Elaborazione da fonte: Hurriyet Daily News, Sunday, May 26 2013
Le autorità birmane dello Stato occidentale di Rakhine (già Arakan) hanno imposto un limite di due figli per le famiglie musulmane di etnia Rohingya, politica che non si applica ai Buddhisti della zona e interviene tra accuse di pulizia etnica all’indomani del verificarsi di violenze settarie.
Sabato scorso funzionari locali hanno detto che la nuova misura dovrebbe essere applicata a Buthidaung e Maundaw, due città del Rakhine al confine con il Bangladesh che hanno le più alta concentrazione di popolazione musulmana dello Stato, circa il 95 per cento. Ma in ogni caso rappresentano solo il 4 per cento dei circa 60 milioni di abitanti del Myanmar.
Il Myanmar non include i Rohingya tra le sue 135 etnie riconosciute e li considera immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh, negando loro la cittadinanza. A sua volta, il Bangladesh risponde che i Rohingya hanno vissuto in Myanmar per secoli e dovrebbero essere riconosciuti come cittadini. La politica di limitazione demografica non si applica ancora in altre parti dello Stato di Rakhine che hanno popolazioni musulmane meno numerose.
L’ordine insolito rende il Myanmar forse l’unico Paese al mondo a imporre tale restrizione su un gruppo religioso e rischia di alimentare ulteriormente la critica che i Musulmani sono oggetto di discriminazione nel Paese a maggioranza buddhista. La Cina ha una politica del figlio unico, ma questa non è basata sulla religione e eccezioni si applicano a gruppi etnici minoritari. L’India ha per breve tempo praticato la sterilizzazione forzata degli uomini a metà degli anni ’70, nel tentativo di controllare la popolazione, ma una protesta a livello nazionale ha costretto rapidamente a chiudere il programma.
Win Myaing, portavoce dello Stato di Rakhine, ha detto che il nuovo programma è stato pensato per arginare la rapida crescita della popolazione nella comunità musulmana, che una Commissione nominata dal governo ha individuato come una delle cause della violenza settaria. Ha aggiunto che la misura è stata emanata una settimana fa dopo che la Commissione aveva raccomandato programmi di pianificazione familiare per arginare la crescita della popolazione tra i musulmani. Inoltre, la Commissione aveva raccomandato di raddoppiare il numero delle forze di sicurezza nell’instabile regione. “La crescita della popolazione musulmana Rohingya è 10 volte superiore a quella del Rakhine (a maggioranza buddhista)” ha detto ancora Win Myaing. “La sovrappopolazione è una delle cause di tensione”. Win Myaing ha anche specificato che le autorità non hanno ancora deciso come dovranno essere applicate le misure, le quali includono il divieto di poligamia.
Il governo centrale non ha fatto alcuna dichiarazione circa la politica di due soli figli, che è stata introdotta a livello locale. La richiesta di commenti inviata sabato scorso a due portavoce di governo non ha avuto immediata risposta, ma il funzionario del Rakhine Myo Than ha dichiarato che tutte le politiche locali richiedono “il consenso da parte del governo centrale”.
La prima violenza settaria in Myanmar divampò quasi un anno fa nello Stato di Rakhine tra Buddhisti e Musulmani Rohingya della regione. Folle di Buddhisti armati di machete rasero al suolo migliaia di case di Musulmani, lasciando centinaia di morti e costringendo 125 mila persone a fuggire, per lo più musulmani.
Testimoni e gruppi per i diritti umani dicono che la polizia antisommossa non si muoveva quando le folle attaccavano i Musulmani e bruciavano i loro villaggi. Human Rights Watch ha accusato le autorità del Rakhine di fomentare una campagna organizzata di “pulizia etnica” contro i Rohingya. Dal momento di quelle violenze, l’inquietudine religiosa si è tramutata in una campagna contro le comunità musulmane di altre regioni del Paese.
Il contenimento del conflitto ha posto una seria sfida al governo riformista del Presidente Thein Sein, che tenta di introdurre riforme democratiche dopo quasi mezzo secolo di governo militare. Inoltre, la vicenda ha offuscato l’immagine della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, che è stata criticata per non essersi espressa con forza in difesa della comunità musulmana assediata.