L’ESIGENTE TUTELA DI YAZD, LA SPOSA DEL DESERTO…
di Glauco D’Agostino
Qualsiasi viaggiatore giunga a Yazd, insediata tra due deserti dell’Iran Centrale, percepirà la sensazione di trovarsi in un ambiente architettonico particolare, modellato nelle sue costruzioni di mattoni e miscuglio di fango e paglia, perfettamente adattato alle sue condizioni climatiche estreme e, per di più, inserito in un contesto storico che ne ha fatto una delle città più antiche ancora esistenti al mondo: centro del culto di Ahura Mazdā, il Dio Supremo dello Zoroastrismo (Yazd deriva, infatti, dal termine avestico Izad, divino), conosciuta come Issatis prima dai Medi e poi dai Greci, come Darol’ebadeh dagli Arabi nei primi anni successivi alla conquista del 642, il suo nome è tuttavia legato a quello di Yazdgard I, il Sovrano della Dinastia Sasanide del primo quarto del V secolo d. C., quando già lo Zoroastrismo Mazdeo era religione dello Stato da oltre due secoli.
Il motivo per cui il nucleo storico di Yazd ha potuto mantenere intatte la sua forma urbana e le sue architetture (oltre che le sue tradizioni) risiede nella sua posizione geografica, lontana dalle capitali imperiali che si sono succedute nel tempo e determinata dalle sue caratteristiche ambientali non favorevoli al transito degli eserciti, tutte condizioni che l’hanno preservata dagli eventi bellici e dalle conseguenti distruzioni; anzi, proprio questi presupposti l’hanno identificata storicamente come città-rifugio, per esempio per i profughi di altre città persiane in fuga dalla Grande Invasione Mongola del 1220-21, tra cui molti artisti, intellettuali e scienziati: conseguentemente ha anche svolto un ruolo culturale rilevante. Per il resto, la sua funzione dominante è stata sempre quella di importante stazione commerciale sulle rotte carovaniere per l’Asia Centrale e l’India.
La struttura urbanistica della parte antica di Yazd è contraddistinta da compattezza formale e alta concentrazione edilizia, determinata da fattori climatici estremamente variabili: in estate, elevato irraggiamento solare (una media di 300 giorni di sole all’anno) e alte temperature (con punte di 45° C), con grande escursione termica diurna; viceversa, in inverno domina il freddo secco (con punte di -16° C). Inoltre, l’area soffre di bassissima piovosità (e conseguentemente di penuria di risorse idriche) e della presenza di venti carichi di polvere dei deserti. Dunque, la sua conformazione riduce le superfici esposte all’irraggiamento solare e all’accesso dei venti desertici e favorisce la penetrazione dei venti da sud-ovest favorevoli all’aerazione dei profondi cortili e degli scantinati. Per questo, gli angusti viottoli che costituiscono la nervatura del suo sistema di mobilità seguono accorti tracciati direzionali e sono talvolta coperti, realizzando ambienti esterni protetti dagli alti muri ombrosi degli edifici ai lati. L’utilizzo nelle costruzioni di pareti spesse realizzate in argilla e mattoni crudi, cioè di materiali con una bassa capacità termica, contribuisce ad isolare termicamente gli edifici, riducendo l’assorbimento e riflettendo la luce solare.
L’accattivante disegno estetico della città è il risultato delle sue componenti strutturali (fig. 1, a sinistra), quindi la massa dei bassi edifici monocromi, le ferite dei cortili interni separatori, le scale a vista, i diaframmi delle balconate, le bianche superfici dei tetti, gli spazi pubblici costituiti dalle strette strade e dai radi slarghi pensati per la circolazione pedonale e ciclabile: insomma, un ambiente organicamente composto, con caratteri spontanei e tuttavia omogenei. Ma gli elementi caratterizzanti questa straordinaria città sono le cupole e le torri del vento (fig. 2, a destra), in special modo queste ultime, se è vero che Yazd tra i suoi vari appellativi (Crocevia dell’Iran, la Sposa o la Perla del Deserto) detiene anche quello di Città dei bādgirhā, cioè, appunto, delle torri del vento.
