AZERBAIJAN: L’IDENTITÀ TURCO-SCIITA SOSPESA SUL PETROLIO
di Glauco D’Agostino
Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XV, nr. 68-69 (1 / 2017) “CAUCAZ – RECONCILIERE ȘI RECONSTRUCȚIE“, Editura “Top Form”, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea, Bucureşti, 2017.
Sommario
Tra le tre repubbliche transcaucasiche, l’Azerbaijan è al momento il più problematico per le sue caratteristiche compositive socio-economiche, etniche, religiose e geo-politiche. I problemi interni restano il malfunzionamento delle istituzioni, la corruzione del ceto politico dominante e la crescente divaricazione economica e sociale, che lascia indietro una diffusa e lacerante povertà nel tumultuoso sviluppo produttivo che la nazione pur annovera. Esiste un duplice aspetto dell’identità azera: l’origine etnica turca; e l’appartenenza alla comunità islamica. L’Azerbaijan attuale, dopo la lunga parentesi di ideologia ateista sovietica, è uno Stato fermamente secolare. Oggi le numerose moschee sono soggette a registrazione, la religione resta esclusa dall’insegnamento scolastico e la vendita di tutte le pubblicazioni di carattere religioso si svolge sotto il vigile controllo governativo. Il suo secolarismo, però, non ha impedito una crescita del sentimento islamico della popolazione.
L’Azerbaijan è sospeso tra due forti influenze regionali, rappresentate dalla Turchia sunnita e dall’Iran sciita. Il fascino dell’archetipo turco evoca quel pan-Turchismo storicamente osteggiato in passato dalla Russia a cavallo dei suoi confini, ma che oggi preoccupa molti dei governi resisi indipendenti nella stessa area. D’altra parte, la popolazione azera è in maggioranza sciita e condivide lo stesso credo con l’Iran. L’altra questione che preoccupa i governanti di Bakı è quella, di nuova rilevanza, della penetrazione entro i confini nazionali dei gruppi salafiti e wahhābiti. Sulla vita della nazione incombe anche la situazione di un territorio diviso geograficamente (la Repubblica Autonoma del Naxçıvan è separato dal resto della madrepatria) e di una regione, il Nagorno-Karabakh, occupato da truppe armene dall’inizio degli anni ’90 benché sia riconosciuta a sovranità azera dalla comunità internazionale. La relativa guerra armeno-azera ha tra l’altro lasciato l’eredità di 26.000 morti e un milione di profughi. Il Nagorno-Karabakh è il tema dominante, perché l’integrità territoriale è considerata essenziale per preservare l’identità nazionale.
Parole-chiave: Azerbaijan; Bakı; Nagorno-Karabakh; Artsakh; Naxçıvan; Islam; secolarismo; Sciismo; Salafismo; Wahhābismo; Turchia; Iran.
Introduzione
Il Caucaso rappresenta la cerniera euro-asiatica più sensibile da tanti punti di vista, da quello geografico a quello politico, da quello economico a quello culturale e religioso. I tre Stati transcaucasici di Georgia, Armenia e Azerbaijan ne formano il compendio più esauriente, incarnando un complesso pluri-identitario che fa da ponte tra Est e Ovest, tra Islam e Cristianità.
Tra le tre repubbliche, l’Azerbaijan è al momento il più problematico per le sue caratteristiche compositive socio-economiche, etniche, religiose e geo-politiche e a questo dedicheremo la nostra attenzione.
Il Paese è in forte espansione economica legata all’industria petrolifera [vedi mappa e foto 3 dell’autore a lato] e Bakı sta effettuando un restyling urbano ed edilizio che la rende oggetto dell’ammirazione di molti osservatori per il livello di vita che vi si raggiunge [foto 1 d’apertura, 4, 5 e 6, tutte dell’autore, e foto 2 in alto]. Ma i problemi interni restano il malfunzionamento delle istituzioni, la corruzione del ceto politico dominante e la crescente divaricazione economica e sociale, che lascia indietro una diffusa e lacerante povertà nel tumultuoso sviluppo produttivo che la nazione pur annovera. Evidenze non tanto diverse da quelle delle altre repubbliche caucasiche, dove, secondo lo scrittore inglese Thomas de Waal, una casta nazionalista di “modernizzatori e non riformatori”, giunta al potere dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003 in Georgia e consolidatasi come modello anche negli Stati viciniori, non dimostra interesse alcuno verso la democratizzazione delle istituzioni e ostacola le attività emergenti dalla società civile.[1] Così le riforme restano nel cassetto.
L’attualità presenta un Paese con popolazione a maggioranza sciita (circa il 90%), affetto da tentativi di insurrezione islamista da parte sia di gruppi sunniti sia sciiti. Soprattutto, incombe sulla vita delle istituzioni, ma anche sulla vita civile della nazione, la situazione di un territorio diviso geograficamente (la Repubblica Autonoma del Naxçıvan è separato dal resto della madrepatria da una striscia a sovranità armena, la Provincia di Syunik) e di una regione, il Nagorno-Karabakh, occupato da truppe armene dall’inizio degli anni ’90 benché sia riconosciuta a sovranità azera dalla comunità internazionale.
