GEO-POLITICA: NATURA E CONTRADDIZIONI NEL XXI SECOLO – Intervista con Glauco D’Agostino

“Cosmographia”, ill. di Tolomeo, Ulm: Leonhard Holl, 1482

L’OBIETTIVO DELLA GEO-POLITICA NON È IL CONSENSO (CHE È UN OBIETTIVO POLITICO) MA IL TRASFERIMENTO DI CONOSCENZE E METODI

La seguente intervista, pubblicata in Inglese lo scorso ottobre sul magazine romeno Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie, è stata condotta dal direttore e fondatore della rivista, prof. Vasile Simileanu, Membro Associato dell’Accademia degli Scienziati Romeni e Presidente dell’Associazione Geo-politica “Ion Conea”. 

Vasile SIMILEANU: La geo-politica, in quanto scienza, è stata messa in discussione dopo la seconda guerra mondiale. Dopo il 1989 è entrata a far parte del Nuovo Ordine Mondiale.

Raccontaci delle tue attività nel campo della geo-politica! Come definisci la geo-politica?

GLAUCO D’AGOSTINO: Il termine geo-politica, come disciplina relativamente moderna, può essere attribuito a diversi settori di interesse, a seconda del fine che la stessa materia si propone:

  • Come mero soggetto di studio per comprendere le interazioni tra caratteristiche territoriali (fisico-geografiche, antropiche, relazionali, politico-economiche) e comportamenti politico-istituzionali delle popolazioni insediate in ordine ai rapporti con le analoghe entità di governo;
  • Come mezzo per comprendere e sistematizzare le relazioni internazionali alla luce dei consolidati o pretesi interessi politico-economici e militari degli Stati;
  • Come strumento di condizionamento del diritto internazionale in direzione di un assestamento o, viceversa, modifica degli assetti globali.

Queste tre accezioni esemplificative corrispondono esattamente all’evoluzione del significato di quello stesso termine durante un processo di adattamento alle mutate condizioni storiche. Dall’enfasi dell’americano Alfred Thayer Mahan sul controllo marittimo a quella del britannico Halford Mackinder sul “Cuore” dell’Eurasia, è sempre evidente una tendenza anglo-sassone a considerare il “dominio” come il fattore principale della geo-politica. Il tema, non certo nuovo, è anche, a mio avviso, come questo “dominio” ampiamente legittimato si esercita, se alla luce di un’ideologia che considera modalità predeterminate sempre uguali a prescindere dalle caratteristiche geo-antropiche e culturali dei “sottoposti”; o, viceversa, adattando a queste le modalità di esercizio del potere. Quest’ultima strada è la più difficile e complicata perché presuppone conoscenza e studio dei territori, delle culture e dei comportamenti di altri popoli che si pretende di adattare al modo di concepire valori e istituzioni esogene al loro mondo.

Il dopo ’89, cui fa riferimento la domanda, ha inaugurato una stagione che già presupponeva l’omologazione globale al pensiero unico, o meglio al consumo uniformato di beni e servizi, dimenticando che proprio il pensiero totalizzante del comunismo sovietico aveva teorizzato questo e che proprio l’89 aveva avuto il significato simbolico di una sconfitta della conformità di pensieri e comportamenti al modello prevalente. Alla fine, quel modello uscito vittorioso, che teorizzava assunti del tutto opposti a quello ormai desueto, attuava gli stessi propositi di omologazione ad un pensiero unico, soltanto di segno diverso.

Cosa c’entra la geo-politica con tutto questo? Da oltre 30 anni la geo-politica è stata utilizzata come strumento ideologico, come paravento per legittimare guerre di “dominio” e normalizzazione (come la normalizatsia sovietica) dei popoli “indisciplinati”. Le culture, così come le religioni, non si possono combattere. La “crociata anti-islamica” ha avuto solo l’obiettivo di confermare le teorie geo-politiche che avallano la necessità di contrapporsi ad un nemico (vero o presunto) che non si adegua all’autorità della potenza dominante. Caduta l’URSS, l’obiettivo è diventato subito una parte del mondo islamico, senza tenere conto della reattività dell’intera Umma e senza avere la consapevolezza delle conseguenze geo-politiche. Grave errore se uno dei compiti della geo-politica è quello di analizzare i possibili esiti delle azioni intraprese. Con maggiore competenza geo-politica e capacità di previsione, l’Occidente si sarebbe risparmiato le terribili esperienze bellico-ideologiche di Afghanistan e Iraq, controllerebbe ancora il Medio Oriente, non sarebbe stato espulso dall’area d’interesse sahelo-sahariana e soprattutto godrebbe di una maggiore affidabilità presso i suoi alleati (penso alla Turchia).

Quanto alla mia esperienza nel campo della geo-politica, questa si esercita oggi attraverso la mia attività di studioso con la pubblicazione di libri (sulle autonomie istituzionali delle minoranze islamiche in Russia, su storia e attualità dell’Islam politico, sui rapporti istituzionali con il territorio interno in epoca sovietica), saggi e articoli presentati su varie riviste internazionali (ad esempio la stessa GeoPolitica di Bucharest, la Revista Chilena de Relaciones Internacionales o la rivista dell’Institute of Peace and Diplomatic Studies di Islamabad). Da studioso del mondo islamico (particolarmente i movimenti politico-religiosi e l’architettura sacra) e dopo esperienze culturali sull’argomento in Africa Occidentale, Maghreb, Libia, Medio Oriente, Iran, Asia Centrale, India, Cina e Indonesia, sono amministratore e gestore della rivista online Islamic World Analyzes da dieci anni.

