“Non ci sono mostri. Ci siamo solo noi”.
di Joseph Margulies*
Libera traduzione da: The New York Review of Books, September 28, 2018, 7:00 am
Ho difeso uomini e donne nel braccio della morte per quasi tutti i miei trenta anni da avvocato e ho rappresentato persone coinvolte negli eccessi della “guerra al terrore” sin da quando la guerra è stata sferrata. Per più di un decennio sono stato l’avvocato di Zayn al-’Abidin Muḥammad Ḥuseyn [cittadino saudita, N.d.T.], meglio conosciuto come Abū Zubaydah [nella foto sopra, N.d.T.]. Abū Zubaydah è stata la prima persona rinchiusa in uno dei “siti neri”, le carceri clandestine gestite in tutto il mondo dalla CIA dall’inizio del 2002 alla fine del 2006. È stato il primo prigioniero ad avere il suo interrogatorio “migliorato” e l’unica persona sottoposta a tutte le tecniche di interrogatorio approvate dal DOJ [Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America, N.d.T.] in un numero che non è mai stato approvato (inclusa, ad esempio, la reidratazione rettale [infusione rettale senza necessità medica documentata, N.d.T.]). Il memorandum sull’infame tortura era, infatti, scritta specificamente per legittimare la tortura di Abū Zubaydah.
Al momento della sua cattura, e successivamente per anni, funzionari del governo si sono impegnati a demonizzare Abū Zubaydah per giustificare gli abusi. “L’altro giorno,” annunciò il Presidente George W. Bush a una raccolta repubblicana di fondi nell’aprile 2002, “abbiamo incarcerato un ragazzo di nome Abū Zubaydah. È uno dei migliori operativi che congiura e pianifica la morte e la distruzione negli Stati Uniti. Non sta più congiurando e pianificando. È nel posto cui appartiene”. Diversi alti funzionari dell’Amministrazione hanno descritto Abū Zubaydah in termini relativamente pittoreschi.
Queste dichiarazioni, tuttavia, non sono ciò che ha messo in moto lo scandalo sulla tortura. Per questo possiamo ringraziare una “valutazione psicologica” scritta da anonimi agenti della CIA e inviata via fax a John Yoo, l’avvocato del Dipartimento di Giustizia [Vice Procuratore Generale presso l’Ufficio del Consulente Legale, N.d.T.] che è stato l’autore principale del memorandum sulla tortura. Questo documento descriveva Abū Zubaydah come “il terzo o quarto uomo di al-Qāʿida” e “un alto luogotenente di ʾUsāma bin Lādin” che era stato “coinvolto in tutte le principali operazioni terroristiche di al-Qāʿida” ed era “un pianificatore dei dirottamenti dell’11 settembre”. “Ha gestito una rete di campi di addestramento [di al-Qāʿida]”, “ha diretto l’avvio di una cellula di bin Lādin in Giordania” e “servito come coordinatore di al-Qāʿida di contatti esterni o comunicazioni straniere”. Era anche accusato di essere “impegnato nella pianificazione del terrorismo in corso contro gli interessi degli Stati Uniti”. In aggiunta, aveva presumibilmente scritto il “manuale sulle tecniche di resistenza” dell’organizzazione e aveva una particolare esperienza nell’ostacolare interrogatori convenzionali. È stata questa la valutazione che ha fornito a Yoo i “fatti” necessari per legalizzare l’illecito e razionalizzare l’impensabile.
E così Abū Zubaydah è stato torturato. Per quanto ripetuta, la litania di questa tortura è ancora scioccante. I suoi rapitori lo scagliavano contro i muri e lo stipavano in scatole e lo sospendevano su uncini e lo contorcevano in forme che nessun corpo umano può assumere. Lo tenevano sveglio per sette giorni e notti consecutive. Lo rinchiudevano per ore in una stanza gelata. Lo lasciavano in una pozza della sua stessa urina. Gli legavano saldamente le mani, i piedi, le braccia, le gambe, il tronco e la testa a una tavola inclinata, con la testa più in basso dei suoi piedi. Gli coprivano la faccia e gli versavano acqua su per il naso e giù per la gola finché non cominciava a respirare acqua, così che si strozzava e si sentiva soffocare mentre si riempiva i polmoni. Poi i suoi aguzzini lo lasciavano sforzare contro le cinghie mentre cominciava a soffocare. Ripetutamente. Fino a quando, proprio quando credeva di morire, alzavano la tavola fino al punto da fargli vomitare l’acqua. Poi abbassavano la tavola e ricominciavano. Solo nell’agosto 2002 i torturatori lo hanno sottoposto a questo trattamento almeno 83 volte. In almeno una di queste occasioni hanno aspettato troppo a lungo e Abū Zubaydah è quasi morto sulla tavola.