Il Nagorno-Karabakh rappresenta il 5% del territorio nazionale azero e la relativa guerra armeno-azera ha tra l’altro lasciato l’eredità di 26.000 morti (in gran parte azeri) e un milione di profughi (tra cui oltre 700.000 Azeri in fuga dalla regione montuosa contesa, dalle regioni circostanti e dall’Armenia). In più, la guerra, congelata dal cessate il fuoco del 1994 su mediazione russa, continua di fatto a bassa intensità attraverso atti ostili che negli ultimi anni si sono intensificati. Tra gli incidenti, basta citare gli scontri in Nagorno-Karabakh dell’11 aprile 2016, che hanno lasciato sul campo 64 morti.[2] Ma sono sufficienti le cifre fornite dal Ministero della Difesa dell’Azerbaijan a fine 2015, quando durante un solo week-end si sono verificati ben 105 episodi di rottura del cessate il fuoco da parte armena;[3] e sostanzialmente la stessa cifra viene attribuita dal corrispondente organismo armeno agli Azeri.[4]
Tra i soggetti internazionali più sensibili al problema, la Turchia ha più volte espresso preoccupazione per l’occupazione armena e sollevato proteste per l’inerzia dell’ONU e degli altri organismi internazionali. Da ultimo, è stato Yalçın Topçu, consigliere capo del Presidente Erdoğan e leader nazionalista del Partito della Grande Unità tra il 2009 e il 2011, che, in visita a Bakı il 21 novembre scorso, ha detto: “Nonostante il massacro di Khojaly, più di 1 milione di rifugiati e sfollati interni, la comunità internazionale tace”. Sottolineando che il mondo di origine turca è una famiglia, ha aggiunto che “La Turchia e l’Azerbaigian sono fratelli gemelli” e “Il conflitto del Nagorno-Karabakh non è solo un problema dell’Azerbaigian, ma dell’intero mondo di origine turca e islamico”.[5]
Un’identità complessa
Dunque, il discorso di Topçu marca il duplice aspetto dell’identità azera:
- l’origine etnica turca, evidenziata anche dalla lingua azera derivata dall’Oğuz dei Turchi sud-occidentali;
- e l’appartenenza alla comunità islamica.
Le prime tribù turche provenienti dall’Asia centro-orientale si insediarono nel Caucaso orientale a partire dal V secolo d.C., già prima del sorgere della civiltà islamica, abbracciarono l’Islam dopo la conquista araba due secoli dopo e diventarono maggioritarie tra la popolazione locale solo nell’XI secolo, con l’instaurazione del Sultanato Selgiuchide. Tuttavia, tra gli Azeri l’identità islamica è stata sempre preminente rispetto a quella etnica.[6] Sciismo e Sufismo raggiunsero questa regione all’epoca dell’Emirato sciita Buwayhide,[7] che dominò l’area persiana tra il X e XI secolo come protettore della Dinastia califfale abbaside sunnita. La dinastia azero-curda dei Safavidi, appartenente all’omonima confraternita sufi nata nel XIII secolo in Persia, con l’istituzione del suo Impero nel 1501, sovrappose lo Sciismo come religione di Stato alla fede sunnita della maggioranza della popolazione dell’area.[8] Ne seguirono devastanti guerre turco-persiane con connotazioni religiose di confronto sciita-sunnita, che coinvolsero l’intera popolazione azera.[9] Con la conquista russa nel XIX secolo, ancora la denominazione di Tatari (di per sé termine etnico) attribuita agli Azeri faceva riferimento all’identità religiosa dei popoli musulmani dell’Impero e solo alla fine dell’800 cominciò a svilupparsi una coscienza nazionale, con la conseguente consapevolezza della formazione di un popolo azero, ma anche con l’avvenuta assimilazione dei comportamenti tradizionali etnici (derivanti dal nomadismo, per esempio) e religiosi (scaturenti dall’appartenenza alternativa alla comunità sciita o sunnita).[10]
Quando a maggio del 1918 i membri azeri del Parlamento dichiararono l’indipendenza dalla Repubblica Federativa Democratica di Transcaucasia (nata per contrastare la Rivoluzione d’Ottobre in Russia), l’Azerbaijan divenne la prima repubblica musulmana dei tempi moderni. Sogno interrotto ad aprile del 1920, quando la Repubblica di Azerbaijan fu conquistata dall’Armata Rossa e ricostituita come repubblica sovietica. Di conseguenza, gli affari religiosi dei Musulmani furono centralizzati a Ufa,[11] prima che nel 1943 i Sovietici trasferissero la competenza per la Transcaucasia a Bakı, gestendola attraverso la Direzione Spirituale dei Musulmani, un organismo a guida sciita affiancata da un vicario sunnita.[12] Nel 1989 lo stesso cambiò nome in Consiglio Supremo dei Musulmani del Caucaso Meridionale e, dopo la sua delegittimazione seguita alla caduta dell’Unione Sovietica,[13] dal 1992 è in funzione il Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che sempre da Bakı ha competenza, oltre che sulle comunità sciite delle ex repubbliche sovietiche, anche sui Muftī sunniti di Georgia, Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria, Karačaj-Circassia e Adigezia. Dal 1993 esiste anche un Alto Consiglio Religioso dei Popoli del Caucaso[14] e dal 2001 il Comitato Statale per i Rapporti con le Organizzazioni Religiose della Repubblica dell’Azerbaijan, con il compito di regolare le attività delle organizzazioni religiose.[15]
Ovviamente, questa pluralità di soggetti sostanzialmente abilitati a funzioni spesso similari ha creato un conflitto di competenza riguardante l’esercizio dell’autorità religiosa nel Paese, consentendo l’ingerenza repressiva del Ministero della Sicurezza Nazionale negli affari religiosi, quantomeno in tema di radicalizzazione dei movimenti. Il fenomeno, come detto in apertura, è infatti in aumento negli ultimi anni, creando allarme presso le autorità anche perché per la prima volta investe alcune organizzazioni sciite: per esempio, tra il 25 e il 26 novembre 2015 in un villaggio della Penisola di Abşeron, vicino Bakı, cinque “Islamisti radicali” del Movimento per l’Unità dei Musulmani sono stati uccisi e altri 32 arrestati (tra cui il leader Taleh Kamil oğlu Bağırov) per un presunto tentativo di “mutamento dell’ordine costituzionale” finalizzato a “l’introduzione della Sharī’a nel Paese”. In realtà, i tumulti erano scoppiati proprio in seguito all’arresto del leader del movimento.[16] E questo dovrebbe forse indurre il governo a considerare che non sempre metodi repressivi delle realtà politico-religiose volti a prevenire conflitti conducono ai frutti sperati nel ristabilimento dell’ordine e della pacificazione.