L’interesse per la geo-politica si è sviluppata sia attraverso la formazione in parallelo con la mia attività professionale di architetto in campo territoriale, sia con iniziative di studio di natura istituzionale o indipendente in molte aree del mondo. Il mio background formativo include un dottorato in Pianificazione Territoriale, studi presso North-Eastern University di Boston, Massachusetts, U.S.A., e l’Università di Liverpool, Inghilterra, attività di ricerca istituzionale in Russia e Polonia (tra cui la Moskovskij Arkhitekturnij Institut, la siberiana Krasnojarskgrazhdanproekt, l’Istituto di Urbanistica e Pianificazione Spaziale del Politecnico di Varsavia). Il mio primo approccio con la geo-politica deriva comunque da esperienze di ricerca condotte in Paesi provenienti da economie centralizzate, ampliando, con visite dirette, la conoscenza dei problemi della transizione verso un sistema economico orientato al mercato: tra questi Paesi, ho conosciuto, con varie opportunità, Polonia, Russia, le Repubbliche Baltiche, i Paesi caucasici, Romania, Serbia, Bosnia e Erzegovina, Slovenia, Croazia, Uzbekistan, Turkmenistan, Cina e i Paesi del Sud-est asiatico.

Viaggiando attraverso oltre 50 Paesi, ho avuto l’opportunità di interessarmi soprattutto della struttura territoriale delle grandi aggregazioni urbane, anche dal punto di vista amministrativo (più di 70 aree metropolitane, tra cui Shànghǎi, Dehlī, Mumbai, Città del Messico, New York, Pechino, Los Angeles, Mosca, İstanbul, Tehrān, Lima-Callao, Bogotá, Washington, Hồ Chí Minh / Sài Gòn, San Francisco, Boston, Xī’ān, Miami, San Pietroburgo, Liverpool, Casablanca, Montréal) e della condizione delle etnie minoritarie in Amazzonia, Chiapas, Guatemala, Ecuador, Mali, Siria e Libano, Armenia, le Province cinesi di Shǎnxī e Yúnnán, Bukhara e Samarcanda, Iran.

 

V.S.: La geo-politica ha acquisito influenza in tutte le analisi degli sviluppi politici, militari, sociali, economici, culturali e diplomatici. Ritieni che le teorie classiche delle scuole geo-politiche siano ancora attuali?

GLAUCO D’AGOSTINO: Le teorie, quando ponderate, non sono mai del tutto sorpassate dagli avvenimenti. Si radicano su fondamenti che dimostrano validità oltre il contingente. Ma i cambiamenti indotti dal progresso, più che dagli eventi storici, determinano la necessità di adattamento di quelle teorie. In altri termini, possono essere ancora valide sulla base di alcune intuizioni, ma l’aggiornamento alle mutate condizioni antropiche e tecnologiche consente di comprendere meglio i meccanismi relazionali, specie in una epoca di globalizzazione di quasi tutti i loro fattori determinanti.

Nel merito, la Cina di oggi si propone l’espansione sia sull’heartland asiatico (Mackinder) sia sugli oceani (Mahan), lanciando lo strumento geo-politico della Belt and Road Initiative attraverso i traffici commerciali e l’assistenza allo sviluppo. Niente di nuovo rispetto agli imperialismi euro-atlantici, se non la modalità, che rappresenta il cuore della geo-politica. Controllo dei traffici commerciali sull’heartland e sui mari non significa necessariamente occupazione militare dell’heartland e dei mari. Tanto più che, nel frattempo, nuovi elementi determinano il potere di condizionamento geografico senza ricorrere alla Lebensraum di Ratzel o alla Rimland di Spykman.

La tecnologia ha consentito lo sviluppo dell’informazione e dell’Intelligenza Artificiale, che ne è un’applicazione, trasformando con l’entanglement il concetto di territorialità in quello di una identificazione avulsa dai contesti. Difficile che tutto questo dipenda dal numero degli armamenti nucleari e dalla loro dislocazione territoriale. Così, mentre Washington lancia l’AUKUS per dotare l’alleata Australia di sommergibili atomici e la NATO per rafforzare il sistema militare anche nel Pacifico, Pechino crea o si aggrega a strumenti diplomatici geo-politici (come la SCO, l’EAEU e i BRICS) che la proiettano verso aree geografiche fino a ieri precluse da un ordine mondiale unipolare. Sorprendente? No, annunciato. Tutti i documenti ufficiali cinesi che hanno riflessi sulla geo-politica si basano su tre concetti fondamentali che sono il contrario della geo-politica ideologica dell’Occidente:

  • perseguimento di un ordine globale multipolare;
  • rispetto delle identità e delle espressioni culturali e istituzionali dei popoli;
  • partenariati tematici piuttosto che alleanze con conseguenti obblighi di lealtà e condizionamenti politici.

Credo che la competizione tra i giganti del mondo si giochi su questi nuovi parametri. Arabia Saudita, Iran, India e, forse, l’intera ASEAN ne stanno prendendo atto.

Anche la nuova geo-politica giunge da Oriente!

 

V.S.: Come si riflette la geo-politica nel curriculum universitario (corsi di laurea, master, dottorati)! Quali istituti di ricerca, ONG e altri format sono stati sviluppati per gli studi geo-politici?

GLAUCO D’AGOSTINO: La geo-politica è per sua natura multi-settoriale e multi-disciplinare. Credo sia sbagliato annoverarla tra le professioni. La geo-politica si acquisisce con più conoscenze, la cultura e l’esperienza. Molti la considerano anche un po’ cinica, essendo collegata a logiche di dominio e potere. Ma la geo-politica, quella non ideologica, differisce dalla politica (o anche dalla scienza politica) perché basata sulla realtà storica esistente in condizioni date e in un contesto temporale determinato. Hic et nunc, richiamando Martin Heidegger. La sua proiezione temporale ha poco a che fare con le utopie. Caso mai, ha a che fare con l’etica dei comportamenti, ma entreremmo in un altro campo ben più complesso.

La preparazione universitaria è decisiva per l’accostamento al tema. Essendo multi-disciplinare, come già detto, la geo-politica necessita di competenze che non si acquisiscono soltanto nelle aree di una specifica facoltà. Riguarda di certo l’economia e la storia, ma anche la forma delle istituzioni politiche e la diplomazia, gli studi territoriali (con particolare riferimento alle risorse naturali e umane), l’etnologia e le strutture linguistiche, l’antropologia, la psicologia, la filosofia e le religioni. Una complessità che richiede una versatilità di interessi tali da coinvolgere la sensibilità e la disponibilità di organismi pubblici e privati e della stessa società civile.

