Emergenza coronavirus: “Segni dei Tempi” e “quarantena dal nostro ego”

Cosa dobbiamo e possiamo imparare da momenti come questo

Islamic World Analyzes propone qui alcuni brani di un articolo pubblicato il 19 marzo su Sacrum et Polis, il sito del Centro Studi Metafisici, in memoriam René Guénon.

di Yusuf Abd al-Hakim Carrara*

L’attuale situazione che il mondo si trova ad affrontare, a seguito della pandemica diffusione del coronavirus sta modificando profondamente non solo le condizioni concernenti la nostra salute, ma la vita stessa nella sua totalità.

Non potendo e volendo entrare nel campo più strettamente medico-scientifico, tali condizioni  tuttavia ci potrebbero e dovrebbero portare  anche a considerare altri aspetti che investono l’essere umano nella sua interezza e che non possono non portare ad una riflessione sulla sua natura, il suo destino in una prospettiva che in  questo spazio qualifichiamo come dimensione sacrale e principiale in rapporto alla società e al quotidiano.

Dal rapido evolversi della situazione appare già evidente come la gravità  derivata dall’emergenza sanitaria riverberi e moltiplichi situazioni critiche in ogni ambito; gli effetti e i danni derivanti rischiano ormai di divenire quasi più pericolosi della stessa causa che li ha generati.

Il mondo così concepito e costruito si è accorto di essere debole e attaccabile, perfino da un microscopico organismo, molte certezze vacillano, per molti che riponevano fiducia in un futuro sempre migliore è uno shock e la ricerca di una tranquillità esistenziale, già per altro continuamente intaccata da altri drammatici avvenimenti, entra in crisi.

Gli accadimenti planetari sembrano infatti verificarsi e accumularsi in una accelerazione raramente osservata. Citiamo perciò volentieri le parole di Papa Francesco quando afferma che più che di “un’epoca di cambiamenti” si stia assistendo piuttosto ad “un cambiamento  d’epoca”.

Questa osservazione sembra richiamare per alcuni aspetti le considerazioni sulla “fine di un mondo” presente nell’opera del grande metafisico francese Réne Guénon, sul principio tradizionale dei cicli cosmici che si susseguono nella manifestazione più esteriore del Principio che li crea.

René Guénon (foto pubblicata da Jean-Baptiste Malfilâtre)

L’umanità nella concezione tradizionale non  si sviluppa in un’evoluzione costante ma attraverso cicli che hanno un loro inizio ed un loro termine, in una Creazione che alcuni maestri islamici direbbero, si rinnova ad ogni istante, per cui più che di fine del mondo è più corretto parlare di fine di un mondo.

Mettiamo infatti subito da parte, e su certi argomenti è importante precisarlo, ipotesi catastrofiste e millenarismi pseudo-apocalittici, ma al tempo stesso non evadiamo la difficile situazione sanitaria creatasi in maniera superficiale, derubricandola come una mera anomalia accidentale e unica nel suo genere.

L’uomo religioso deve sempre  saper cogliere, oltre la superficie direttamente visibile , quei “segni dei tempi” propri di ogni fase della storia comprendendo dunque anche l’aspetto propriamente meta-storico.

(…)

Naturalmente la storia ci ha insegnato ed abituato a continui mutamenti  e sconvolgimenti ma essa, lo stesso Guénon ce lo insegna, non si ripete mai uguale a se stessa poiché le possibilità di manifestazione si susseguono in continuazione ed ogni evento o fenomeno ha una precisa e propria corrispondenza temporale collegata al momento ciclico che si sta attraversando.