Il secolarismo, la rinascita dell’Islam e il modello politico post-sovietico
L’Azerbaijan attuale, dopo la lunga parentesi di ideologia ateista sovietica, è comunque uno Stato fermamente secolare, secondo quanto statuito dalla Costituzione del 1995 (modificata nel 2002): “La religione nella Repubblica dell’Azerbaijan è separata dallo stato. Tutte le religioni sono uguali davanti alla legge”.[17] Tuttavia, mentre a metà degli anni ’80 in tutto il Paese soltanto 16 moschee erano aperte al culto e nessuna in Nagorno-Karabakh,[18] oggi le numerose moschee sono comunque soggette a registrazione, la religione resta esclusa dall’insegnamento scolastico e la vendita di tutte le pubblicazioni di carattere religioso si svolge sotto il vigile controllo governativo. In aggiunta, non esistono campagne governative contro il consumo di alcolici e carne di maiale e sono pochi gli uomini con la barba e le donne con l’hijāb.[19]
Il secolarismo dell’Azerbaijan, però, non ha impedito una crescita del sentimento islamico della popolazione, che sempre più si rivolge alla fede come risposta ai problemi della propria condizione esistenziale. Secondo i Caucasus Research Resource Centers, una rete di formazione e sostegno alla ricerca fondata nel 2003 a Tbilisi, Erevan e Bakı, la percentuale di coloro che considerano la religione molto importante per la loro vita quotidiana è in considerevole ascesa negli ultimi anni, sebbene la maggioranza degli Azeri si consideri laica e si comporti di conseguenza. Naturalmente l’atteggiamento varia con l’età dei soggetti in questione, perché è fisiologico che le generazioni più anziane (ancora legate allo stile di vita sovietico) risultino più inclini a condotte ispirate alla laicità, mentre le nuove generazioni (il 41% della popolazione è sotto i 25 anni) siano più aperte al richiamo spirituale e simbolico delle religioni.[20] Lo stesso fenomeno accade in generale nei Paesi ex-comunisti, ma è esattamente il contrario di quanto accade nei Paesi cosiddetti “occidentali”!
Allora la questione è: cosa ha consentito questo “revival” dell’Islam in Azerbaijan dopo 70 anni di regime comunista? Le risposte ipotizzate tengono in considerazione queste elementi concorrenti:
- l’Islam è stato percepito come elemento capace di riempire il vuoto ideale lasciato dalla caduta dell’URSS;[21]
- l’Islam ha ben rappresentato l’esigenza popolare di riconoscersi in un’identità nazionale storicamente realizzata, con i suoi valori e tradizioni;[22]
- l’Islam ha svolto un ruolo di amalgama popolare nell’affrontare la questione del conflitto in Nagorno-Karabakh e molti suoi Imām si conquistarono combattendo una grande reputazione agli occhi degli Azeri;[23]
- il laicismo come sola ideologia di riferimento nei centri di educazione ha indotto una reazione soprattutto tra i giovani, i quali si rivolgono all’Islam quale fondamento di salvezza.[24]
L’Azerbaijan post-sovietico e la sua popolazione avevano subito guardato all’Occidente come nuovo modello d’ispirazione. Ben presto per istituzioni e popolo subentrò la disillusione verso questa aspettativa, soprattutto per l’atteggiamento degli Stati Uniti in materia di aiuti all’Azerbaijan:[25] il 24 ottobre 1992 il Congresso USA approvò la Legge di Sostegno alla Libertà per la Russia e le Democrazie Emergenti Eurasiatiche e all’Apertura dei Mercati (il FREEDOM Support Act), da cui, con la Sezione 907 dell’Atto, l’Azerbaijan veniva escluso “fino a quando il Presidente determini (…) che il Governo dell’Azerbaijan stia adottando comprovabili misure per interrompere tutti i blocchi e altre impieghi offensivi della forza contro l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”.[26] Né la clausola di possibile rinuncia annuale da parte degli USA, introdotta nel 2002, ha alleviato la sensazione di boicottaggio verso l’Azerbaijan, il solo Paese ex-sovietico ad essere escluso dalle provvidenze. Inoltre, l’atteggiamento USA riguardo al conflitto fu dall’inizio omologato a quello della Russia, cioè in favore dell’Armenia, e gli aiuti umanitari furono indirizzati verso i territori controllati dalle forze separatiste.[27]
Dunque, il Nagorno-Karabakh rappresentò la materia discriminante per individuare amici e nemici dell’Azerbaijan, per lo meno fino a quando la Casa Bianca non dimostrò interesse per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi sul Mar Caspio, senza tuttavia mutare le sue scelte di politica estera in ordine al dossier caucasico. Interesse economico, altro che valori umanitari, pensano molti Azeri, i quali non hanno ormai dubbi che sia stata loro applicata la stessa logica che ha condotto agli interventi occidentali in Iraq.
Tutto questo, assieme ad una propensione semi-autoritaria dei due Presidenti Əliyev (padre e figlio) che si sono succeduti dall’indipendenza, ha contribuito al nascere di un Islamismo radicale, soprattutto di matrice sunnita. Il Salafismo è in crescita nelle province settentrionali confinanti con la Repubblica russa del Daghestan.[28] Ma l’ascendente esercitato negli ultimi decenni da predicatori religiosi provenienti dall’estero rischia di riversarsi sull’Azerbaijan come un problema di natura politica internazionale.
