di Ahmed Rashid*
Libera traduzione da: The New York Review of Books, March 27, 2017, 5:05 pm
Nei mesi d’apertura dell’Amministrazione di Donald Trump ci sono stati pochi segnali di una politica estera coerente. Quello che sta accadendo, tuttavia, è una spettacolare militarizzazione della politica americana in Medio Oriente, che avviene in gran parte senza la consultazione degli alleati americani e con quasi nessun controllo pubblico. Nel caso della guerra in Yemen e della campagna contro lo Stato Islamico in Iraq e in Siria, questi sviluppi potrebbero avere conseguenze straordinarie per la sicurezza degli Stati Uniti e anche per la stabilità dello stesso Medio Oriente.
Il disastroso raid di gennaio su un bersaglio di al-Qāʿida nello Yemen centrale appena pochi giorni dopo l’insediamento di Trump, con la conseguente morte di un Navy Seal e una ventina di civili, è stato ampiamente discusso. Ma da allora le azioni degli Stati Uniti hanno avuto un’escalation. Ai primi di marzo aerei e droni statunitensi hanno condotto più di trenta attacchi contro militanti islamici in tutto lo Yemen centrale, eguagliando praticamente il numero totale di attacchi aerei effettuati nell’intero 2016. Sono stati uccisi molti civili. Nel frattempo, in Iraq e in Siria ci sono state numerose segnalazioni di vittime civili in bombardamenti americani. Venerdì scorso è stato riferito che ben duecento civili sono stati uccisi in attacchi aerei americani a Mosul.
Intanto, quattrocento soldati americani sono diretti in Siria per costituire una base di artiglieria per la riconquista di Raqqa, capitale dello Stato Islamico; altri mille soldati potrebbero presto essere inviati in Kuwait come forza di riserva. Altri soldati si aggiungeranno presto ai cinquemila già presenti in Iraq. E il Pentagono ha chiesto altri soldati per l’Afghanistan, oltre agli 8.400 già presenti.
L’esempio più sorprendente potrebbe essere lo Yemen, dove gli Stati Uniti stanno intervenendo senza quasi nessun dibattito pubblico, dibattito in Congresso o addirittura – come mi hanno detto diplomatici occidentali – senza coordinamento con gli alleati della NATO. La violenta guerra civile in Yemen tra il governo e i ribelli ḥūthi, che sono Musulmani sciiti, è ormai un conflitto regionale, che coinvolge l’Iran dalla parte degli Ḥūthi e gli Stati arabi del Golfo, che sostengono il governo. Lo Yemen sta affrontando la “più grande crisi umanitaria” del mondo, con due terzi dei suoi diciotto milioni di abitanti bisognosi di aiuti, secondo Stephen O’Brien, un alto funzionario delle Nazioni Unite [Sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari e Coordinatore per le Emergenze, N.d.T.].
Ma le nuove installazioni militari statunitensi stanno operando senza alcun segnale di iniziative diplomatiche americane o discussione sul futuro dei colloqui di pace nelle zone di conflitto o una strategia e narrativa più complessive per cercare di conquistare i cuori e le menti dei Musulmani al fine di sconfiggere lo Stato Islamico. L’unica discussione sembra concentrarsi su come intensificare l’azione militare – cosa che sta profondamente sconcertando gli alleati in tutto il mondo.
Il 26 marzo il Washington Post ha riferito che il Dipartimento della Difesa sta chiedendo alla Casa Bianca di rimuovere le restrizioni sulla fornitura di aiuti militari agli alleati del Golfo che stanno combattendo i ribelli ḥūthi appoggiati dall’Iran in Yemen. Già non meglio specificate Forze americane per Operazioni Speciali (SOF) stanno operando non solo in Yemen, ma anche in decine di altri Paesi in Africa e Asia Centrale.
La discussione più inquietante ad oggi ruota attorno al fatto se le Forze Armate statunitensi debbano essere autorizzate a creare zone militari senza regole, in cui le forze degli Stati Uniti potrebbero individuare e bombardare potenziali nemici senza riguardo per le vittime civili o danni alle infrastrutture economiche – un netto ripudio delle norme antiterrorismo stabilite dalle Amministrazioni di Obama e Bush. Il New York Times ha riferito che tre province dello Yemen sono state dichiarate “area di ostilità attive”, in altre parole zone militari senza regole, e che alcune parti della Somalia saranno presto aggiunte alla lista. Diplomatici occidentali a Bruxelles dicono che potrebbero anche essere aggiunte aree dell’Afghanistan dove i Talebani sono più forti. Questa politica, incoraggiando attacchi indiscriminati, produrrà senza dubbio migliaia di radicali islamici in più, comprometterà gli aiuti umanitari e distruggerà le speranze di ricostruzione economica.
