con la sconfitta dell’ideologia comunista i movimenti islamisti sono tornati ad occuparsi della questione curda, ricambiati dall’interesse della causa nazionalista nei loro confronti. Questi i maggiori movimenti islamisti attivi in Kurdistan:

  • il Partito Islamico del Kurdistan (Partîya İslamiya Kurdistân), organizzazione sunnita anti-turca fondata nel 1979 in Iraq, finalizzata all’istituzione di un governo islamico nella Turchia sud-orientale e guidata oggi da Muḥammad Salih Muṣṭafā;
  • l’Unione Islamica del Kurdistan (Yekgirtûy İslâmî Kurdistân, in breve Yekgirtû), partito iraqeno fondato nel 1994 ad Erbil, rappresentato nel Parlamento del Kurdistan con il 9% dei seggi e guidato da Moḥammed Faraj. Ha legami con i Fratelli Musulmani;
  • il Movimento Islamico del Kurdistan (Bizûtnewey İslâmî Kurdistân), gruppo iraqeno basato a Halabja (vicinissima al confine iraniano) e fondato nel 1979 da Shaykh ‘Uthmān bin ‘Abdul-Aziz, l’attuale leader con trascorsi di esperienze presso i Fratelli Musulmani. Emerso nel 1987 e rilevante nei primi anni ’90, il movimento ha bilanciato l’influenza iraniana e saudita esercitata sul Kurdistan. È rappresentato nel Parlamento autonomo curdo;
  • gli Ḥizballāh Curdi (Hizbullahî Kurdî), organizzazione sunnita anti-comunista operante in Turchia dal 1983 contro il nazionalismo laico e in particolare contro il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK); 
  • gli Ḥizballāh Rivoluzionari Curdi (Hizbullahî Kurdî Shorishger), gruppo scissionista degli Ḥizballāh Curdi e del Supremo Consiglio per la Rivoluzione Islamica in Iraq, sono nati nel 1988 nel Kurdistan meridionale sotto l’egida iraniana e sotto la guida di Adham Barzanî, cugino di Mesûd Barzanî;
  • il Movimento Nurcu, il più rilevante movimento religioso curdo in Turchia, la cui corrente principale (associata con il giornale Yeni Asya, Nuova Asia), avendo sempre coltivato l’idea che l’Islam debba superare divisioni etniche e nazionali, ha minimizzato l’enfasi sull’etnicità curda posta dal fondatore del movimento, il teologo sunnita shafi`ita Bediüzzaman Said Nursî;
  • il Movimento sufi pacifista del filosofo hanafita turco Fethullah Gülen (associato con il quotidiano Zaman, Tempo), parte del movimento Nurcu, che ha cercato un compromesso con l’élite laicista militare e burocratica turca, adottando una chiara posizione nazionalista turca;
  • il gruppo Med-Zehra, organizzazione Nurcu nazionalista curda, la quale deriva il suo nome dall’Università Medresetü’z-Zehra che Said Nursî avrebbe voluto insediare in Kurdistan e che richiama il nome dei Medi, presunti antenati dei Curdi. Nato in contrapposizione al movimento sufi precedente per enfatizzare l’identità curda di Said Nursî non chiaramente compresa, si richiama storicamente anche allo Shaykh naqshbandi Said Piran e politicamente al Movimento Islamico del Kurdistan.

In definitiva, negli ultimi 30 anni società e politica curde hanno assunto un atteggiamento più attento nei confronti dell’Islam: i movimenti islamisti sono cresciuti e quelli laici hanno dovuto prendere atto del forte sentimento religioso diffuso a livello popolare (vedi la rinuncia del PKK all’ateismo e all’orientamento anti-religioso). In contropartita, l’Islamismo politico ha abbracciato il nazionalismo curdo con più vigore di quanto non avesse fatto nei 30 anni precedenti. D’altra parte, è stato nelle scuole coraniche che si è formata la lingua curda, primo elemento fondativo di un’identità autonoma curda; e si deve alle Confraternite sufi l’opera di solidarietà popolare che ha positivamente superato divisioni tribali e regionali: non è un caso che le prime rivolte curde con un aspetto nazionalista siano state sempre guidate da sceicchi sufi, in particolare qādiri e naqshbandi.

Di certo, oggi siamo lontani anni luce da quella politica di integrazione che il Califfato aveva sempre assicurato alle sue componenti etniche e religiose e che né gli occupanti europei, né tantomeno lo zelo nazionalista dei rampanti laicisti medio-orientali avrebbe mai più praticato. Ne è testimonianza proprio la montante questione curda che, a quasi un secolo dal suo deflagrare, langue irrisolta ed ancora oggi provoca tensione negli Stati che ospitano le popolazioni appartenenti a questa etnia.

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