Quanto ai format, credo non esista una tipologia privilegiata. Dipende da scopi e contenuti degli studi e dalla qualità dei loro promotori. A parte quelli di espressione istituzionale, che rappresentano la visione ufficiale delle stesse istituzioni e che godono di accesso a documenti non facilmente disponibili all’esterno, le strutture dedicate agli studi di geo-politica possono prendere la configurazione di istituti, fondazioni, enti del terzo settore, associazioni di categoria e così via, ma quello che li caratterizza è l’utilizzazione delle conoscenze. Le analisi possono essere globali o settoriali, statistiche o di profilatura, stocastiche o previsive. Analogamente, i risultati presentati in forma meramente quantitativa e matematica oppure quali approfondimenti di metodo e di strategia. Spesso, invece, queste strutture si sovrappongono l’un l’altra nelle modalità di intervento, omologandosi nei contenuti e nella presentazione agli utenti. Una più spiccata identificazione consentirebbe forse una maggiore sinergia invece di una competizione alla stregua dei meccanismi di mercato. Alle istituzioni, ovviamente, il compito di far confluire le iniziative in un alveo di programmazione partecipata verso obiettivi di comune interesse nazionale.

 

V.S.: Pensi che sia necessaria una migliore visibilità di questa scienza geografica negli ambienti di ricerca di tutto il mondo? Con quali forme e mezzi?

GLAUCO D’AGOSTINO: La geo-politica si inscrive tra le attività di aiuto alle decisioni. Credo che, per quanto detto prima, gli sforzi di cooperazione scientifica di livello internazionale per una migliore visibilità siano da esercitarsi nel campo metodologico e su libera iniziativa. A differenza delle scienze naturalistiche e descrittive, la geo-politica non è neutra, in quanto condiziona e indirizza la direzione di marcia delle nazioni. La geo-politica come scienza rischia di restare ingabbiata nei prototipi suggeriti dai maggiori destinatari, che sono anche i maggiori finanziatori istituzionali. Se le premesse sono indiscutibili per scelta politica, anche i risultati saranno prevenuti e scontati. La scienza geo-politica si troverà difronte a barriere costruite sulle contrapposizioni delle geo-politica stessa.

Ancora una volta la parola-chiave è sinergia, in questo caso per affermare la dignità di una disciplina che non può essere ridotta al ruolo di esecuzione. Forme e modalità saranno naturalmente quelle della comunicazione e dell’interazione tra scuole di pensiero, ammesso che all’attualità queste esistano al di là delle contingenze suggerite dagli avvenimenti. Purtroppo le esclusioni e i regimi sanzionatori tentano di sollevare quelle barriere anche nel campo scientifico, pretendendo di circoscrivere il quadro degli interlocutori. È la nuova frontiera dell’Occidente liberale e democratico.

 

V.S.: I geo-politici e le loro teorie dovrebbero essere resi più popolari nei media e nei social media? Che dire dei rapporti con le strutture partner di altri Paesi?

Con chi lavorare per promuovere la geo-politica? Sarebbe opportuno istituire un’organizzazione internazionale per promuovere gli interessi di questa scienza?

GLAUCO D’AGOSTINO: Credo che questa disciplina ancora non standardizzata oscilli tra un carattere elitario e quello di un ennesimo prodotto di consumo. Il primo carattere punta alla chiusura entro i limiti di un gruppo ristretto che si propone come la struttura di consiglio dei decisori. Il secondo mira al successo negli indici di ascolto e di gradimento.

La presenza sui media è fondamentale per la diffusione della conoscenza, ma è anche importante la sua scelta qualitativa. E la dicotomia si ripete. Il target è esclusivo o di massa? La soluzione può essere compromissoria (in medio stat virtus) o differenziata, multipla. Questo comporta la scelta del linguaggio e dell’intensità del messaggio. Ma credo anche che, così come è concepita la società liberale di mercato, questo sia compito degli esperti di marketing.

Il problema, a mio avviso, è un altro. Come eludere la propaganda dei media nel momento in cui si fanno propagandisti di contenuti ideologici. A questo non sfugge la nobile disciplina della geo-politica quando utilizza i media. Se la base di discussione è una fake news, tutta la conseguente analisi è falsata. Lo stesso se le analisi seguono il cliché del politicamente corretto. In pratica, non si distingue tra metodo e contenuto. Se il confronto geopolitico deve avvenire solo su presupposti e visioni preconcette, la discussione non esiste perché non potrebbe esserci dissenso con la visione dominante imposta dai media attraverso lo strumento del consenso di popolarità. L’obiettivo della geo-politica non è il consenso (che è un obiettivo politico), ma il trasferimento di conoscenza e metodi. Da questo fraintendimento nasce anche il costume occidentale di affidare spesso le analisi geo-politiche a celebrità e influencer di qualsiasi settore. Così è stato falsato il dibattito sulle crisi internazionali, sul terrorismo, sull’Islam, sui diritti civili.

La geo-politica ha bisogno di confronto tra diverse mentalità e opzioni. Non credo sia corretto trasformare una metodologia in strumenti della politica di una parte, occidentale o orientale, di un gruppo etnico o religioso. Attraverso la politica delle sanzioni e delle interdizioni, l’Occidente spinge alla separatezza delle culture e questo riguarda i mezzi di comunicazione di massa nel momento in cui marginalizzano o addirittura censurano il rapporto di scambio e la conoscenza con le espressioni culturali di altri popoli. Sta avvenendo oggi con la Russia, ma da molto tempo lo stesso avviene con la Repubblica Islamica dell’Iran, per esempio.