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I “fatti” sopra raccontati per giustificare questa tortura erano tutti falsi. Abū Zubaydah non era luogotenente di ʾUsāma bin Lādin. Non rivestiva alcuna carica in al-Qāʿida, di vertice o meno. Non aveva avuto alcuna parte l’11 settembre o in altre operazioni di al-Qāʿida. Non aveva gestito una rete di campi di al-Qāʿida, avviato una cellula di al-Qāʿida in Giordania, né gestito le comunicazioni esterne di al-Qāʿida. Non aveva redatto alcun manuale di resistenza, per al-Qāʿida o chiunque altro, e non aveva alcuna abilità specifica nel resistere agli interrogatori.
Il governo non sostiene più che queste asserzioni siano vere e ora riconosce che Abū Zubaydah non è mai stato un membro di al-Qāʿida.
Questa è stata la conclusione del Comitato Ristretto del Senato per l’Intelligence, che ha intrapreso lo studio più meticoloso dello scandalo della tortura fino ad oggi, pubblicando infine un riassunto di 500 pagine delle sue conclusioni. I redattori hanno esaminato oltre sei milioni di pagine di documenti contemporanei, dalla CIA e da altre fonti, e hanno concluso che non vi era alcun supporto per nessuna di queste affermazioni. Allo stesso modo la CIA ha ammesso l’errore e ora afferma che Abū Zubaydah non faceva parte di al-Qāʿida. Questa è anche la conclusione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha rimosso Abū Zubaydah dal suo elenco di sanzioni allo Stato Islamico e al-Qāʿida, sulla base della precedente raccomandazione dell’Ombudsman [Difensore Civico e Mediatore, N.d.T.] dell’ONU, che allo stesso modo ha concluso che Abū Zubaydah non era un membro di al-Qāʿida. E anni fa il Dipartimento di Giustizia ha ritirato tutte le accuse secondo cui Abū Zubaydah avrebbe avuto un collegamento con gli attacchi dell’11 settembre o qualche ruolo nel terrorismo di al-Qāʿida.
Quando lo faccio notare, molte persone chiedono se stia sostenendo che Abū Zubaydah è “innocente”. Qui intendono l’innocenza nel senso hollywoodiano – del tipo luogo sbagliato-tempo sbagliato che ha acquisito tanta presa nella vita americana. Devo sostenere che Abū Zubaydah è innocente?
Questa preoccupazione per l’innocenza del mio cliente mi ricorda le conversazioni che ho spesso avuto sulla pena di morte. La domanda che molte persone si fanno quando riflettono sulla pena di morte è se lui (è quasi sempre un lui) “l’ha fatto”. Altre domande – sui limiti del potere statale, l’equità della pena e la legittimità del procedimento – semplicemente non sorgono. Non hanno importanza a condizione che l’imputato abbia commesso il reato. Il semplice fatto della colpa sostituisce qualsiasi scrupolo costituzionale.
Ora abbiamo portato questo orientamento al nuovo mondo che una volta avevamo designato “post-11 settembre”, ma che ora accettiamo semplicemente come normale. Poiché la demonizzazione dell’Islam radicale è stata accettata acriticamente da una parte significativa della popolazione e da un gran numero di nostri funzionari eletti, vi è un accordo diffuso (sebbene non universale) secondo il quale il governo federale potrebbe fare cose ai seguaci dell’Islam radicale che mai farebbe a un normale delinquente, anche a uno che il governo cercherebbe di giustiziare, come un terrorista interno che fa saltare in aria un edificio federale di Oklahoma City.
Così, molte persone sono arrivate ad accettare che il governo possa “migliorare” l’interrogatorio di una persona in un modo che loro stessi prima avrebbero chiamato tortura e che possa trattenerlo su un’isola remota per il resto dei suoi giorni senza prova o processo legale significativo. L’unica domanda che conta è se la persona rientri nella categoria proibita. Qualora rientrasse, allora non è “innocente” e il suo destino speciale non solo è giustificato, è benefico, a prescindere dalle conseguenze costituzionali. Ma se non appartiene alla categoria degli Islamisti radicali, allora può essere considerato “innocente” e può essere risparmiato.
