In attesa della proclamazione dell’Emirato Islamico
La bandiera bianca del jihād con la Kalima sventola ora sul Palazzo Presidenziale. Come già gli Americani, in fuga l’ex Presidente Ashrāf Ghani, mentre la popolazione accoglie i liberatori. In imbarazzo tutti i governi dei Paesi dell’Occidente e la NATO per la cocente sconfitta. Anche l’ONU balbetta parole di pace, dimenticando di avere avallato nel 2001 una feroce guerra durata 20 anni. Fuori gioco gli analisti internazionali e i giornalisti proni ai rispettivi regimi, che avevano etichettato i Tālibān terroristi e oggi, ingabbiati in questa camicia di forza nominalistica, tentano una veloce arrampicata sugli specchi comunicandoci che loro, i Tālibān, sono cambiati, ma con gli stessi leader di prima. Forse, in quanto forze di liberazione, non erano terroristi neanche prima. Viceversa il mondo una cosa l’ha imparata. Non c’è limite al servilismo.
di Glauco D’Agostino
Islamic World Analyzes rivendica oggi le posizioni che, da sola nel mondo occidentale, ha mantenuto dalla sua prima pubblicazione. Migliaia di analisti, giornalisti, scrittori hanno dimostrato la loro inconsistenza in quanto a competenza e etica. I titolati onorifici ed accademici, i Premi Nobel, i think-tank finanziati dai governi e dunque succubi della propaganda degli Stati, gli attivisti di regime, i terminali degli inefficienti servizi di sicurezza, i diffusori di odio di cui non si accorgevano i social network, le associazioni umanitarie che chiudevano gli occhi sui danni collaterali dei bombardamenti occidentali, i prezzolati propagandisti della civiltà occidentale che considerano il mondo una sua dipendenza, gli ideologi di destra e di sinistra pronti all’inchino verso governi cinici e artefici della disintegrazione di interi Paesi (la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria, lo Yemen, guarda caso tutti a maggioranza musulmana) tentano un distinguo rispetto alle responsabilità americane. Troppo facile. Le responsabilità ricadono su tutti coloro che hanno servilmente appoggiato quelle posizioni, a cominciare dalle leadership politiche e militari dei singoli Paesi occupanti.
“I Tālibān stanno dominando ora e spero che il dominio sia forte e per il bene della nazione afghana”. Sono parole di Hāmid Karzai, già Presidente dell’Afghanistan dal 2001 al 2014, appartenente alla tribù Durrānī che ha espresso la Monarchia afghana tra il XVIII e il XIX secolo e notoriamente legato a Moḥammad Ẓāhir Shāh, l’ultimo Re d’Afghanistan fino al 1973. Quelle parole indicano l’accettazione della nuova situazione da parte di chi aveva servito la Nazione sotto il dominio occidentale e che oggi riconosce la vittoria dei Tālibān.
Totalmente fuori controllo la Casa Bianca. Mentre Biden aveva annunciato pochi giorni fa che la presa di Kabul sarebbe avvenuta nell’ambito di qualche mese, lo sprovveduto Segretario di Stato Antony Blinken annuncia addirittura la vittoria sui Tālibān. Il povero diplomatico newyorkese crede ancora che la propaganda americana abbia qualche credibilità nel mondo. La “fiesta” è finita, ma lui non se ne accorge e naturalmente fa infuriare gli Americani che in questa guerra inutile hanno sofferto la perdita di migliaia di uomini.
Da parte sua, ‘Abdul Ghani Baradar [al centro nella foto sotto], co-fondatore dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan e già Vice dell’Emiro Mullāh Moḥammed ‘Omar, ha detto: “Ora verrà mostrato come possiamo servire la nostra Nazione. Possiamo assicurare che la nostra Nazione abbia una vita pacifica e un futuro migliore”.
Di certo, in questi giorni l’Afghanistan ha ritrovato una maggiore sicurezza rispetto agli ultimi venti anni. Risibili e ingiuste le accuse ai militari afghani. Nello scarico di responsabilità tipica della mentalità occidentale, Jens Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO sconfitta, e molti esponenti politici e militari dei Paesi scacciati dal territorio afghano incolpano l’Esercito locale di non aver contrastato abbastanza il nemico. Di grazia, quale Esercito? La finzione di una truppa locale efficiente è servita soltanto a mascherare un apparato di occupazione potentissimo i cui costi esorbitanti sono ricaduti sui cittadini dei rispettivi Paesi. Oggi la colpa sarebbe dell’inefficienza di una Forza Armata che a stento veniva mobilitata quando serviva. E poi quella Forza Armata è stata addestrata (almeno sulla carta e a beneficio dei budgets taroccati) per 20 anni proprio dai miltari occupanti. Questo ragionamento si può fare dopo qualche settimana, non dopo 20 anni e oltre 170 mila morti.
Queste vittime impongono una richiesta di danni di guerra che i Paesi sconfitti dovrebbero concedere per lo meno per senso di onore. E invece si continua a temere che il Paese possa aprire al terrorismo e all’oppressione della sua popolazione. E a proposito di diritti umani, non sembra che le donne col burkha siano sparite; e se volete sapere quante ragazze adolescenti sanno leggere dopo 20 anni di presenza occidentale, leggete le statistiche appena pubblicate dall’Associated Press: il 37%. Grazie, Occidente, per una guerra che gli organi elettivi degli Stati Uniti non avevano neanche votato.
Forse lo scaricabarile di queste ore può fare emergere diverse cose che né analisti né la stampa impegnata hanno mai toccato. Di certo non verrà mai a galla lo scandalo della coltivazione di oppio per la produzione di sostanze stupefacenti, che durante l’occupazione internazionale è cresciuta a dismisura. Come dire, dal produttore al consumatore senza intermediari, senza rischi e con protezione sicura. Per questo lo scaricabarile giunge a tal punto da sottolineare oggi che le forze internazionali, dopotutto, controllavano le città e non il territorio. Delle due l’una. Se non controllavano il territorio, le missioni internazionali erano simili ad una festa da ballo. Se lo controllavano (come indicano le mappe delle province distribuite per dimostrare l’efficienza delle truppe occupanti), allora sorgono delle domande: chi coltivava l’oppio e soprattutto come veniva esportato? Ma non credo che all’ONU sarà mai promossa una commissione d’inchiesta indipendente per indagare su questo. Sarebbe pericoloso integralismo.
Per ricordare la costanza di valutazione tenuta da Islamic World Analyzes e dal presente autore, si sottolineano i seguenti articoli e pubblicazioni:
- https://www.islamicworld.it/wp/taliban-colloqui-con-iran-su-afghanistan-post-americano/;
- https://www.islamicworld.it/wp/afghan-taliban-territorial-and-social-rooting-that-bothers-usa/;
- https://www.islamicworld.it/wp/iwa-monthly-focus-19/;
- https://www.islamicworld.it/wp/taliban-afghani-obama-e-karzai-a-favore-dellistituzione-di-una-rappresentanza-in-qatar/);
- D’Agostino, Glauco (2013). La lunga marcia dell’Islam politico. Contropotere, rinnovamento religioso e dinamismo militante (The Long March of Political Islam). Rome, Italy: Gangemi;
- D’Agostino, Glauco (2010). Sulle Vie dell’Islam. Percorsi storici orientati tra dottrina, movimentismo politico-religioso e architetture sacre (Historical and Architectural Itineraries across the Muslim Countries). Rome, Italy: Gangemi.