Sulla base di questo atteggiamento, l’altro pericolo è la pratica della contro-informazione, che si iscrive, anche questo, nel quadro delle attività politiche. Fake news contro fake news. Ripeto, il tema è il metodo e la conoscenza, non lo schieramento ideologico. Il giudizio etico condizionante non è geo-politica, pena il pregiudizio e la parzialità. L’abuso di termini come “dittatore”, “massacro”, “asse del male”, “terrorista” non appartengono alla geo-politica perché contengono una discriminazione arbitraria e non metodologica. Il concetto di “jihād” è assolutamente mistificato. Gli stessi protagonisti delle guerre ibride si chiamano “contractors” in un caso e “mercenari” in un altro. Qual è la differenza se non uno schieramento di campo?

Per rispondere più direttamente alla tua domanda, sono naturalmente favorevole al rapporto con strutture partner di altri Paesi, con cui già interagisco nella presentazione della personale impostazione. La creazione di strutture internazionali non dipendenti da impostazioni politiche predeterminate è auspicabile e mi vede assolutamente bendisposto alla collaborazione.

 

V.S.: Nelle nuove costruzioni globali, determinate da azioni geo-strategiche, come percepisci le pressioni geo-politiche sul tuo Stato?

Come dovrebbero reagire gli attori statali alle pressioni degli attori non statali? Esiste una collaborazione tra geo-politici e imprese?

GLAUCO D’AGOSTINO: Il Paese in cui vivo non ha una particolare attenzione verso i temi della geo-politica, non certo per mancanza di volontà o capacità, ma per ragioni storiche dovute ad una spiccata dipendenza geo-politica (appunto!) derivante da alleanze consolidate protettive e allo stesso tempo limitanti. L’impostazione dei decisori è necessariamente univoca e dunque non interessata allo studio di alternative anche appropriate. Ne consegue che le decisioni di politica estera rincorrono schemi sempre uguali e concepiti altrove con pochi margini di proposta originale. Il ruolo nell’ambito delle alleanze (sia politiche sia commerciali sia militari) è delimitato da uno scarso protagonismo, per lo più neanche consentito oltre le formalità di rito secondo i canoni della diplomazia.

Le scuole di geo-politica risentono anche della mancanza di un ampio retroterra storico di cui godono altri Paesi, dovuto alla marginalità dei suoi interessi politico-economici attuali nel quadro globale. Se guardiamo ad altri contesti mondiali, è naturale che i cinque stati che siedono permanentemente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU (e cui sono devoluti i destini del mondo) sviluppino la geo-politica come strumento di base per la geo-strategia da adottare nei vari ambiti territoriali-spaziali e disciplinari. Se consideriamo tutti i grandi Paesi coloniali europei del passato (come la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, i Paesi Bassi, il Portogallo e la Germania), il rapporto esercitato e rinsaldato nel tempo con le ex-colonie ha rinvigorito anche la loro capacità di comprendere meglio (sebbene per finalità spesso inconfessabili) necessità ed esigenze delle popolazioni, ma anche composizione etnico-religiose e relativi comportamenti, relazioni sociali e istituzionali, virtù e difetti, credenze e ambizioni. Mentre percepiamo la forza di alcuni Paesi geo-politicamente emergenti (come i BRICS, la Turchia e molti Paesi arabi e mediorientali) quando si proiettano sui teatri mondiali e lasciano i loro contesti strettamente regionali, dovremmo capire che le relazioni con loro, anche da una prospettiva marginale, vanno ad un affinamento delle nostre capacità geo-politiche verso i relativi contesti.

Detto questo, è naturale che esista una geo-politica nazionale spinta da interessi legati a fattori economici e sicurezza, in primis le risorse energetiche e di difesa. Le tre aziende principali in questo settore, ENI (petrolio e gas naturale), ENEL (energia elettrica) e Leonardo (difesa, aerospazio e armamenti) sono controllate dallo Stato e, attraverso le loro proiezioni sui mercati internazionali, hanno influenza sulla politica governativa anche in materia di politica estera. Dunque, esiste una connessione molto stretta tra attori geo-politici e business di natura pubblica. I maggiori istituti che si occupano di geo-politica agiscono sotto l’egida di istituzioni o di imprese su cui lo stato esercita la golden-share oppure sono espressioni di università pubbliche.

L’influenza degli attori non-statali sulla geo-politica è ovviamente esercitata attraverso l’attività di lobby, come d’altra parte legittimo in una società liberale di libero mercato. Essendo un Paese essenzialmente importatore e basato sui consumi, l’azione lobbistica delle multinazionali è fortissima e indirizzata a condizionare le scelte legislative in favore dell’apertura di mercati tradizionalmente protetti. Annosi problemi si trascinano per decenni nel campo della comunicazione, della sanità, dei trasporti e della balneazione turistica, ad esempio, con compromessi che vanno dalle privatizzazioni fittizie ai salvataggi reiterati di aziende formalmente private dell’orbita statale.

In mancanza di una programmazione istituzionale delle risorse di lungo periodo, il settore degli investimenti ondeggia tra la protezione di interessi consolidati e l’apertura indiscriminata anche episodica a interventi sganciati da una logica di coordinamento nazionale. Questo impedisce innovazione anche nel metodo, nella governance e nel rinnovamento del ceto dirigente. Esempi di quanto detto sono la storica scarsa capacità di utilizzo dei fondi strutturali europei e l’indecisione sull’attuazione del Memorandum of Understanding siglato per la Belt and Road Initiative, che coinvolge il Porto di Trieste, primo in Italia per traffico merci. Entrambi gli esempi hanno riflessi geo-politici non indifferenti, ma questi argomenti non fanno parte del dibattito politico pubblico.

L’unico argomento geo-politico che coinvolge l’opinione pubblica è quello, drammatico, dell’immigrazione, che è affrontato sul piano ideologico e, di conseguenza, destinato a cambiare impostazione in dipendenza della maggioranza di governo. In Italia vuol dire in media ogni anno. Tutto il contrario del concetto di geo-politica che, per sua natura, si fonda su assetti e conseguenti visioni internazionali stabili e durature. Il che dimostra la debolezza della società civile, che non è propositiva su questi temi, e la scarsa incidenza dei corpi intermedi (Confindustria, sindacati, associazioni di categoria), che preferiscono esercitare attività lobbistica priva di considerazione per l’interesse generale, alla stregua del modello imprenditoriale prevalente.