Le influenze regionali
L’Azerbaijan è sospeso tra due forti influenze regionali, rappresentate dalla Turchia sunnita e dall’Iran sciita, ciascuna delle quali ha provveduto a sostenere le rispettive confessioni religiose, finanziando moschee, organizzazioni e relative attività.[29] D’altronde, proprio lo stile di vita laico e modernista di larga parte della sua popolazione ha spinto i governi azeri a intrattenere buoni rapporti con lo Stato d’Israele sin dai primi tempi successivi all’indipendenza: “Credo che condividiamo la stessa visione del mondo”, si spingeva a dire nel 2012 Michael Lotem, allora Ambasciatore d’Israele a Bakı e oggi Console Generale a S. Pietroburgo. “Condividiamo non pochi problemi comuni. Per noi Israeliani trovare un Paese musulmano così aperto, così amichevole, così progressista, non è qualcosa che gli Israeliani diano per scontato”, aggiungeva.[30] E nello stesso periodo il magazine Foreign Policy riportava il raggiungimento di un accordo azero-israeliano che avrebbe consentito l’utilizzazione del territorio azero nel caso di attacchi israeliani contro l’Iran. Nonostante l’ovvia smentita delle parti, è chiaro che l’Iran rappresenti un’ossessione per l’Azerbaijan. Così come è scontato che molti Azeri, anche tra i Sunniti filo-turchi, non gradiscano alleanze finalizzate a colpire un Paese musulmano, specialmente se queste alleanze siano messe in atto con nemici giurati dei “fratelli” palestinesi o libanesi.[31]
Il problema è complesso e certamente per un Azero schierarsi in materia di politica internazionale non presuppone le stesse logiche seguite in Occidente. Il fascino dell’archetipo turco evoca quel pan-Turchismo storicamente osteggiato in passato dalla Russia a cavallo dei suoi confini, ma che oggi preoccupa molti dei governi resisi indipendenti nella stessa area. La questione iraniana ha un duplice aspetto, che comporta attrazione e paura allo stesso tempo. La popolazione azera è in maggioranza sciita e condivide lo stesso credo con l’Iran. Da questo deriva il sostegno che Tehrān ha fornito e tuttora fornisce a vari gruppi sciiti azeri, facendo anche leva sul fascino che la Rivoluzione Islamica esercita come strumento di riscatto religioso e sociale. L’Iran ha assegnato aiuti umanitari consistenti ai campi profughi dal Nagorno-Karabakh tramite le sue filiali azere dell’Imām Khomeini Imdad Committee (che ha operato dal 1993 al 2011) e degli Ḥizb Allāh Iraniani.[32]
Ma con l’ingombrante vicino l’Azerbaijan ha in comune un’eredità culturale che deriva dalla Storia. Gli Azeri vivevano sotto l’Impero Persiano fino al 1813, quando, alla fine della I guerra decennale russo-persiana, il Trattato di Gülüstan (un villaggio non lontano dal Nagorno-Karabakh) procedeva alla partizione della popolazione azera tra l’Impero tsarista dei Romanov e quello persiano dei Qājār. Con il successivo Trattato di Türkmənçay del 1828, anche i Khanati persiani di Naxçıvan e Talış passavano in mano russa.[33] Da allora gli Azeri vivono separati da un confine che, anche dopo l’indipendenza azera, ha rafforzato la sua difficoltà di attraversamento a causa delle reciproche diffidenze. Il che è presto spiegato:
- oggi nella Repubblica Islamica dell’Iran vivono tra i 15 e i 25 milioni di Azeri (secondo le differenti stime),[34] che rappresentano tra il 18 e il 30% dell’intera popolazione iraniana. E le percentuali salgono se si considerano coloro che hanno origine da famiglie o località azere, come anche rivela lo stesso nome del Rahbar Khāmene’i proveniente da una città della Provincia iraniana dell’Azerbaijan Orientale;[35]
- la Repubblica Islamica dell’Iran ha velatamente sostenuto l’Armenia nella crisi del Nagorno-Karabakh proprio per i timori di secessione dei territori a popolazione azera, sospettati di perseguire la riunificazione alla Repubblica dell’Azerbaijan.[36] È pur vero che la sua iniziale neutralità e, anzi, posizione di mediazione durante il conflitto non ha mai messo in discussione il diritto dell’Azerbaijan a mantenere l’integrità territoriale, neanche dopo il cessate il fuoco. Ma nessuna pressione è mai stata operata da Tehrān per indurre Erevan a più miti consigli, anche per non indispettire Mosca;[37]
- gli Āyatollāh vivono con sospetto le evoluzioni azere di politica estera, comunque sempre filo-turche e oggi, sembra, filo-israeliane, come già detto.
Oltre a quella sciita di origine iraniana, l’altra questione che preoccupa i governanti di Bakı è quella, di nuova rilevanza, della penetrazione entro i confini nazionali dei gruppi salafiti e wahhābiti provenienti soprattutto dal Daghestan e dall’Arabia Saudita. Non è che le loro dottrine abbiano affascinato più di tanto il forte senso della tradizione che permea la coscienza e i comportamenti degli Azeri,[38] ma la loro opzione per le ragioni azere nel Nagorno-Karabakh, la loro stessa partecipazione al conflitto (sebbene limitata nel tempo) e gli appelli a tutta la comunità islamica internazionale per un jihād anti-Armeno hanno suscitato interesse e numerose adesioni presso la popolazione, anche in mancanza di impossibili risposte da parte dei modelli russi e occidentali. Questo impegno ha avuto successo soprattutto tra i profughi provenienti dai territori occupati, i quali avevano e hanno necessità di sollievo pratico e morale per la loro condizione di sfollati privi non solo di qualsiasi conforto, ma ormai carenti anche della loro stessa identità.
