Guantánamo Bay – Non basta chiuderla. È tempo di fare i conti con la tortura

di Noha Aboueldahab*

Libera traduzione da: Foreign Policy,

L’articolo originale in lingua inglese è disponibile clickando sul link indicato sopra.

Le immagini relative a questa traduzione sono una scelta di Islamic World Analyzes.

Il 20° anniversario dell’11 settembre sarà presto seguito dal 20° anniversario di una delle conseguenti risposte più brutali: l’apertura nel gennaio 2002 della prigione militare di Guantánamo Bay per custodire i detenuti catturati nelle campagne americane di antiterrorismo. L’Amministrazione Biden si sta impegnando per chiudere definitivamente la struttura, dove i detenuti sono stati torturati e trattenuti a tempo indeterminato nell’ambito del programma di detenzione e interrogatorio della CIA.

Ma gli orrori di Guantánamo non scompariranno semplicemente chiudendo la struttura. Bisogna fare i conti con l’eredità della tortura a Guantánamo Bay, uno dei numerosi siti utilizzati dagli Stati Uniti per torturare i detenuti in segreto.

Senza questa resa dei conti, le dichiarazioni dell’Amministrazione Biden a sostegno dei diritti umani continueranno a rimanere prive di significato. Peggio ancora, continueranno a inviare un messaggio di tacito sostegno ai governi autoritari di tutto il mondo che torturano sistematicamente i propri cittadini, spesso in nome dell’antiterrorismo.

Come l’allora sen. Joe Biden ha dichiarato nel 2007: “Dobbiamo inviare un messaggio chiaro che la tortura, il trattamento disumano e degradante dei detenuti, è inaccettabile, non è consentito dalla legge degli Stati Uniti, punto”. Da Vice Presidente nel 2013, Biden ha ampliato questi punti di vista, affermando: “Penso che l’unico modo per eliminare i demoni sia semplicemente riconoscere esattamente ciò che è accaduto”.

Se il Presidente Biden è veramente impegnato a eliminare quei demoni, ci sono diversi passi che deve compiere come Presidente, tra cui l’ampliamento delle garanzie legali contro la tortura, la declassificazione delle informazioni sugli interrogatori, l’emissione di scuse pubbliche, l’autorizzazione al risarcimento per le vittime della tortura e le loro famiglie e il perseguimento della responsabilità penale per coloro che hanno ordinato ed eseguito la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti dei detenuti.

Dei circa 780 detenuti che sono stati custoditi nel carcere di Guantánamo Bay da quando è stato aperto quasi 20 anni fa, ne rimangono 39. Attraverso il sistema delle commissioni militari, 12 sono stati accusati di crimini di guerra, 10 sono in attesa di giudizio e 17 continuano a essere trattenuti in detenzione a tempo indeterminato senza che siano state mosse accuse contro di loro. Inoltre, è stato autorizzato il rilascio per 10 dei restanti 39 detenuti, alcuni dei quali aspettano da quasi due decenni, ancora una volta senza dover rispondere di alcuna accusa.

Nel frattempo, presso un tribunale militare di Guantánamo Bay è in corso la 42a udienza preliminare per cinque detenuti accusati di aver aiutato i 19 dirottatori degli aerei passeggeri dell’11 settembre. Questi uomini sono stati detenuti tra il 2002 e il 2003 nei black sites [quelli in violazione dello Stato di diritto, N.d.T.] della CIA fino al loro trasferimento a Guantánamo nel 2006.

Biden ha dato priorità al trasferimento dei restanti detenuti che non sono stati accusati di alcun crimine. La sua Amministrazione ha anche stabilito una revisione riguardante le agenzie, con l’obiettivo di chiudere la struttura di Guantánamo Bay entro la fine del suo mandato presidenziale, un obiettivo iniziato con l’Amministrazione Obama e impantanato tra la politica nel Congresso e nelle agenzie.

Il punto critico era la questione del trasferimento dei detenuti: nessuno voleva consentire ai detenuti di trasferirsi nelle carceri degli Stati Uniti e nessuno era disposto ad assumersi la responsabilità di autorizzare il trasferimento dei detenuti in un altro Paese per paura di recidiva.

Nonostante l’ordine esecutivo dell’ex Presidente Barack Obama di chiudere Guantánamo Bay entro un anno dal suo insediamento, i successivi tentativi di completare il trasferimento dei detenuti sono stati bloccati, soprattutto dal Dipartimento della Difesa. Obama non ha quindi posto il veto a un provvedimento che impedisce il trasferimento dei detenuti sul suolo americano, cementando l’impossibilità di chiudere Guantánamo e limitando fortemente le prospettive di rilascio dei restanti detenuti senza accuse.

The US Navy detention facility at Guantánamo Bay, Cuba, opened 13 years ago on 11 January. © Scott LangleyUna lezione che Biden può trarre dall’incapacità dell’Amministrazione Obama di chiudere Guantánamo è che sono necessarie meno deferenza nei confronti del Congresso e più decisioni esecutive. Sebbene l’ordine esecutivo di Obama di chiudere Guantánamo non sia stato attuato, il suo impegno diplomatico con Paesi terzi ha portato al trasferimento di almeno nove detenuti yemeniti in Arabia Saudita.

Fondamentale sarebbe l’azione diplomatica di Biden, oltre alla nomina di un inviato speciale della Casa Bianca concentrato sulla negoziazione dei trasferimenti, in particolare di quei detenuti già autorizzati al rilascio anni fa.