Un bādgir (fig. 3, a lato in basso) è un elemento alto di mattoni crudi, a sezione rettangolare, con feritoie verticali e strutturato per catturare dalle facce opportunamente esposte i venti favorevoli, raffreddarli naturalmente e incanalarli verso gli ambienti sottostanti, cioè gli interni delle abitazioni e i sotterranei. Questo ingegnoso sistema di raffreddamento è spesso collegato con la rete di approvvigionamento idrico dei qanāt, complesso sistema sotterraneo di canali, alcuni dei quali lunghi fino a 45 km. La necessità di reperire risorse idriche, scarse in loco come già detto, aveva indotto la popolazione già molti secoli fa a raggiungere le lontane montagne per incanalare i corsi d’acqua, convogliarli in canali scavati nel sottosuolo e, tramite una rete di pozzi, utilizzarne le acque per scopi produttivi e di potabilità. Ovviamente, la temperatura delle acque sotterranee consente che l’interazione con le torri del vento valorizzi le potenzialità dei qanāt anche a servizio del condizionamento termico e della refrigerazione, come nel caso degli Yakh-chāl, i pozzi del ghiaccio ideati come serbatoi a cupola (fig. 3) da riempire in inverno ai fini dell’utilizzazione estiva.
La Yazd moderna ha naturalmente dimenticato i bādgirhā come sistema tecnologico nelle nuove costruzioni, così come lo stesso tessuto urbano dei nuovi quartieri non è più contrassegnato da strade tortuose e cul-de-sac, ormai inutili nella funzionalità urbana del XXI secolo: così la città, rinomato centro industriale del tessile e sede di attività manifatturiere nel campo delle fibre ottiche, della ceramica, dei gioielli e dell’abbigliamento, si snoda a scacchiera lungo ampi viali di natura commerciale e ha localizzato con razionalità i suoi servizi, dall’area industriale insediata con criteri ecologici e lontani dalla residenza, ai servizi trasportistici (aeroporto e stazione ferroviaria) ubicati secondo parametri di accessibilità e di minimizzazione dell’impatto ambientale. Tuttavia, questa esigenza di modernità espressa nella nuova Yazd non ha impedito una coesistenza “pacifica” con la Yazd tradizionale, quella delle case in mattoni crudi di epoca qajara (generalmente fine ‘800-inizio ‘900), quella di cupole e torri del vento, in un accostamento tra primitivo insediamento rurale e moderno modello commerciale, tra complesso schema organico e lineare schema geometrico.
Il valore e la particolarità dell’antico centro storico di Yazd, riconosciuto a livello nazionale e internazionale, non devono, però, far dimenticare i consistenti problemi assieme funzionali e sociali di cui l’area soffre, facendo emergere la necessità di una riqualificazione urbana e di una ricomposizione dei rapporti sociali, dove nel primo caso si intende esigenza di riassetto urbanistico, restauri edilizi e innovazione tecnologica; nel secondo caso di amalgama tra popolazione autoctona e immigrata (soprattutto profughi da Afghanistan e Iraq), principalmente in ordine alla comune consapevolezza di fruire di un patrimonio storico eccezionale. Questo anche perché la fragile composizione strutturale del centro storico, già affaticata, rischia la lacerazione sotto il peso dell’immigrazione dalle campagne, che sovraccarica la sua capacità insediativa.