Tuttavia, il quadro non è né così negativo né statico. Si tratta di un periodo di transizione di re-impostazione delle strutture istituzionali e del loro modus operandi in previsione di un salto di qualità e, direi, di impegno per la costruzione di una nazione moderna in linea con le esigenze poste dal XXI secolo. E tuttavia la lentezza di questo processo di transizione limita la capacità di visione e la possibilità anche soltanto di intravedere un ruolo politico italiano nel mondo, che pure i vari governi rivendicano e di cui la popolazione è orgogliosamente convinta. Così, ad esempio, i suoi esecutivi passano con disinvoltura da un anno all’altro a giudicare Erdoğan (il Presidente di un Paese alleato nella NATO) come un dittatore a utile interlocutore per la risoluzione dei problemi geo-politici italiani nel Mediterraneo. Un passo in avanti nel riconoscimento del ruolo della geo-politica come asse portante della politica estera e della conseguente azione diplomatica. Resta, come è ovvio, il sospetto di inaffidabilità rispetto all’onorabilità di impegno sul lungo periodo, vista la volubilità con cui si affrontano relazioni internazionali così delicate. È l’impronta della sua pluridecennale responsabilità forzatamente delegata oltre oceano, più che del suo carattere non certo teutonico di cui la stessa Nazione si fregia.

 

V.S.: Quali sono le sfide geo-politiche e geo-strategiche d’impatto e come si riflettono nelle strategie promosse dal tuo Stato?

GLAUCO D’AGOSTINO: Direi che la questione ambientale, quella energetica e la tenuta del mercato del lavoro tradizionale rappresentano le priorità, riconosciute anche dal governo in carica come tali. Tutte hanno riflessi geo-politici importanti. L’Italia non è l’unica ad affrontare questi problemi, che sono ormai presenti sia nel mondo sviluppato sia in quelli emergenti. L’importante è la consapevolezza della posta in gioco. Non credo si possano affrontare né con proclami ambientali dai toni propagandistici come quelli dei begli anni passati, né con richiami all’orgoglio nazionale (il made in Italy), né con politiche autarchiche basate su sanzioni come quelle care alle attenzioni ideologiche dei movimenti dei diritti umani. Tutte queste soluzioni richiamano politiche dello scorso secolo, di cui è ancora impregnato il dibattito politico-istituzionale corrente.

Il discrimine rispetto a queste impostazioni è l’apertura al mondo come interlocutore indispensabile per l’equilibrio del sistema sociale. Restare agganciati a modelli economico-produttivi ormai desueti e inseguire comportamenti collettivi omologati nel consumismo di matrice esogena non aiuta a identificare i fondamenti costitutivi del proprio futuro. La corretta via in questa fase è necessariamente nazionale nel quadro di una visione globale, ma le chiusure protezionistiche in economia non corrispondono necessariamente alla giusta difesa delle identità. Sono argomenti metodologicamente da trattare distintamente, anche se nella realtà reciprocamente condizionanti.

Nel merito, le questioni ambientali ed energetiche impongono decisioni in ordine ai modelli produttivi e all’acquisizione delle risorse. Queste ultime determinano i primi e pongono dunque questioni geo-politiche di fondamentale importanza per lo sviluppo della nazione. Essendo un Paese privo di risorse naturali, il tema è la gestione della dipendenza. L’opzione è politica, naturalmente. Si può scegliere di approvvigionarsi presso gli alleati in campo militare e presso i Paesi con modelli istituzionali stile Westminster (perché ritenuti più affidabili) oppure si può essere più pragmatici, ricorrendo a Paesi meno democraticamente attendibili. Naturalmente, il giudizio sul rispetto dei canoni democratici è assolutamente devoluto ai decisori. Se le due considerazioni andassero di pari passo, sarebbe difficile spiegare all’opinione pubblica i proficui affari svolti in Arabia Saudita, nei Paesi del Golfo e del Medio Oriente, in Israele, nella stessa Russia e nella Repubblica Islamica dell’Iran. Forse rifornirsi delle risorse necessarie presso questi Paesi non comporta assumerne i contenuti culturali, come spesso accaduto con gli alleati in campo militare e presso i Paesi con modelli istituzionali stile Westminster.

Lo stesso discorso riguarda la Cina per la sua predominanza nell’offerta delle terre rare e nella produzione di componenti elettronici, personal computer, condizionatori e telefoni. O i Paesi occidentali cominciano una chiara riflessione sul ripiegamento del proprio modello economico-produttivo rispetto alla capacità innovativa dei Paesi emergenti (o già emersi come la Cina), oppure possono rifugiarsi dietro le raccomandazioni-imposizioni geo-politiche dei fidi alleati militari aspettando il tracollo. Ma intanto, componenti elettronici, personal computer, condizionatori e telefoni nelle case degli Italiani sono prevalentemente cinesi e non credo gli Italiani se ne siano né accorti né preoccupati nel frattempo.

L’altra questione sopra citata è la tenuta del mercato del lavoro tradizionale. L’innovazione tecnologica ha comportato una sua fluttuazione dovuta all’adeguamento dei processi produttivi e aziendali, cui non è ancora corrisposto un completo trasferimento di ruoli e competenze. Questioni del mercato interno, che qui non approfondisco se non per i riflessi geo-politici. Significa anche affrontare il tema dell’immigrazione, in particolare quella illegale. La domanda di lavoratori immigrati è forte soprattutto nelle aree industriali del nord e quella ortofrutticola del sud. È quindi una necessità economico-produttiva che ha poco a che fare con l’identità o la religione. E infatti anche il tema dell’integrazione non provoca grandi problemi ed è un tema sociale, ma non politico come invece è in Francia. La proiezione geo-politica è il rapporto con i Paesi di provenienza e di transito degli immigrati e la soluzione del controllo dell’immigrazione clandestina. In pratica, un opportuno allargamento del proprio sguardo oltre il mare che circonda la Penisola.