Don’t Forget Guantanamo: The Legacy of the “War on Terror”, Torture, and Indefinite Detention

Ma il trasferimento dei restanti detenuti e la chiusura di Guantánamo Bay non faranno scomparire i problemi che ha generato.

Per affrontare l’eredità del programma di detenzione e interrogatorio, l’Amministrazione Biden dovrebbe attuare le raccomandazioni delineate dai senatori nel 2012 e nuovamente nel 2021 per prevenire l’uso futuro della tortura per la raccolta di informazioni. Queste raccomandazioni includono la messa in atto di garanzie legali contro il futuro uso della tortura.

Ad esempio, l’elenco delle tecniche di interrogatorio proibite nell’Army Field Manual dovrebbe ampliarsi per includere tutto ciò che la CIA definisce “tecniche di interrogatorio avanzate” per evitare interpretazioni disoneste di scappatoie legali che essenzialmente consentono l’uso della tortura e nessuna responsabilità.

Altrettanto importante è la declassificazione delle informazioni di intelligence che, per lo meno, chiariscono quali confessioni sono state indotte attraverso la tortura, in modo che i processi attuali e futuri relativi a Guantánamo si basino su prove credibili.

In una recente declassificazione dell’intelligence a seguito di un ordine del Tribunale di New York, è emerso che gli agenti dell’FBI hanno raccolto informazioni cruciali relative a un pianificato attacco di al-Qā‘ida in Israele senza dover torturare l’uomo che ha fornito le informazioni. Come sottolinea Bruce Riedel, Direttore del Brookings Intelligence Project, la trama è stata tenuta segreta per anni per nascondere al pubblico il fatto che gli agenti dell’intelligence non avevano bisogno di ricorrere all’uso della tortura per ottenere informazioni accurate. La declassificazione a lungo ritardata di questa informazione, scrive Riedel, “riguardava la protezione dell’uso della tortura”.

Un altro passo importante e simbolico sarebbe che Biden e i capi delle agenzie di intelligence si scusassero pubblicamente per gli abusi inflitti ai detenuti di Guantánamo Bay. Tali scuse dovrebbero riconoscere che il governo degli Stati Uniti e le sue agenzie hanno commesso un errore sia consentendo e omettendo di prevenire la tortura fisica e psicologica dei detenuti e sia trattenendoli in detenzione indefinita e arbitraria, tutte violazioni del diritto USA e internazionale.

Le scuse pubbliche chiarirebbero che Guantánamo Bay è contraria ai valori dei diritti umani professati dal governo degli Stati Uniti, e in particolare quelli dell’Amministrazione Biden. È importante sottolineare che le scuse dovrebbero includere un fermo impegno a non usare mai più la tortura, né per raccogliere informazioni né per qualsiasi altra ragione. Amministrazioni successive potrebbero infrangere tale impegno, ovviamente, ma [l’impegno, N.d.T.] aiuterebbe comunque a ricostruire la credibilità delle critiche attuali e future degli Stati Uniti alle violazioni dei diritti umani in altri Paesi, soprattutto se l’impegno viene mantenuto.

Oltre a questi passaggi iniziali, Biden dovrebbe anche autorizzare il pagamento una tantum di un risarcimento finanziario per i detenuti mai incriminati, la maggioranza dei quasi 800 prigionieri di Guantánamo Bay. Sebbene politicamente sensibile, un tale sforzo per fornire la possibilità a individui innocenti e torturati di ottenere un risarcimento aiuterebbe a rimediare ad alcuni dei danni arrecati alla credibilità del governo degli Stati Uniti come sostenitore dello stato di diritto.

Infine, Biden deve ricercare la responsabilità penale di coloro che hanno ordinato e praticato la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti dei detenuti. Questo sarà difficile, dato che la declassificazione dei documenti necessari per la raccolta di prove per costruire casi fondati continuerà a essere bloccata dalle priorità politiche e di sicurezza nazionale.

La tortura, tuttavia, è un crimine grave e gli sforzi per l’assunzione di responsabilità, inclusa la declassificazione del resto del rapporto del Senato sulle torture della CIA, devono continuare. Rappresentanti governativi e senatori determinati a proteggere lo stato di diritto sostenendo la trasparenza dovranno continuare questa lotta per la declassificazione, come hanno fatto la senatrice Dianne Feinstein e altri.

L’assenza di tale responsabilità ha già inviato un segnale al resto del mondo che gli Stati Uniti non considerano la tortura e altre forme di trattamento crudele, disumano e degradante abbastanza gravi da garantire giustizia. In definitiva, racchiude un messaggio molto preoccupante: se dovesse succedere un’altra Guantánamo, i responsabili trarrebbero vantaggio dall’impunità di cui hanno goduto i loro predecessori, perché gli Stati Uniti sono al di sopra del diritto internazionale e, in effetti, della propria Costituzione.

Alcuni Americani potrebbero vantare quelli che considerano 20 anni di politiche antiterrorismo di successo, che hanno impedito che si verificasse un altro 11 settembre sul suolo americano. Dovrebbero concentrare i loro sforzi anche per evitare che si verifichi un’altra atrocità a Guantánamo.

* Noha Aboueldahab è membro non-residente del programma Foreign Policy di Brookings Institution e autore di Transitional Justice and the Prosecution of Political Leaders in the Arab Region

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