In particolare, i maggiori problemi sono determinati da:
- l’irrazionalità della struttura fondiaria, con molti lotti edificati senza sbocchi diretti su strada;
- l’insufficienza dimensionale e tecnologica della rete stradale, che ostacola perfino la corretta effettuazione dei lavori edilizi;
- la mancanza di aree di parcheggio, ormai indispensabili con il livello di motorizzazione raggiunto;
- l’inidoneità antisismica, sia dal punto di vista delle strutture fisiche delle costruzioni, sia dal punto di vista delle operazioni di protezione civile susseguenti ad un eventuale sisma distruttivo, purtroppo non improbabile, come dimostra la completa distruzione della non lontana città antica di Bam a seguito dell’evento sismico del 2003;
- l’inadeguatezza dei servizi di urbanizzazione primaria (acqua, elettricità, gas, telefoni) e secondaria (scuole, presidi sanitari), i cui livelli sono inferiori agli standards nazionali anche in confronto ad altre realtà comparabili;
- la presenza di aree di degrado fisico e ambientale, che diminuisce il valore della zona, anche in termini di deprezzamento economico;
- l’insufficiente livello di reddito di una parte consistente della popolazione (in contrasto con l’ostentato livello di benessere di molti residenti in periferia), che si riflette sulla capacità dei proprietari di intervenire sulla manutenzione e riqualificazione del patrimonio edilizio;
- l’alta percentuale di popolazione in età senile, che testimonia la mancanza di attrazione del centro come luogo di residenza e di lavoro per i più giovani;
- la mancanza di privacy laddove gli accessi ad alcune residenze transitano forzatamente attraverso altre proprietà.
Questi problemi, generalmente comuni a molti altri centri storici, sono rilevati nel caso di Yazd all’interno di un complesso il cui valore è determinato proprio dalla sua unitarietà e dunque una risoluzione adeguata non è facilmente individuabile attraverso interventi che ne svuotino il carattere identitario: è il classico dilemma della riqualificazione urbana in ambito storico, che richiede equilibrio tra esigenze di funzionalità e sicurezza e necessità di salvaguardia dei valori estetici ed etici.
Tuttavia a Yazd non mancano le individualità architettoniche e storiche degne di nota che ne qualifichino il pregio artistico. Per esempio:
tra le architetture islamiche:
- Kabir Masjed-e Jamé (la Grande Moschea del Venerdì) (fig. 4 in apertura), il maggiore punto di riferimento architettonico della città. Sorta sul sito di un Tempio del Fuoco zoroastriano del XII secolo, è stata edificata tra il 1324 e il 1365, in piena epoca del potere muzaffaride, di cui Yazd costituì la capitale dal 1319 fino al suo trasferimento a Shīrāz nel 1357. La Grande Moschea testimonia lo sforzo di adeguamento della città al suo nuovo ruolo istituzionale, sottolineato dalla maestosità delle sue strutture di facciata: l’īwān d’ingresso più alto dell’Iran, interamente decorato da piastrelle prevalentemente di colore blu e turchese, da pannelli a mosaico e da muqarnas; i due minareti sovrapposti al portale, anch’essi i più alti dell’Iran, con i loro 48 metri di elevazione. Una particolarità della Moschea è che dal cortile centrale si ha accesso diretto al qanāt sottostante;
- il Takiyeh Amir Jalaleddin Chakhmagh (fig. 5 a lato), esempio di architettura timuride del 1426, dedicato al Governatore della regione in carica all’epoca. Il Takiyeh è il Teatro del cordoglio per la commemorazione dell’‘Āshūrā’ (il giorno 10 del mese di Muharram), che ricorda l’eccidio di Kerbala dell’anno 61 dell’Egira, in cui cadde Ḥuseyn, 3° Imām Sciita dopo il padre ‘Alī ibn Abū Ṭālib. Siamo, dunque, in ambito sciita e i riti che si svolgono annualmente durante l’‘Āshūrā’ in segno di lutto collettivo comprendono drammi sacri in processione, con uomini vestiti a lutto che si battono il petto al suono dei tamburi e si flagellano il