Lo stimolo proviene (così viene presentato all’opinione pubblica) dalla necessità di risolvere un fastidioso problema di politica interna che inevitabilmente ha dei riflessi di politica internazionale. Sullo sfondo, l’ormai persa influenza italiana in Libia, il controllo del traffico commerciale nel Mediterraneo, lo sfruttamento dei giacimenti marini di gas naturale (per cui occorre l’assenso del Presidente Sīsī, evidentemente ritenuto stile-Westminster), le ambizioni verso l’area sahelo-sahariana, dove l’influenza francese è macroscopicamente declinante dopo il fallimento delle campagne militari cosiddette anti-terrorismo.

L’Italia ha comunque proposto un suo piano geo-politico ancora in nuce: enfaticamente denominato Piano Mattei, potrebbe determinare un cambio di rotta da una politica interventista bellica richiesta dagli alleati occidentali (come quella esercitata in Iraq, Afghanistan e nell’ex Jugoslavia) ad una geo-politica civile basata sulla diplomazia e un nuovo concetto di cooperazione allo sviluppo. Forse un nuovo inizio anche per gli studi di geo-politica. Viceversa, potrebbero bastare gli esperti della Farnesina, di Leonardo e delle università.

 

V.S.: Che impatto hanno le teorie geo-politiche sulle decisioni dei leader del tuo Paese?

GLAUCO D’AGOSTINO: Completo anche il quadro della risposta alla domanda precedente. La collocazione dell’Italia al centro del Mediterraneo l’ha sempre proiettata verso le sponde limitrofe e antistanti. Da secoli il controllo dei mari ha rappresentato la cifra del potere di Venezia, sia commerciale sia marittimo. Dopo il Congresso di Berlino del 1884-85 l’Italia si era affacciata in Africa con l’acquisizione di proprie colonie e già prima della Prima Guerra Mondiale aveva conquistato la sponda libica, sfidando, più che il morente Sultanato Ottomano, la predominanza francese nel Maghreb e inglese sul mare. Durante il Ventennio, Roma, retoricamente tornata Imperiale, aveva consolidato il suo potere in Libia e guardato all’Egeo e ai Balcani.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia, sconfitta e priva di una volontà politica autonoma, non aveva tuttavia perso il suo ruolo geo-politico nel Mediterraneo proprio in virtù delle sue caratteristiche geografiche e politico-economiche. La Guerra Fredda la riportava in un ruolo cruciale proprio per il controllo non solo marittimo, ma del traffico aereo civile e militare, sebbene nel quadro di un’alleanza che non consentiva grandi alchimie geo-politiche. E tuttavia, proprio la sua spinta atavica corrispondente ad una necessità geo-politica l’aveva portata a giocare un ruolo decisivo per l’avvento di Gheddafi in Libia e per la deposizione di Bourguiba in Tunisia, ancora una volta indebolendo l’influenza degli alleati inglesi e francesi. L’apertura al mondo arabo-islamico degli anni ’80, tacitamente consentita dagli alleati americani fino all’episodio di Sigonella, è poi nota agli esperti, se non al grande pubblico.

Dagli anni ’90 il Mediterraneo ha perso la sua centralità per lo scampato pericolo sovietico. L’Italia, ormai marginale, è rimasta in balia della burocrazia di Bruxelles e, sul piano militare, al seguito degli alleati euro-atlantici nelle avventure “per i diritti umani” in Iraq e in Afghanistan, Paesi poco conosciuti dagli esperti occidentali nei loro elementi culturali e antropici e soprattutto terre lontane dal suo quadro geo-politico storico. Anzi, Roma fu costretta a partecipare all’invasione e contribuì a disfare la Libia del suo amico Gheddafi. La sua politica estera non è più guidata dagli interessi geo-politici. Viceversa, i poteri esecutivi oscillano tra il riconoscimento internazionale del governo di Tripoli (sotto l’egida turca) e l’ammiccamento al governo di Tobruk (sostenuto tra gli altri da Russia ed Egitto) avallato dalle massime cariche istituzionali italiane.

Da allora, l’atteggiamento della Farnesina è totalmente subordinato al volere della Casa Bianca, attraversando le contraddizioni dei suoi Presidenti, e intimidito da una Unione Europea che tenta di accaparrarsi la competenza di una politica estera comune, che non le compete e che i maggiori stati nazionali accordano formalmente pur perseguendo ognuno le loro agende geo-politiche. Covid e crisi di Ucraina mettono a nudo il grande bluff europeo, che mostra una effimera unità d’intenti sotto l’ombrello NATO, ma dove i disagi dissimulati si mischiano ai distinguo dei più coraggiosi. L’Italia, naturalmente, si adegua, senza affrontare minimamente i suoi interessi geo-politici, che sono principalmente energetici. Prossima possibile tappa? L’Indo-Pacifico, seguendo un’agenda euro-atlantica di stampo militarista che dalla difesa del Nord-Atlantico la condurrà agli antipodi per la difesa di interessi nazionali occidentali (?) ormai edulcorati e dissolti nella melassa di un globalismo ideologico funzionale ad interessi di cui Roma si spera sia consapevole. Ma cosa non si fa per i diritti umani?

Il Nuovo Mondo (Matthäus Seutter, 1744 circa)

V.S.: Ritieni opportuno collaborare con la rivista romena GeoPolitica su questi approcci?

Saremmo onorati di pubblicare le tue analisi sulle pagine della rivista!

GLAUCO D’AGOSTINO: Il magazine GeoPolitica pubblica già miei contributi da circa un decennio, da quando, nel 2014, ha ospitato un mio articolo sui rapporti geo-politici e religiosi tra Arabia Saudita e Iran. Da allora, i temi trattati hanno spaziato dall’architettura in Arabia Saudita e Pakistan alla salvaguardia dei siti storici simbolici durante le guerre, da analisi geo-politiche su Azerbajan, Mar Nero e Iran ai rapporti russo-iraniani e a quelli est-ovest del continente europeo.