La tragedia del parlare dell’innocenza, sia nel caso della pena capitale o del mondo del post-11 settembre, è che incoraggia una fantasia infantile secondo cui viviamo tra santi e demoni. E aggrava questa follia supponendo che la sfida del nostro tempo sia semplicemente quella di separare i due nel modo più accurato possibile. Avendo soddisfatto noi stessi per aver fatto così, diamo quindi allo Stato l’autorità di imporre quasi ogni punizione a coloro che ricadono dalla parte sbagliata di una linea immaginaria. L’ossessione per l’innocenza favorisce la trasformazione magica di un essere umano in un personaggio di un film della Marvel Comics [la compagnia d’intrattenimento fondata sui personaggi dei fumetti, i supereroi per esempio, N.d.T.].
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La breve risposta alla domanda “Abū Zubaydah è innocente nel senso hollywoodiano?” è che non importa. Almeno, non dovrebbe. Non dovrebbe avere importanza dal punto di vista legale, perché se la legge fosse umana, non autorizzerebbe il governo a imprigionare qualcuno per il resto dei suoi giorni, a meno che questi non avesse una specifica responsabilità per l’evento che ha innescato il nostro ingresso in questa guerra senza fine. E non dovrebbe importare in senso morale, perché, indipendentemente da ciò che potrebbe aver fatto, indipendentemente dal fatto che sia “innocente”, non dovremmo autorizzare il governo a trattarlo in un modo che non tollereremmo mai se fosse fatto ad un cane, o di imprigionarlo in isolamento, in una cella piccola e senza finestre, senza accuse o processo significativo, fino alla morte, dimenticato da un mondo che è andato avanti da molto tempo [Abū Zubaydah è attualmente detenuto dagli Stati Uniti nel campo di detenzione interna alla base navale di Guantánamo secondo la competenza dell’Autorizzazione all’Uso della Forza Militare contro i Terroristi, N.d.T.].
Ma noi non viviamo nel mondo che dovrebbe essere. Viviamo nel mondo che è e la maggior parte delle persone che chiedono se Abū Zubaydah sia innocente non è soddisfatta di ciò che considera una non risposta. Quindi per loro la risposta è no.
Abū Zubaydah si definirebbe un mujāhid, il che significa semplicemente che è impegnato nel jihād (letteralmente, “lotta”). Come molti altri, per lungo tempo ha creduto di avere l’obbligo religioso di venire in difesa di altri Musulmani che sono stati attaccati, anche se l’attacco proviene da un’entità potente come un governo. Lo ha creduto per anni, motivo per cui si è dedicato alla difesa dei Musulmani in Afghanistan durante la sua guerra contro i Comunisti. Ed è stato un pezzo di granata sovietica che si è insediato nel cervello di Abū Zubaydah nel 1992 mentre combatteva a fianco dei suoi compagni musulmani contro il governo fantoccio installato dai Sovietici.
A quei tempi Ronald Reagan chiamava i Mujāhidīn “valorosi combattenti per la libertà”. Disse che sostenevamo i Mujāhidīn e avremmo continuato a sostenerli finché sarebbe stato necessario, perché “la loro causa è la nostra causa: la libertà”. Reagan ha fatto in modo che i Mujāhidīn ricevessero finanziamenti dalla CIA e che i leader americani pensassero che uomini come Abū Zubaydah fossero eroi della resistenza antisovietica.
Dopo il crollo del governo comunista in Afghanistan [la Repubblica Democratica dell’Afghanistan, caduta nel 1992, N.d.T.], fazioni litigiose hanno trascinato il Paese in guerra civile. Come la maggior parte dei Mujāhidīn, Abū Zubaydah non aveva interesse per un conflitto che contrapponesse Musulmani a Musulmani. Ma c’erano altri luoghi in tutto il mondo in cui i Musulmani erano sotto attacco organizzato. Luoghi come la Bosnia. A causa della sua ferita, Abū Zubaydah non poteva più servire da soldato; semplicemente mancava della capacità fisica e mentale. Quindi divenne una specie di agente di viaggio mujāhid. Coordinava il viaggio di altri Musulmani in Pakistan e dal Pakistan in un campo di addestramento sul confine tra Afghanistan e Pakistan [nell’est del Pakistan, N.d.T.], noto all’Occidente come Khalden.