La questione del Nagorno-Karabakh
Come si vede, ancora una volta il Nagorno-Karabakh è il tema dominante, perché l’integrità territoriale azera è considerata essenziale per preservare l’identità nazionale. Secondo la designazione armena corrente, il nome della nuova entità politica nata dall’occupazione è Artsakh, un chiaro riferimento al Regno armeno che mantenne la sua autonomia fino al XIII secolo durante il processo di insediamento dei popoli di origine turca in Transcaucasia. Il nome Nagorno-Karabakh è l’ennesimo compromesso (questa volta linguistico) tra cultura turca, persiana e russa, dominanti nell’area nel XIX secolo: Karabakh, già presenti nelle fonti storiche georgiane e persiane del XIII secolo, è la fusione dei termini turco kara (nero) e persiano bāgh (giardino), mentre Nagorno è il prefisso russo che traduce l’aggettivo montuoso. Il Karabakh individua una regione a popolazione mista, la cui parte montuosa è abitata prevalentemente da Armeni e quella pianeggiante abitata prevalentemente da Azeri.
La questione della sovranità sul Nagorno-Karabakh emerse con l’implosione dell’Impero tsarista nel 1917 e la sconfitta del Sultanato Ottomano nella Prima Guerra Mondiale. Dopo i tentativi turco nel 1918 e delle neonate Repubbliche Democratiche di Armenia e Azerbaijan di acquisire al loro territorio il Nagorno-Karabakh durante la loro breve esistenza, con il dominio bolsceviko entrambe le Repubbliche Socialiste Sovietiche di Armenia e Azerbaijan rivendicarono la loro sovranità sulla regione. Nel 1921 alle promesse dei leader sovietici locali di assegnare Nagorno-Karabakh, Naxçıvan e Syunik all’Armenia, si contrappose la decisione del Narkomnats (Commissariato Popolare delle Nazionalità) diretto da Stalin, il quale, guardando soprattutto alle vicende che coinvolgevano il Sultanato Ottomano ormai in estinzione, dispose l’attribuzione dei primi due all’Azerbaijan e il secondo all’Armenia. Nel 1923 nasceva l’Oblast’ Autonoma del Nagorno-Karabakh come parte integrante della RSS di Azerbaijan e con capitale Stepanakert.[39]
Le difficoltà che ebbero le autorità sovietiche sono testimonianza della complessità dell’affaire Nagorno-Karabakh, che persiste ai giorni nostri. Difficoltà di trattare il relativo conflitto secondo soltanto una delle categorie interpretative classiche che regolano la risoluzione delle controversie internazionali. In pratica, la contrapposizione può essere considerata:
- conflitto etnico;
- conflitto religioso;
- conflitto territoriale.
Ognuna di queste categorizzazioni comporta strumenti diversi di intervento per la risoluzione delle controversie. Il problema sorge quando si dovesse convenire che questi tre aspetti concorrono nell’individuazione delle cause.
L’interpretazione dello scontro come guerra di religione risulta comunque l’argomento più debole, senza voler negare le spinte interessate dall’una e dall’altra parte volte a strumentalizzare la fede come baluardo dell’eredità culturale della rispettiva civiltà o a fomentare appetiti territoriali di carattere nazionalistico facendo ricorso a toni da crociata o alternativamente da jihād. Lo slogan del Partito Repubblicano d’Armenia “La nostra forza è la nostra fede”, pronunciato utilizzando immagini di sacerdoti, testimonia la necessità della formazione politica nazionalista di appoggiarsi alla Chiesa Apostolica Armena.[40] E bisogna ricordare che proprio questa istituzione ecclesiale tiene viva presso gli Armeni la memoria di quello che chiamano “il genocidio armeno” da parte dei Turchi (cui gli Azeri sono etnicamente assimilati) durante la Prima Guerra Mondiale. Analogamente, l’Islam ha avuto un revival in Azerbaijan a seguito del conflitto in Nagorno-Karabakh e di questo si sono avvantaggiati i movimenti nazionalisti. Ma quello che non è lecito è scambiare le conseguenze con le cause.
La giornalista di origini azere Shahla Sultanova avvalora la tesi secondo cui la religione è stata un fattore costitutivo fondamentale per la formazione dell’identità nazionale: “Propongo che sia l’Islam che è rimasto al centro delle nuove identità. In quanto anima della gente, l’Islam è riuscito a riunire ed è diventato corresponsabile della formazione di una nuova identità. L’attività islamica è sembrata avere più successo tra la popolazione, perché i suoi valori fondamentali sono flessibili in quanto ad auto-consapevolezza e formazione di un’identità nazionale”.[41] E, secondo la georgiana Nino Chikovani, “L’analisi del ruolo della religione nei conflitti caucasici degli anni ‘90 rivela che la religione non ha giocato un ruolo di primo piano in questi conflitti; ha avuto una funzione di demarcazione nei casi in cui le parti opposte rappresentavano religioni diverse. I conflitti hanno determinato il rafforzamento della reciproca diffidenza, ma i conflitti sono stati determinati dalla politicizzazione dell’appartenenza etnica e non dalla religione”.[42] Le due tesi non sono in contrasto, perché entrambe sostengono più il ruolo di coesione interna rivestito dall’Islam, anziché quello di contrapposizione verso costituenti religiose esterne.