Sempre ho apprezzato l’apertura della rivista all’accoglimento di argomenti, spesso spinosi e divisivi, da una prospettiva “altra”, che tiene conto anche di punti di partenza diversi da quelli offerti dalla maggior parte dei media. La professionalità dei suoi analisti geo-politici e l’incessante impegno per testimoniare e interpretare gli avvenimenti ne fa un punto di riferimento anche per tutti coloro che non limitano la propria visione a questioni strettamente nazionali e di parte.

Sarei quindi personalmente lieto e onorato di poter continuare a dare il mio contributo per un’iniziativa rilevante e apprezzabile come questa. Sono sicuro che l’ulteriore espansione in ambito internazionale potrà essere accolta con grande favore dagli analisti geo-politici.

 

V.S.: I nuovi cambiamenti tecnologici hanno portato all’emergere di nuove teorie geopolitiche come la GeoIntelligence: la geopolitica dell’informazione, che abbiamo promosso in Romania nel 2014; la Geopolitica dell’Intelligenza Artificiale: la quinta dimensione della geopolitica (2019); e l’Esopolitica: la geopolitica dello spazio come sesta dimensione geopolitica (2021), teorie che sono state presentate sulle pagine della rivista GeoPolitica.

Come valuti queste teorie?

Nell’ambiente accademico del tuo Paese ci sono queste preoccupazioni?

GLAUCO D’AGOSTINO: Al summit del Trade and Technology Council del 2021, Stati Uniti e Unione Europea hanno dichiarato la loro contrarietà all’Intelligenza Artificiale per possibili utilizzi contrari ai diritti umani. Manifestavano significative preoccupazioni che governi autoritari attraverso l’IA stiano pilotando sistemi di classificazioni tali da implementare il controllo sociale su larga scala. Il messaggio è chiaro e va interpretato apertamente. L’Occidente non è leader in questa tecnologia d’avanguardia. Quello a cui si è dedicato per più di 30 anni attraverso l’uso dei media di massa, cioè il controllo sociale, non può essere dominato da un suo concorrente geo-politico, in pratica la Cina.

L’argomento è nobile e serio, un po’ meno le motivazioni, che sono come al solito strumentali e auto-referenziali. Come dire, il controllo di massa è prerogativa delle democrazie. Solo che questa volta il salto tecnologico viene da Oriente e questo ha dei riflessi geo-politici importanti, così come lo ha avuto l’utilizzo dell’energia atomica negli anni ’40 del secolo scorso. Dipende, appunto, da come si adopera la tecnologia. E questo, a sua volta, non dipende dall’assetto istituzionale né dal rispetto dei diritti umani, visto l’esito che ha condotto 78 anni fa verso il più grande crimine contro l’umanità.

Dunque, una prima riflessione. La tecnologia non si arresta difronte a preoccupazioni etiche, che tra l’altro sono utilizzate a fasi alterne e secondo interpretazioni di convenienza. Un mancato impiego dell’IA avrebbe conseguenze geo-politiche negative e dunque non se ne può fare a meno. Semmai il problema è il controllo e la regolamentazione del suo sviluppo, il pericolo della sostituzione dei processi decisionali, devoluti alle macchine piuttosto che al giudizio umano, l’adeguamento dei canoni comportamentali e sociali ai nuovi parametri che saranno via via introdotti, il cambiamento di modelli politici e burocratici che siano funzionali ai nuovi obiettivi. In pratica, chi controlla l’IA può effettivamente condizionare modelli sociali ed economici a proprio vantaggio.

Ma, anche senza l’IA, non è stato così sin dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa e dei social media? Il pericolo del controllo sociale da parte dei gestori sostenuti dall’impulso delle istituzioni lo abbiamo avuto e l’abbiamo tuttora. Non mi pare che ci sia stato un forte contrasto al fenomeno. Anzi. Certo, l’introduzione dell’IA è un salto di qualità notevole, ma come tutte le innovazioni tecnologiche introdotte nella storia, a cominciare da quella, sconvolgente all’epoca, della ruota, con tutti i suoi risvolti geo-politici di quell’antica era, come l’inizio dei movimenti di massa di persone e merci.

Oggi il controllo da remoto, precursore dell’IA, ha già cambiato la geo-politica. Sul piano militare, l’U.S. Africa Command controlla da Stuttgart i cieli dell’intera Africa. Il traffico marittimo civile si svolge in tutto il mondo sotto il controllo satellitare che identifica anche le strategie e le modalità per la sicurezza. L’IA amplifica in maniera esponenziale la velocità e la qualità delle prestazioni e il computer quantistico cambierà connotati e significato di queste attività di controllo. Il confronto geo-politico si svolgerà sempre sul piano della concorrenza e sui tempi di acquisizione e sviluppo della nuova tecnologia. Forse il soggetto detentore del potere di condizionamento non sarà più unico e ci si avvierà verso un mondo multipolare.

È questa nuova situazione che spaventa chi fino a ieri deteneva questo potere monocratico. Ma il pericoloso gioco della politica internazionale si costruisce sulla concorrenza, che non è detto debba tradursi sempre in esercizi bellici sulla pelle dei proxy, anche perché questa impostazione non paga sul lungo periodo. Dipende dalle geo-strategie e, come opportunamente segnala la domanda, da nuove discipline più specialistiche come la GeoIntelligence fino alla geopolitica dello spazio. La guerra dei mondi? Solo se la geo-politica si identificherà come arte militare.

 

V.S.: Per favore, specifica l’impatto della geo-politica sulle relazioni internazionali, sulla strategia militare, sull’economia, sulle risorse energetiche e sulla sicurezza del tuo Stato!