Invece di perseguire un approccio complessivo che coinvolga la diplomazia, gli aiuti economici, la risoluzione dei conflitti e la costruzione di alleanze, Trump è tornato ad una pericolosa dipendenza dai militari, mettendo in crisi tutte le altre istituzioni statali americane che si occupano del resto del mondo. A parte i bombardamenti, qual è esattamente la strategia di Trump per lo Yemen? L’Amministrazione sostiene il proseguimento degli sforzi dell’ONU per mediare tra il governo yemenita e gli Ḥūthi? Ora che il Dipartimento della Difesa vuole rimuovere l’embargo sulle armi in Yemen, cosa significa questo per il conflitto in sé? Quale diplomazia predispone l’Amministrazione per affrontare la crescente rivalità regionale? E chi, di fatto, è responsabile della politica verso lo Yemen al Dipartimento di Stato o al Consiglio di Sicurezza Nazionale? Nessuna di queste domande ha ancora una risposta o addirittura si sta affrontando.
Eppure, lo Yemen rimane un problema minore rispetto a quello che gli Stati Uniti programmano dopo in Siria. Anche qui i civili stanno morendo per attacchi aerei americani – trentatré civili sono stati uccisi il 22 marzo, quando bombardieri della coalizione a guida americana hanno colpito una scuola. Trump sosterrà il processo di pace a Ginevra, dominato dalla Russia e sotto l’egida dell’ONU? Gli Stati Uniti sono interessati a formare una più forte alleanza arabo-occidentale contro lo Stato Islamico, anche cercando di negoziare una soluzione politica? Gli Stati Uniti sono pronti a lasciare che il Presidente Baššar al-Asad rimanga in carica? Chi pagherà per l’ondata di profughi ancora provenienti dalla Siria o per la sua futura ricostruzione? Nessuna di queste domande sembra addirittura essere stata fatta dalla Casa Bianca.
Risposte chiare diventano ancora più improbabili nel momento in cui l’Amministrazione Trump sta valutando un possibile taglio di un terzo al bilancio di 50 miliardi di dollari del Dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale, al fine di finanziare un aumento di 54 miliardi di dollari del bilancio della Difesa. Mick Mulvaney, Direttore dell’Ufficio per la Gestione e il Bilancio della Casa Bianca, ha detto il 4 marzo che i tagli avrebbero visto “notevoli riduzioni di aiuti esteri”. C’è stata un’ampia opposizione a queste proposte da parte del Congresso, di gruppi umanitari e dei media.
Questi tagli comprometterebbero la capacità del Dipartimento di Stato di lanciare iniziative diplomatiche o addirittura di influenzare la futura politica estera americana. Il licenziamento di molti esperti regionali e nazionali creerebbe un vuoto al Dipartimento di Stato e condurrebbe solo a un maggiore disprezzo all’estero per la diplomazia americana. Gli Stati Uniti sempre più non saranno in grado di convincere i governi autocratici a rispettare i diritti umani, la libertà di stampa e la società civile. Gran parte del finanziamento a USAID [l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, principale responsabile per la gestione degli aiuti civili all’estero, N.d.T.] va a sostenere la società civile e le organizzazioni non governative all’estero, per i quali Trump non ha mostrato alcun interesse; e tagli di bilancio potrebbero avere gravi ripercussioni su queste attività.
Il Segretario di Stato Rex Tillerson, che ha appena avuto l’impatto con Washington e non è riuscito a fornire di personale il suo Dipartimento lasciando vacanti centinaia di posizioni di ambasciatore, ha taciuto sulle principali questioni di politica estera, ha evitato d’incontrare le autorità in visita e ha isolato i media. Ci sono serie domande su quale parte, eventualmente, il Dipartimento di Stato avrà nella politica estera dell’Amministrazione Trump.
La crescente dipendenza di Trump da una strategia militare in tutto il mondo ridurrà l’influenza statunitense sui suoi alleati e su tutte le maggiori potenze. Inoltre, rende meno probabile che essi aderiscano a quello che Trump spera sia una crociata contro lo Stato Islamico. Autocrati di tutto il mondo seguiranno l’esempio americano e saranno incoraggiati ad abbandonare la diplomazia e la politica e ad usare la forza per fare quello che vogliono. Saremo lasciati con gli Stati Uniti che saranno impostati sull’esasperazione dei conflitti piuttosto che sulla loro conclusione, Stati Uniti che abbandonano ogni senso di responsabilità globale e non prestano alcuna attenzione agli accordi internazionali. È cominciata una nuova era globale in cui gli alleati americani non possono più contare sulla leadership americana. Potrebbe essere il periodo più pericoloso che abbiamo visto nella nostra vita.
* Ahmed Rashid è l’autore di Pakistan di frontiera: il futuro di America, Pakistan e Afghanistan e di diversi libri su Afghanistan e Asia Centrale. Vive a Lahore, la capitale della regione pakistana del Punjab.