IWA MONTHLY FOCUS

FRATELLI MUSULMANI: “TAGLIAGOLE” O EROI?

Un atteggiamento schizofrenico di Occidente e governi arabi rivela che la propaganda non dà frutti. Il pragmatismo della Fratellanza indica la sua evoluzione da movimento confessionale a organizzazione politica internazionale

di Glauco D’Agostino

Jean Léon Gerome, Preghiera in Cairo (1865)

“Non abbiamo prove attendibili che la Fratellanza Musulmana abbia rinunciato al suo pluridecennale impegno alla non-violenza”. Così il 1° dicembre negli Stati Uniti la Casa Bianca ha risposto a una petizione online che pretendeva la designazione di organizzazione terroristica per il gruppo islamico. Il movimento islamista palestinese Ḥamās, tuttavia, resta nell’elenco del Dipartimento di Stato delle organizzazioni terroristiche straniere. Il 17 dicembre successivo Ḥamās è stato espunto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dall’elenco dei gruppi terroristici.

Un mese prima, il 15 novembre, gli Emirati Arabi Uniti avevano designato come organizzazioni terroristiche la Fratellanza Musulmana, il gruppo al-Islah, i due gruppi statunitensi Muslim American Society (MAS) e Council on American-Islamic Relations (CAIR) e altri 79 movimenti, tutti accomunati nella stessa accusa assieme ad al-Qāʿida, an-Nuṣrah e Boko Haram. In Egitto, dopo il bando dei Fratelli Musulmani a dicembre 2013, ad agosto la Corte Suprema Amministrativa aveva ordinato lo scioglimento del Partito al-Hurriyya al-ʿAdāla (Libertà e Giustizia), ala politica della Fratellanza, e il sequestro dei suoi beni e finanze. Ancora prima, il 7 marzo, l’Arabia Saudita aveva dichiarato organizzazione terroristica la già bandita Fratellanza Musulmana, istituendo rigide pene detentive per tutti i Sauditi che vi si affiliano, la finanziano, l’appoggiano o combattono al suo fianco, vietando le riunioni dei gruppi associati all’interno o all’esterno del Regno e i commenti online o sui media favorevoli all’organizzazione.

Comunità internazionale? Comunità schizofrenica! Valori condivisi? Piuttosto, interessi nazionali o più spesso settari che sovrintendono a meccanismi mediatici propagandistici. Come da sempre succede quando sono in corso guerre. O come succede da qualche anno a questa parte quando sono in corso “operazioni di pace”! Una delle vittime di queste ipocrite manovre politiche è proprio la Fratellanza Musulmana che, secondo le convenienze di setta, faremo precedere dall’aggettivo “terrorista” o viceversa “eroica”. E che, secondo le convenienze geo-politiche, accomuneremo ai “tagliagole del Califfato” o agli anacoreti della pietà islamica. Naturalmente, niente di tutto questo! Niente di quello che alcuni potentati laico-finanziari che manipolano i loro mass-media vogliono farci credere. Specialmente in “Occidente”. Semplicemente i Fratelli Musulmani, piaccia o no, si iscrivono a pieno titolo nell’ambito di quell’Islamismo politico che, per lo meno a partire da quasi un cinquantennio, ha deciso di puntare sul binomio Democrazia e Islamismo. È sorprendente il voltafaccia di alcuni governi nazionali europei (tra cui spicca, disinvolto, l’atteggiamento di quello italiano e del suo giocoso Primo Ministro), i quali, dopo aver sostenuto le cosiddette Primavere Arabe, oggi non solo se ne discostano, ma addirittura pronunciano la frase caratteristica dei conservatori sociali di tutti i tempi: “Si stava meglio quando si stava peggio”. E così il golpista as-Sīsī, in barba alla tanto sbandierata democrazia, diventa l’Eroe del giorno e il riferimento persino per l’ermeneutica coranica.