Una osservazione che si potrebbe fare è che nel passato determinati accadimenti negativi erano vissuti in una prospettiva escatologica e di fede. L’uomo credeva effettivamente in segni ed atti “soprannaturali”, nella corretta accezione del termine , e in ciascun individuo era presente il principio di una sacralità della terra che era percepita in comunione con l’uomo ed il cielo che, come ci insegnano le tradizioni estremo-orientali, realizza  l’unita e il collegamento tra la dimensione inferiore, orizzontale, con quella superiore, verticale. Ora tutto è concepito invece in una dimensione materiale e meccanicistica che ci rende incapaci di una consapevolezza superiore, non vi è luce, prospettiva, la ”Amana”, il deposito sacro della tradizione islamica, il deposito spirituale affidato da Dio all’uomo il quale non ne è che l’amministratore vicario (Khalifa) non appariva in epoche precedenti “ritirato” o addirittura quasi scomparso come in questi tempi, sostituito dagli uomini con un progresso sociale, economico, tecnologico-scientifico innegabile ma che tuttavia non elimina le incertezze, le paure e le domande ultime dell’essere umano ma anzi diviene esso stesso parte del problema.

(…)

Provvedimenti a ragione intrapresi di fronte ad una così forte emergenza sembrano però anche in questo caso far cadere emblematicamente gli ultimi veli, quasi che l’uomo non sia più nelle condizioni di guadagnarsi questo collegamento superiore. Vi è nascostamente una dimensione di indifferenza per ritualità e preghiere vissute ormai in genere più come inutili intralci che come autentici momenti di apertura e influenza spirituale di cui poter beneficiare comunitariamente. Privato di questa dimensione, l’affermarsi di un “individualismo assoluto” e autosufficiente può divenire un pericolo evidente.  A dispetto di questo atteggiamento è da sottolineare invece che vi può essere anche una dimensione di “sacrificio” nell’astenersi dai riti collettivi in favore di una preghiera nelle proprie case  che possa mantenere vivo il ”fuoco sacro”. Questo sacrificio si affianca al dovere civico continuamente evocato in questi giorni, in una qualità però ancor più elevata.

(…)

Un approccio invece interessante anche sul pericolo di questa malattia, sarebbe quello autenticamente escatologico, che tratta e comprende la “crisi” come “rivelazione”, cioè come possibilità rinnovata di conoscenza e svelamento. È questo, tra l’altro, il significato del termine “apocalissi”, il quale rimanda proprio al gettare via ciò che copre, al togliere il velo. E in effetti si potrebbe forse utilmente cercare di scoprire che la malattia odierna, come la peste stessa del passato, non sia da interpretare come la catastrofe che annichilisce la realtà delle cose, la loro verità e stabilità; all’opposto essa sarebbe l’evento che svela le falsità, le illusioni agenti fino a quel momento nell’umanità, nei rapporti sociali, nella gestione della vita e del mondo, velate allo sguardo disattento dell’uomo stesso, indaffarato e preso dalle mille questioni dell’ordinario. Così anche la malattia, come lo squilibrio, l’insicurezza di qualsiasi crisi, potrebbe essere interpretata, secondo una visione più elevata, come quel “niente” apparente e non-ordinario che però può essere in grado di svelare alla nostra consapevolezza interiore quell’altrettanta pochezza che rende arido, anonimo e sterile, a causa della sua “caduta”, l’animo umano, i suoi rapporti, il suo modo di abitare il reale.

(…)

Vorremmo inoltre far notare  che stiamo realizzando una situazione di difficoltà e pericolo anche perché ora tutto questo è arrivato qui nel nostro mondo occidentale moderno, siamo noi ad essere direttamente sotto attacco, ma vi sono intere aree del mondo dove emergenze di questo tipo sono delle drammatiche realtà da decenni e che la nostra miopia euro-centrica non coglie che marginalmente. Pare proprio che l’uomo cosiddetto evoluto, per imparare debba per forza sempre vivere direttamente le cose attraverso segni che si manifestano in tutta la loro potente realtà.

(…)

Nella tradizione islamica  è citata frequentemente l’espressione “tenersi attaccati alla corda di Dio” che sembra ricordarci quell’Asse verticale che unisce la Terra al Cielo, il raggio che ci unisce al Centro rivelando il vero senso di questa esistenza anzi, per meglio dire, rendendo possibile l’esistenza stessa di questa vita.

Nell’affrontare la realtà nella sua autentica verità, crediamo vi sia l’unica prospettiva davvero utile per superare le prove che ci sono date in questa vita, in questo mondo  e per l’altro.

 

* Vice-Presidente della Co.Re.Is. (Comunità Religiosa Islamica Italiana)

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