Contrariamente a quanto credevano gli Stati Uniti quando i suoi agenti torturarono Abū Zubayda, il governo ora accetta che Khalden non fosse un campo di al-Qāʿida. Sotto l’influenza di bin Lādin, al-Qāʿida considerava qualsiasi Americano un bersaglio legittimo, compresi civili innocenti. Abū Zubaydah, tuttavia, come la stragrande maggioranza dei Mujāhidīn, respingeva questa visione estremista; credeva allora, e crede ora, che gli attacchi contro non combattenti, americani o meno, fossero e siano esplicitamente proibiti dal Corano. (Questo è anche il motivo per cui crede, come la maggior parte dei Mujāhidīn della sua epoca, che le azioni dell’ISIS siano una grave violazione della Legge Islamica). Sebbene Abū Zubayda conoscesse bin Lādin, i due avevano opposti punti di vista sull’Islam in modo inconciliabile. L’antipatia ideologica tra bin Lādin e la leadership di Khalden era ampiamente nota tra i Mujāhidīn in Afghanistan e Pakistan. Proprio a causa di questa antipatia, bin Lādin costrinse i Talebani a chiudere Khalden nel 2000.
Khalden ha addestrato uomini musulmani a combattere in difesa di altri Musulmani. Gli uomini che passavano attraverso il campo, tuttavia, come la gente di tutto il mondo, erano liberi agenti che potevano usare la loro formazione come ritenevano appropriato. Come la maggior parte dei Mujāhidīn, la maggior parte dei tirocinanti di Khalden è andata in posti come la Bosnia per difendere i Musulmani sotto attacco. Alcuni, tuttavia, passarono sotto l’influenza di bin Lādin e si trasferirono in campi gestiti da al-Qāʿida. E alcuni di questi uomini sarebbero stati in seguito reclutati da al-Qāʿida per agire contro gli Stati Uniti. Ma i leader di Khalden si opposero alla campagna di al-Qāʿida. Infatti, l’uomo descritto dagli Stati Uniti come un ex comandante di Khalden, Nūr ’Uthmān Muḥammed, che è stato arrestato contemporaneamente a Abū Zubaydah [il 24 marzo 2002, N.d.T.] e che ha addestrato centinaia di uomini nel campo, è stato rilasciato da Guantánamo quasi cinque anni fa.
Abū Zubaydah non è quindi innocente nel senso hollywoodiano. Ha contribuito a facilitare il movimento di decine di uomini musulmani in un campo che li ha addestrati al combattimento armato. Alcuni di questi uomini furono poi reclutati da al-Qāʿida. Se il governo ritiene che ciò comporti un’accusa legale, il mio co-patrocinante e io lo vedremo in tribunale. Abbiamo chiesto che sia accusato o rilasciato. Il governo non ha mai presentato alcuna accusa contro Abū Zubaydah, né in un tribunale civile né in un tribunale militare, presumibilmente perché si rende conto che non ha commesso alcun crimine.
Invece, gli Stati Uniti sono contenti che sia dimenticato, fuori dalla vista e lontano dalla mente. E per questo, il governo conta sulla gente che continua a immaginarlo un mostro. Perché se lui è un mostro, il governo ha fatto bene a torturarlo. Se è un mostro, non è solo lecito, ma è positivo che resti imprigionato all’infinito. Se è un mostro, possiamo fare di lui quello che vogliamo.
Ma non ci sono mostri. Ci siamo solo noi.
* Joseph Margulies è Professore di diritto e di amministrazione presso la Cornell University. È stato avvocato incaricato nelle cause Rasul contro Bush (2004) sulle detenzioni presso la base navale di Guantánamo e Geren contro Omar & Munaf contro Geren (2008) sulle detenzioni a Camp Cropper in Iraq. Attualmente rappresenta Abū Zubaydah, che è stato detenuto nei “siti neri” della CIA e i cui interrogatori nel 2002 e nel 2003 hanno spinto l’Amministrazione Bush a redigere i famigerati “memorandum sulla tortura”. È anche autore di due libri: What Changed When Everything Changed: 9/11 and the Making of National Identity (2013) e Guantánamo and the Abuse of Presidential Power (2006).