corpo con catene; e il corteo della nakhl, la palma dell’‘Āshūrā’, un baldacchino di legno di palma, appunto, arricchito di stoffe e decorazioni. Il Takiyeh è il principale luogo deputato a tutto questo. Per quanto riguarda quello di Yazd, malgrado spesso il monumento sia stato considerato solo il portale d’entrata del Bāzār, la sua funzione religiosa risulta chiara, anche perché contiene una moschea della stessa epoca. Benché l’impianto e molti elementi siano da ricondursi all’epoca timuride, il portale, i minareti della moschea e alcune arcate presenti sono state aggiunti nei primi anni del XIX secolo, quindi nel periodo qajaro;
- il Mausoleo dei 12 Imām (Maghbareh-ye Davazdah Emām), architettura selgiuchide del 1038, che mostra i segni distintivi di questo stile nella cupola a forma ottagonale impostata su muri a forma quadrata. Il Mausoleo reca l’iscrizione dei 12 Imām Sciiti Duodecimani, benché nessuno di loro vi sia sepolto; l’unica sepoltura presente (senza iscrizione) è quella di Fakhreddin Esfajaroudi, uno degli Sceicchi locali venerati dal XIV secolo;
tra le architetture zoroastriane:
- l’Atash Behram (il Tempio del Fuoco della Vittoria) o Porta di Mitra (fig. 6 a lato), che testimonia l’importanza di Yazd per il culto zoroastriano, specialmente nel periodo pre-islamico. Oggi, proprio in questo Tempio, dietro una teca di vetro, il fuoco eterno arde in un braciere, alimentato da legno di mandorlo e albicocco, essenze ricche di oli e quindi lente a bruciare. Ma questo fuoco è vivo dal 470 d. C. e si trova a Yazd dal 1325. Per questo motivo Yazd tuttora attrae fedeli zoroastriani da tutto il mondo. L’edificio ad un solo piano ricalca le stesse fattezze dei templi zoroastriani indiani e in facciata reca l’immagine del Faravahar, uno dei più noti simboli dello Zoroastrismo, che porta con sé un anello simbolo del potere, quello che Ahura Mazdā consegna ai Sovrani per poter governare. All’interno, alle pareti, versetti della collezione di testi sacri dell’Avesta, un esempio del calendario zoroastriano e una rappresentazione di Zaraθuštra, il profeta persiano fondatore dello Zoroastrismo;
- i Qal’eh-ye Khamushan (le Torri del Silenzio), sulle colline di Safaiyeh, dove gli Zoroastriani bruciavano i loro morti secondo un rito antico, che prevedeva la non sepoltura per non contaminare gli elementi naturali, oggetto del loro culto. Oggi, da oltre 50 anni, i defunti vengono interrati per decreto governativo, anche se gli Zoroastriani, fedeli al loro credo, li chiudono prima in un sarcofago di cemento;
tra le architetture militari:
- le fortificazioni, realizzate in mattoni crudi e malte rinforzate con legno. La prima documentata costruzione di un bastione si deve a ‘Alā ud-Dawla Kakoui, che resse Yazd nell’XI secolo, ma la più antica porzione di mura ancora esistenti risale al 1346-47, cioè nel periodo in cui Yazd, capitale muzaffaride, ristrutturava, assieme al potere politico, la sua forma e funzione urbana. Dopo il completo rinnovo delle mura meridionali da parte di Tamerlano, che vi aggiunse nuovi barbacani, le mura hanno subito aggiunte o riparazioni nei periodi successivi. In epoca moderna grandi porzioni di mura sono state demolite, facendo spazio all’espansione urbana.
Al di là di questi pregevoli esempi di architettura, il valore intrinseco del complesso formale della Yazd tradizionale risiede nella sua concezione teorica, cioè pensata e programmata, e poi riversata nella realizzazione della città in termini di localizzazione, orientamento, utilizzo dei materiali, sfruttamento dell’economia locale. Un altro aspetto pregnante è la composizione della città con riguardo al passaggio progressivo dallo spazio strettamente privato a quello eminentemente pubblico, attraversando tutta la gradualità necessaria per evitare impatti indesiderati; così come la flessibilità delle funzioni abitative all’interno delle singole residenze.