Naturalmente l’”Occidente” non esiste, né politicamente né culturalmente. E così capita che alcuni media occidentali (come l’Economist e il New York Times) dicano a chiare lettere che alcune democrazie occidentali hanno supportato il sovvertimento di governi islamisti liberamente eletti e che le stesse democrazie dichiarano la loro soddisfazione per l’instaurazione di regimi anti-democratici, ma con il pregio di essere laicisti. Dunque, apprezzamento non per la democrazia, ma per il laicismo. È la via di stampo franco-giacobino, su cui molti sinceri liberali di ispirazione anglosassone storcono il naso, denunciando la deriva europea rispetto a quei principi di tolleranza che proprio i “tagliateste” della Rivoluzione Francese avevano tradito subito dopo la sua vittoria e che i loro emulatori perpetuano all’attualità nella loro declinazione dei concetti di libertà. Sì, perché la frettolosa liquidazione dell’esperienza democratica islamica, per quanto imperfetta, ha spianato la strada a tutte quelle correnti estremiste che non aspettavano altro di dimostrare che l’applicazione dei principi islamici è possibile solo con la violenza. A dire il vero, sul piano storico, il fatto che un’idea per assioma ritenuta giusta necessiti della violenza per trionfare, gli “orientali” (forse dovremmo chiamarli così) lo hanno imparato dagli “occidentali” da circa un secolo, da quando l’esaltazione bellica scaturita dalla mistica delle due ignobili guerre mondiali ha fatto scempio del mondo islamico, assoggettandolo a ciniche logiche di potere geo-politiche e ideologiche, entrambe esogene rispetto al proprio modo di vivere e di pensare. Con questo retroterra di esperienze, molti Musulmani (la maggior parte) avevano deciso di ricompattare le fila dietro un’idea di recupero della propria identità, ma rispettando le regole di convivenza civile che regolano (queste sì!) la comunità internazionale e con questo si erano allineati ai canoni della cosiddetta “civiltà occidentale”. Questa era ed è la strada indicata dai Fratelli Musulmani. Di fronte al tradimento della parte peggiore di questa esogena presunta civiltà, molti, ma molti più Musulmani che in precedenza sono disposti a fornire una qualche forma di solidarietà allo Stato Islamico e ad al-Qāʿida, an-Nuṣrah e Boko Haram.

Chi dovrebbe oggi recitare il mea culpa?

Certo, alcune Cancellerie europee e soprattutto le relative opinioni pubbliche pensano di aver estromesso i Fratelli Musulmani dal panorama politico, solo a seguito delle norme liberticide che attualmente regolano il rapporto tra il regime egiziano e il proprio popolo. Questa superficialità è frutto della poca conoscenza dei fenomeni che strutturano l’Islamismo, e la Fratellanza Musulmana in particolare. Molte fonti rivelano l’articolazione internazionale dell’organizzazione, malgrado le smentite di molte delle sue branche siano determinate dalla necessità di non incorrere nei rigori delle leggi repressive di alcuni Stati nei loro confronti. Tuttavia, 60 sarebbero i Paesi che registrano una loro presenza, tra cui quasi tutti i Paesi Arabi, molti di quelli europei e gli Stati Uniti, pur dovendo registrare una rivendicazione di autonomia organizzativa rispetto all’ordinamento gerarchico dell’organizzazione centrale e pur nell’ambito di una sostanziale identità di riferimenti culturali. Dunque, più che un’articolazione di azione politica, un collegamento di pensiero e un’opera di influenza intellettuale. Il che dovrebbe maggiormente preoccupare i loro detrattori, perché con la violenza puoi sconfiggere temporaneamente un presidio sul campo, ma non puoi sconfiggere un’idea. Anche perché il radicamento della Fratellanza sul territorio si basa sull’azione sociale (prima che politica) e che è il vero elemento di successo e di apprezzamento popolare.

D’altra parte, la Storia ci insegna che l’internazionalizzazione dei Fratelli Musulmani si consolidò proprio a seguito delle brutali repressioni laiciste compiute da Nasser contro di loro negli anni ’50 e ’60 e culminate nell’impiccagione di Sayyid Quṭb nel 1966. Dopo questo evento cruciale, i Fratelli Musulmani avrebbero preso chiaramente le distanze dall’ideologia della lotta armata e si sarebbero avviati verso un moderatismo basato sulla tolleranza e sull’economia di mercato, al contrario di altri gruppi egiziani come Takfir wal-Hijrā, al-Jihād, Jamā‘a Islāmiyya ed altri.

Prima di questi avvenimenti, la Fratellanza aveva tentato di espandere la propria presenza al di fuori dell’Egitto e segnatamente verso la Palestina, la Giordania, la Siria e l’Iraq, per poi raggiungere il Maghreb e le altre aree del Medio Oriente sulla base di una contestazione anti-neocoloniale. Le sue radici in Europa e negli Stati Uniti, impiantate negli anni ’60, evidenziano un’ovvia flessibilità nella strategia delle priorità tematiche: mentre in Egitto, Medio Oriente e Maghreb i diritti umani, le libertà politiche e la condizione sociale hanno la preminenza nella ricerca di un consenso che effettivamente la ponga come alternativa ai regimi autoritari laici dei Paesi dell’area, in Occidente si tratta di lottare per raggiungere soltanto un riconoscimento di presenza culturale da parte di istituzioni e società civile, il che non appare scontato, come ancora oggi è evidente. Ancora diverso il discorso a Gaza, dove Ḥamās nasce nel 1987 sulla scorta della spinta di una lotta contro l’occupazione straniera, che lo caratterizza come movimento di liberazione; la svolta di prospettive inizia a prendere forma dal 2004, dopo l’assassinio terroristico dello Shaykh paraplegico Aḥmad Ismā’īl Yāsīn (nella foto sopra) (a proposito, nous sommes tous Aḥmad), uno dei fondatori di Ḥamās, quando il movimento comincia a strutturarsi come organizzazione politica. Ḥamās avrebbe poi segnato il primo successo democratico della Fratellanza Musulmana, vincendo nel 2006 le elezioni politiche in Palestina e conquistando quasi il 60% dei seggi del Consiglio Legislativo Palestinese; naturalmente l’esito elettorale inaspettato avrebbe indispettito quel giacobinismo sempre presente nei Paesi “democratici” (Israele, Stati Uniti, Europa), il quale, nel suo estremismo radicale, non ha nessuna convenienza alla democratizzazione delle forze politiche e dell’area in generale e così mette in campo le sue armi migliori: il colpo di stato e la guerra civile. Così come anni dopo nell’Egitto di Morsi! E in piena continuità con le ispirazioni massimaliste della “democrazia alla Robespierre”!