Mappa di parte dell’Impero di Russia e della Polonia meridionale (Jäger, 1769, Collezione Koninklijke Bibliotheek)

GLAUCO D’AGOSTINO: La geo-politica ha il compito di individuare e suggerire le priorità su cui si muove l’azione politica internazionale. Credo che certi ambienti istituzionali italiani, trattando di delicati affari militari, di bilanci delle multinazionali e della ricostruzione postbellica (per l’Ucraina si sono già candidati il Ministero degli Esteri e le imprese industriali), non abbiano bisogno di studi così approfonditi. Soprattutto non necessitano di proiezioni temporali di lungo respiro. Basta seguire l’andamento giornaliero delle borse, di cui sono esperti i finanzieri di stato d’alto bordo, che spesso finiscono per conquistare le più alte cariche istituzionali non solo nazionali. Per le priorità di lungo respiro, c’è tempo. Intanto, mentre la Cina di Xi lavora con l’orizzonte 2049, Roma insegue l’agenda giornaliera dettata dagli amici alleati in Europa e oltreatlantico. Poi si vedrà. Molto dipenderà dal prossimo inquilino alla Casa Bianca. L’Italia ne prenderà atto e adeguerà di conseguenza la propria politica giornaliera.

Detto questo, non voglio semplificare troppo un argomento complesso e di cui credo di aver dato la mia opinione nelle risposte precedenti. La dipendenza che diffusamente ho indicato come fattore limitante non ha impedito, spesso in passato, azioni strategiche dettate da visioni geo-politiche. Si è già parlato dell’azione diplomatica nel Mediterraneo durante la Guerra fredda. Ma altri interventi di politica estera sono stati compiuti nell’ottica di una geo-politica accorta e coinvolgente: missioni di peacekeeping, con la presenza determinante di contingenti italiani di alta professionalità come nel Libano meridionale e a Timor est, ma anche azioni diplomatiche risolutive per la conciliazione interna di Paesi africani come il Mozambico. Quest’ultima è stata un’iniziativa della Comunità di S. Egidio, associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio, che comunque ha un ruolo di stimolo apprezzabile anche nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica italiana verso alcuni temi di carattere socio-politico globale.

Frutto della geo-politica italiana è sicuramente la proiezione internazionale della sua industria energetica, di cui si è già parlato precedentemente, ma di cui voglio ricordare alcuni esempi rilevanti proprio in merito all’importanza della geo-politica:

  • l’attività dell’ENI in Kazakhstan, che rappresenta la manifestazione dell’interesse nazionale verso l’Asia e lo sviluppo del concetto di Eurasia;
  • il progetto South Stream, il cui Memorandum d’Intesa fu siglato a Roma nel 2007 tra l’ENI e la russa Gazprom per trasportare il gas naturale della Federazione Russa attraverso il Mar Nero verso l’Europa;
  • il Trans Adriatic Pipeline (TAP) per il trasporto di gas naturale dall’Azerbaijan all’Italia.

Mappa dei dintorni del Mar Nero: Circassia, Georgia e confini della Russia europea e della Turchia (Didier Robert de Vaugondy, 1769)

Il Progetto South Stream è abortito per motivi politici in seguito al deteriorarsi delle relazioni euro-atlantiche con Mosca e con il contributo determinante della burocrazia di Bruxelles. Il TAP, costruito dal 2016 e già operante dal 2020, rinsalda invece le relazioni con il mondo turcofono e apre all’Asia Centrale. Le considerazioni geo-politiche sono, a parte l’insicurezza delle episodiche scelte italiane, che la politica energetica delle nazioni ha bisogno di una programmazione di lungo termine perché impatta sulle relazioni con i Paesi produttori. Se uno dei mercati di riferimento per l’Italia è l’Asia Centrale, non si può restare ingabbiati nel gioco dei veti e delle sanzioni. Occorre una politica per l’Asia Centrale e buoni rapporti con Russia e Cina, che dominano quell’area da molti punti di vista, e con la Turchia che esprime un’egida culturale sulla popolazione a maggioranza turcofona. Si sarebbe dovuto trarre un bilancio di una guerra condotta in Afghanistan per venti anni contro una fazione interna di un’etnia a noi non gradita e si sarebbe dovuto innescare in tutto il Paese un dibattito con riflessioni proprio di natura geo-politica. Silenzio.

 

V.S.: Infine, invia un messaggio allo staff di GeoPolitica e ai nostri lettori!

GLAUCO D’AGOSTINO: Al di là degli apprezzamenti già espressi, il messaggio che mi sento di inviare è la testimonianza di una vicinanza, oltre che al magazine, alla sensibilità del popolo romeno. Non mi stupisce affatto la comprensione che ho trovato nella sua accoglienza. I sentimenti che mi legano all’Est europeo sono sostenuti dalle mie esperienze, che segnano proprio lì il mio debutto nell’interesse per le problematiche internazionali. Da allora, l’imprinting culturale mi impedisce di trascurare quel mondo così complesso e affascinante che non può ridursi semplicemente a mercato di consumo.

Tutto questo sembra sfuggire ai principi della geo-politica soltanto per coloro che la inscrivono nell’ambito delle scienze economiche finalizzate al “dominio”. Non sorprendentemente trovo interlocutori sensibili ed aperti nel mondo dell’Est europeo, area di incrocio geo-politico fondamentale per il continente euro-asiatico, ma anche area di cultura, storia, tradizioni. E questa interlocuzione la trovo sul terreno del rapporto con l’Islam in un’area, quella balcanica, particolarmente difficile per i trascorsi storico-politici e religiosi. In pratica, la sintesi dei miei interessi culturali e di proiezione esistenziale.

L’ultima considerazione.

Le mie origini sono nel Sud Italia, terra che intreccia culturalmente la visione bizantina e ortodossa del mondo e quella arabo-islamica. Non si tratta di una rivendicazione storico-politica o identitaria, anche perché parte della mia formazione si è sviluppata prevalentemente nel mondo occidentale e anglosassone. Si tratta di porre al centro dell’attenzione dei decisori che esistono impostazioni culturali e comportamentali dei popoli con cui bisogna fare i conti quando si impostano visioni geo-politiche. Con rispetto e al di là delle velleità cosmopolite. Anche questa è geo-politica.

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