La disputa sul Nagorno-Karabakh riprese vigore dopo che nel febbraio-marzo 1986 Mikhail Gorbachёv, Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’URSS, annunciò al 27° Congresso il suo programma di riforme economiche, che ben presto suscitò la domanda di riforme politiche e innescò rivendicazioni territoriali tra le repubbliche federate. Quando a febbraio del 1988 nacque il Movimento Artsakh finalizzato all’unificazione del Nagorno-Karabakh all’Armenia sempre sotto la potestà dell’URSS, Gorbachёv, nonostante le intenzioni popolari fossero discordi, ritenne comodo presentare la diatriba azero-armena come controversia etnica e religiosa per poterla stroncare meglio con l’uso della forza. Ma trovò facile sponda anche nei circoli politici azeri, che puntavano al coinvolgimento al loro fianco di Paesi particolarmente sensibili al valore dell’unità etnica o religiosa, come la Turchia da una parte e Iran, Arabia Saudita e Pakistan dall’altra.[43] Di fatto, fu l’Organizzazione della Conferenza Islamica la prima a prendere posizione contro l’occupazione armena e a favore del ripristino della legalità internazionale in Nagorno-Karabakh. Tuttavia, nell’atteggiamento dei contendenti non prevalse mai l’aspetto religioso, ma piuttosto quello etnico tra gli Armeni e quello territoriale tra gli Azeri.
A luglio del 1988 in Azerbaijan i sentimenti popolari anti-sovietici e indipendentisti ispirarono la formazione del Fronte Popolare dell’Azerbaigian, organizzazione con connotazioni nazionaliste in difesa del Nagorno-Karabakh. L’estremizzazione di questi sentimenti indusse gravi eccidi anti-armeni. Prendendo le mosse da questi episodi, ma con il chiaro intento di schiacciare un’emergente forza politica con rilevante capacità di aggregazione e ritenuta pericolosa per la coesione dell’Unione, il 19 gennaio 1990 Gorbachёv attaccò Bakı militarmente, provocando centinaia di vittime e con ciò alienandosi definitivamente la fiducia degli Azeri.
Dopo l’acquisizione dell’indipendenza azera dall’URSS a ottobre del 1991, Il 10 dicembre successivo in Nagorno-Karabakh e nel distretto azero di Shaumjan un referendum indetto senza l’assenso della nuova Repubblica di Azerbaijan e boicottato dalla popolazione azera approvò l’indipendenza della regione, seguita il 6 gennaio 1992 dalla proclamazione della Repubblica di Artsakh (o del Nagorno-Karabakh). Numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU condannarono la secessione come contraria alle norme internazionali, confermando l’appartenenza del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan, ma ogni pronuncia in questo senso fu rigettata dalle autorità indipendentiste.[44]
Non solo, ma il massacro di centinaia di Azeri a Khojaly il 25-26 febbraio 1992 da parte di milizie armene e della Comunità di Stati Indipendenti (all’epoca formata da Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Uzbekistan) e la cattura armena di Şuşa (o Shushi) il 9 maggio successivo, seguito da un devastante saccheggio, inasprirono ulteriormente il conflitto. Il 16 giugno 1992, proprio sull’onda dell’indignazione e della rivendicazione dell’integrità territoriale, Əbülfəz Elçibəy, l’ex dissidente sovietico nativo del Naxçıvan e fondatore del Fronte Popolare, fu eletto Presidente della nuova repubblica, dando avvio alla politica di restituzione delle moschee e dei beni ecclesiastici requisiti dai Sovietici.
Il 24 giugno 1993 Heydər Əliyev, già Vice Primo Ministro dell’URSS e Primo Segretario del Partito Comunista Azero nel quinquennio 1982-87, nella sua qualità di Presidente dell’Assemblea Legislativa acquisita da pochi giorni, assunse l’incarico di Presidente dell’Azerbaijan nella vacanza di potere successiva all’allontanamento del Presidente Elçibəy. In pratica una estromissione dalla massima carica, da quel momento esercitata da un altro esponente politico nativo del Naxçıvan, quell’Əliyev che a fine 1991, da Presidente del Soviet Supremo del Naxçıvan, aveva preso le distanze non solo da Mosca, ma anche da Bakı. Sullo sfondo, la crisi bellica e diplomatica che nel 1992 coinvolse Armenia, Turchia e Azerbaijan proprio sull’exclave del Naxçıvan, la quale, è bene ricordarlo, confina anche con Iran e Turchia. La vicenda fu congelata proprio dall’assunzione del potere a Bakı da parte di Əliyev, il quale inaugurò quel potere dinastico che, nel bene e nel male, regge l’Azerbaijan da 24 anni.
Conclusioni
Difficile scommettere su quello che sarà il futuro dell’Azerbaijan, perché la sua collocazione geo-politica impone un realismo tattico che spesso offusca le strategie di lungo periodo. L’intesa Mosca-Ankara-Tehrān sulla questione siriana è suscettibile di riversarsi sull’assetto di tutto il Medio Oriente e della regione caucasica e questo potrebbe condizionare le soluzioni per il Nagorno-Karabakh. È questo il punto. La ritrovata consonanza diplomatica tra le potenze regionali che lo contornano influirà positivamente o negativamente sulle controversie territoriali dell’Azerbaijan con l’Armenia, considerata la protezione che sostanzialmente il Cremlino offre a Erevan? E quali margini di operatività potranno avere eventuali politiche di tutela che eventualmente Turchia e Iran intendano presentare al tavolo delle mediazioni con la Federazione Russa?