Intanto, la casa tipica tradizionale ha forma geometrica e simmetrica, due o tre livelli e guarda verso l’interno, con le aperture dislocate attorno ad un cortile centrale aperto o anche a più cortili (fig. 7 a lato). Le stanze principali sono disposte sull’asse nord-sud, perché da sud e sud-est spirano le brezze fresche durante l’estate e quindi in questa stagione si usano le ali della casa che affacciano in queste direzioni (tabestan-neshin); viceversa durante l’inverno per le ali settentrionali (zemestan-neshin), ubicate in modo tale da poter massimizzare il riscaldamento naturale offerto dal sole. Bisogna anche tenere conto che durante la primavera e l’autunno da nord e nord-ovest provengono i venti carichi di sabbia desertica. Le ali occidentale e orientale sono adibite a servizi (cucina, bagni, dispense, magazzini) e a stanze di deposito sono anche temporaneamente adattate le camere non utilizzate per abitazione durante la stagione estiva o invernale. Se questa adattabilità stagionale di funzioni abitative interessa la casa nella sua dimensione orizzontale (cioè tra ali secondo orientamento), d’estate la flessibilità riguarda le funzioni degli ambienti durante le diverse ore del giorno, con l’utilizzazione dei vari livelli dal più basso al più elevato del tabestan-neshin con lo scorrere del tempo: in pratica il piano terra è maggiormente frequentato al mattino, per concludere la notte al livello più alto.
La corte centrale (fig. 8 a lato) può essere impiegata come giardino per il riposo, quindi con presenza di piante e alberi compatibili con il clima desertico, fontane e, ovviamente, sedili o panche; oppure, meno frequentemente, da una vera e propria piscina. Talvolta una seconda piscina posta ad un livello inferiore nella stessa corte provvede ad aumentare il grado di frescura offerta dalle superfici d’acqua. Non dimentichiamo l’effetto refrigeratore delle torri del vento, che, poste nella posizione più consona per poter meglio sfruttare i venti estivi meridionali, conducono l’aria naturalmente condizionata verso il cortile e gli spazi interni. Ma gli accorgimenti climatici non si fermano qui. A parte le soluzioni tecnologiche, come gli spazi isolanti nelle pareti costituiti da cavità riempite di pietrisco, la casa tradizionale di Yazd offre nel cortile pareti ombreggiate per le ore più calde della giornata, piani e coperture inclinate per attenuare l’impatto della luce solare, la curvatura di superfici a volta per minimizzare l’accumulo termico nello spazio sottostante.
Se la corte interna è il regno della donna, perché ambiente prevalentemente familiare al riparo da occhi indiscreti, per gli ospiti è previsto un ambiente più periferico e con accesso esterno, in maniera da poterli ospitare per le visite o anche per brevi soggiorni: si tratta di uno spazio semi-privato, prima attuazione di quel concetto di progressività delle relazioni interpersonali, cui si è accennato in precedenza. Questa gradualità è ancora individuabile nello spazio per così dire semi-pubblico costituito dal hashti, ambiente ottagonale sovrastato da una cupoletta, ubicato al lato di un crocevia, di una strada o di un vicolo cieco, posto a servizio di un gruppo di abitazioni e funzionale al ricevimento degli ospiti prima di essere introdotti in una residenza privata.
Fuori da questo contesto si apre il vero e proprio contesto pubblico, fatto di stradine tortuose, talvolta costellate di Leng-e Tagh (gli archi bassi per scoraggiare la corsa dei cavalli) e di Sabat (gli archi profondi sovrastati da ambienti di collegamento tra due edifici), fatto di caravanserragli, madāris e moschee di mattoni cotti e decorati con piastrelle multicolori, ma soprattutto di bāzārhā, i mercati coperti a cupole, il cuore pulsante della città e luoghi d’incontro per eccellenza. All’interno vi si possono trovare gli āb anbār, le cisterne d’acqua sotterranee collegate ai qanāt, raggiungibili attraverso tunnel e scale: qui davvero Yazd ostenta il suo senso di ospitalità, di socialità e di sostenibilità, consentendo al viandante, magari tra una contrattazione e l’altra con un venditore, di accedere gratuitamente alla sua risorsa più preziosa, quell’acqua fresca convogliata dalle lontane montagne e protetta lungo il suo corso, senza la quale la città avrebbe stentato a resistere per tremila anni.
Questo è il volto particolare e indimenticabile di Yazd, la Sposa del Deserto. Alla sensibilità degli uomini è devoluta le scelta di preservarlo il più a lungo possibile come testimonianza storica, ma anche come luogo della vivibilità sostenibile e della grazia estetica.