In questo quadro e alla luce della nuova politica di desistenza americana introdotta da Trump, forse non ha senso nemmeno richiedere o sperare nell’annullamento della Sezione 907 del FREEDOM Support Act che impedisce gli aiuti economici degli Stati Uniti. E lo stesso Gruppo di Minsk, operante senza alcuna efficacia in seno all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa per incoraggiare i negoziati sul Nagorno-Karabakh, risulta forse obsoleto nella sua conduzione, visto che la Presidenza è congiuntamente affidata a Stati Uniti, Russia e Francia, sebbene in pendenza di proposte per una sua integrazione con Turchia e Germania o Unione Europea.
Il problema non è solo di alleanze o di retaggio storico della propria cultura. L’Azerbaijan ha un problema di governance interna delle proprie istituzioni e un problema di rapporto con la rappresentanza religiosa, in primis con le varie confessioni dell’Islam, anche e soprattutto in presenza dell’ordinamento laico dell’assetto costituzionale. Nel primo caso, un efficientamento e moralizzazione dell’apparato pubblico e una ricostituzione dei principi etici nel funzionamento della società civile passa attraverso un’azione propositiva (e non meramente repressiva!) da attivare nel campo del diritto, della sicurezza, delle libertà civiche, dell’educazione e della giustizia sociale, in direzione del recupero di un tessuto sociale in rapido deterioramento proprio in ragione di un tumultuoso sviluppo economico. Nel secondo caso, un modello secolare che riproponesse asetticamente il rifiuto del riconoscimento del ruolo religioso nella società (in linea con le peggiori prassi esistenti nel mondo occidentale o, peggio, nel passato mondo sovietico) non contribuirebbe a ricucire nella società la consapevolezza del ruolo storico della gens azera, finendo per rientrare nei canoni di una mera territorialità nazionale priva di profondità storica identitaria. Tutto questo, naturalmente, nel rispetto delle libertà confessionali garantite dalla Costituzione.
Ci piace concludere proprio con una citazione in questo senso di un personaggio controverso, quel Heydər Əliyev che, da Presidente sciita ma con un passato di alto dirigente comunista, al Simposio Internazionale “La Civiltà Islamica nel Caucaso” nel 1998 pur affermava: “Noi Azerbaigiani, essendo orgogliosi della religione islamica, mai abbiamo trattato male le altre religioni, non abbiamo avuto inimicizie con loro, mai abbiamo tramato e obbligato altre persone a professare la nostra religione con la forza. In generale, la tolleranza verso le altre religioni, il vivere fianco a fianco con le altre religioni in condizioni di reciproca comprensione, sono peculiarità dei valori islamici. Nel corso della storia questo si è riflesso anche nell’Azerbaigian e nel Caucaso. Il Cristianesimo, l’Ebraismo sono esistiti ed esistono oggi in Azerbaigian assieme alla religione islamica sin dai tempi più antichi”.[45]
È stata l’ennesima testimonianza, al più alto livello, che nessuna legittimità religiosa viene attribuita al conflitto azero-armeno.
[1] Hovhannes Hovhannisyan (23 luglio 2016). Religion and religious Institutions in the Nagorno-Karabakh conflict: does the religious factor play a role? Vedi Religions in Armenia, http://www.religions.am/eng/articles/religion-and-religious-institutions-in-the-nagorno-karabakh-conflict_–does-the-religious-factor-play-a-role/
[2] Fatima Tlisova and Mehdi Jedinia (11 aprile 2016). What’s Hiding Behind Russia’s Calls for Peace in Nagorno-Karabakh. Vedi http://www.voanews.com/a/russia-nagorno-karabakh-azerbaijan-armenia/3279945.html
[3] Armenia continues to violate ceasefire with Azerbaijan (6 dicembre 2015). Vedi trend news agency, http://en.trend.az/azerbaijan/karabakh/2465804.html
[4] Azerbaijan uses mortars, grenade launchers in ceasefire violations (5 dicembre 2015). Vedi http://www.panarmenian.net/eng/news/201788/Azerbaijan_uses_mortars_grenade_launchers_in_ceasefire_violations
[5] Gunay Hasanova (21 novembre 2016). Official: Nagorno-Karabakh conflict is problem of entire Turkic, Islamic world. Vedi Azernews, http://www.azernews.az/karabakh/105401.html
[6] Caroline Cox and John Eibner (s.d.). Ethnic Cleansing in Progress: War in Nagorno Karabakh. Vedi Sumgait.info, http://sumgait.info/caroline-cox/ethnic-cleansing-in-progress/basic-facts.htm
[7] Islam in Azerbaijan (s.d.). Vedi Azerbaijan, http://www.azerbaijans.com/content_500_en.html
[8] Glauco D’Agostino (giugno 2010). Sulle Vie dell’Islam. Percorsi storici orientati tra dottrina, movimentismo politico-religioso e architetture sacre, Gangemi, Roma, Italia, vedi pag. 145.
[9] Hidayat Orudjev (2011). Background, Problems, and Prospects of Inter-Religious Dialogue in Azerbaijan, in World Religions in the Context of the Contemporary Culture: New Perspectives of Dialogue and Mutual Understanding, St. Petersburg Branch of the Russian Institute for Cultural Research, St. Petersburg, Parte II, cap. 4, pagg. 89 e 92.
[10] Caroline Cox and John Eibner (s.d.). Ethnic Cleansing in Progress, cit.
[11] Hidayat Orudjev (2011). Background, Problems, and Prospects of Inter-Religious Dialogue in Azerbaijan, cit., Parte II, cap. 4, pag. 90.
[12] Paul Goble (9 luglio 2014). Window on Eurasia: A Sunni-Shiia Clash in Azerbaijan. Vedi Window on Eurasia – New Series, http://windowoneurasia2.blogspot.it/2014/07/window-on-eurasia-sunni-shiia-clash-in.html
[13] Zeyno Baran and Svante E. Cornell (2010). The Caucasus, in Barry Rubin, Guide to Islamist Movements, vol. 1, M.E. Sharpe, Armonk (New York)-London (England), pag. 205.
[14] Alexander Agadjanian, Ansgar Jödicke and Evert van der Zweerde (s.d.). Religion, Nation and Democracy in the South Caucasus, Routledge, London (UK). Vedi https://books.google.it/books?id=JxbEBAAAQBAJ&pg=PT174&lpg=PT174&dq=Supreme+Board+of+Muslims+of+the+South+Caucasus&source=bl&ots=iRh8vAbANb&sig=CguyltPRwAQj5f7JK8O3F8S7uZc&hl=it&sa=X&redir_esc=y#v=onepage&q=Supreme%20Board%20of%20Muslims%20of%20the%20South%20Caucasus&f=false.
[15] Svante E. Cornell (ottobre 2006). The Politicization of Islam in Azerbaijan. Central Asia-Caucasus Institute & Silk Road Studies Program, Johns Hopkins University, Washington, D.C., pagg. 64-66.
[16] Nurgul Novruz (30 novembre 2015). Deadly Clashes Between Police and Shia Muslims in Azerbaijan. Vedi Institute for War and Peace Reporting, https://iwpr.net/global-voices/deadly-clashes-between-police-and-shia-muslims.
[17] The Constitution of the Republic of Azerbaijan, Chapter II Basis of State, art. 18 Religion and state. Vedi http://en.president.az/azerbaijan/constitution.
[18] Caroline Cox and John Eibner (s.d.). Ethnic Cleansing in Progress, cit.
[19] Shahla Sultanova (15 agosto 2013). Azerbaijan: Islam Comes with a Secular Face. Vedi http://www.eurasianet.org/node/67396.
[20] Ibid.
[21] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan. Vedi http://caucasusedition.net/analysis/national-identity-the-nagorno-karabakh-conflict-and-revival-of-islam-in-azerbaijan/
[22] Gunay Efendiyeva and Bakhtiyar Aliyev (2011). Interreligious Dialogue in the Context of Contemporary Culture: Islam, Christianity, and Other Religions in Azerbaijan, in World Religions in the Context of the Contemporary Culture, cit., Parte III, cap. 3, pag. 176.
[23] Hovhannes Hovhannisyan (23 luglio 2016). Religion and religious Institutions in the Nagorno-Karabakh conflict, cit.
[24] Svante E. Cornell (ottobre 2006). The Politicization of Islam in Azerbaijan, cit. pag. 10.
[25] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan, cit.
[26] Section 907 of the Freedom Support Act (Public Law 102-511). Vedi http://karabakhfacts.com/section-907-of-the-freedom-support-act-public-law-102-511/
[27] Svante E. Cornell (ottobre 2006). The Politicization of Islam in Azerbaijan, cit., pag. 9.
[28] John J. Xenakis (7 dicembre 2015). World View: Azerbaijan Faces Rising Radical Shia Islamist Insurgency. Vedi http://www.breitbart.com/national-security/2015/12/07/world-view-azerbaijan-faces-rising-radical-shia-islamist-insurgency/
[29] Paul Goble (9 luglio 2014). Window on Eurasia, cit.
[30] James Reynolds (12 agosto 2012). Why Azerbaijan is closer to Israel than Iran. Vedi http://www.bbc.com/news/world-europe-19063885.
[31] Ibid.
[32] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan, cit.
[33] Rashad A. Huseynov (2014). History and evolution of Islamic institutions in Azerbaijan (XIX-XXI centuries). Vedi Journal of Social, Political and Economic Studies, Volume 8, issue 1-2 2014, https://www.academia.edu/9040323/History_and_evolution_of_Islamic_institutions_in_Azerbaijan_XIX-XXI_centuries_The_Caucasus_Globalization_Journal_of_Social_Political_and_Economic_Studies_Volume_8_issue_1-2_2014, pagg. 1-2.
[34] Rasmus Christian Elling (febbraio 2013). Minorities in Iran: Nationalism and Ethnicity after Khomeini, Palgrave Macmillan, New York (N.Y.).
[35] James Reynolds (12 agosto 2012). Why Azerbaijan is closer to Israel than Iran, cit.
[36] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan, cit.
[37] Hovhannes Hovhannisyan (23 luglio 2016). Religion and religious Institutions in the Nagorno-Karabakh conflict, cit.
[38] Shahla Sultanova (15 agosto 2013). Azerbaijan: Islam Comes with a Secular Face, cit.
[39] Caroline Cox and John Eibner (s.d.). Ethnic Cleansing in Progress, cit.
[40] Hovhannes Hovhannisyan (23 luglio 2016). Religion and religious Institutions in the Nagorno-Karabakh conflict, cit.
[41] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan, cit.
[42] Nino Chikovani (2011). Christianity and Islam in Modern Georgia: the Experience, Challenges, and Search for Responses, in World Religions in the Context of the Contemporary Culture, cit., Cap. 6, pag. 107.
[43] Hovhannes Hovhannisyan (23 luglio 2016). Religion and religious Institutions in the Nagorno-Karabakh conflict, cit.
[44] Shahla Sultanova (1 novembre 2011). National Identity, the Nagorno-Karabakh Conflict and Revival of Islam in Azerbaijan, cit.
[45] The speech of the President of the Azerbaijan Republic Heydar Aliyev at the international symposium on the topic “Islamic civilization in the Caucasus” (9 dicembre 1998). Vedi “Heydar Aliyev Heritage” International Online Library, http://lib.aliyev-heritage.org/en/9045952.html
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