Ancora prima, la questione dell’opzione democratica degli Islamisti aveva sollevato una grande attenzione già dagli anni ’80 con le iniziative di Ghannouchi e la fondazione in Tunisia di Ḥizb an-Nahḍa (che non è filiazione dei Fratelli Musulmani, ma a loro è stata ispirata fin dalle origini) e agli inizi degli anni ‘90 in Algeria. Il successivo colpo di stato ad Algeri e la brutalità della seguente repressione hanno per la prima volta interrotto l’iniziativa democratica, non solo del Fronte Islamico di Salvezza, ma anche degli Islamisti di orientamento riformatore e moderato e dei Fratelli Musulmani come Djaballah Guetaf, Younsi e Nahnah. Gli stessi Fratelli Musulmani non sarebbero stati coinvolti nell’ondata di violenze politiche che avrebbe dato vita a tanti movimenti armati fino alla formazione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento. E la stessa comparsa di al-Qāʿida nel Paese del Maghreb Islamico è da addebitare in gran parte agli sviluppi della negazione della democrazia in Algeria.

Poi, con le aperture istituzionali alla democrazia, nascono i partiti ispirati alla Fratellanza Musulmana e finalizzati ai processi elettorali: al-Islah in Yemen (dal 1990), il Partito Giustizia e Sviluppo in Marocco (dal 1998), Tawassoul in Mauritania (dal 2007), Libertà e Giustizia in Egitto (dal 2011), il Partito Giustizia e Sviluppo in Libia (dal 2012), il Mouvement pour le Développement et la Liberté a Djibouti (sempre dal 2012). Alcuni di questi, come a Gaza, in Marocco ed Egitto, acquisiscono il consenso e poi conquistano il potere istituzionale sulla base del binomio Democrazia e Islamismo, almeno fin quando l’esperimento politico non sia stato interrotto dai già citati processi antidemocratici messi in atto a Gaza e in Egitto.

E oggi? Qual è la consistenza dei Fratelli Musulmani nella comunità internazionale? Cerchiamo di enuclearne la strutturazione in alcuni Stati in cui si registra una loro vitalità anche dopo la caduta di Morsi e l’introduzione del totalitarismo in Egitto, tenendo presente che a tutt’oggi sono coinvolti nelle formazioni di governo in Marocco, Somalia, Palestina e Sudan:

Egitto

Fig. 97 - Il Presidente egiziano Moḥamed MorsiLa Fratellanza, accreditata di un milione di affiliati, è etichettata come organizzazione terroristica e a tutti i suoi membri è stato vietato di partecipare alle elezioni o ad attività politiche. È stata devastata da una delle repressioni più dure della sua storia: una campagna di arresti e divieti ha preso di mira le sue organizzazioni affiliate e i suoi principali leader, tra cui la sua riservata Murshid al-‘am (Guida Generale) Muḥammad Badi‘ e il Presidente liberamente eletto Morsi (nella foto a fianco), che sono sotto processo e potrebbero subire la pena di morte. Il Partito Libertà e Giustizia, che ha vinto praticamente tutte le elezioni da quando nel 2011 la sollevazione aveva rovesciato il Presidente autocratico ed ex-Generale dell’Esercito Hosnī Mubārak, ha presentato obiezione formale alla Corte d’Appello del Cairo per le Questioni Urgenti contro lo scioglimento e la liquidazione dei suoi capitali. Maḥmud Abū ʿl-Enein, membro della Commissione giuridica del partito, dice che l’interdizione “contraddice la legge egiziana” e Human Rights Watch ha affermato che le misure adottate dal governo egiziano per etichettare la Fratellanza Musulmana come gruppo ”terroristico” sono state guidate politicamente e “finalizzate ad ampliare la repressione verso le pacifiche attività della Fratellanza”.

L’Alleanza Nazionale per la Difesa della Legittimità, fondata nel 2013 come principale coalizione islamista appoggiata dalla Fratellanza Musulmana, continua ad organizzare proteste sin dal colpo di stato militare e il 25 gennaio scorso ha subito almeno 15 morti e 35 feriti durante le manifestazioni per il quarto anniversario della Rivoluzione. Il partito centrista Miṣr al-Qawwiyya (Forte Egitto) del medico ʿAbdel-Munʿim Abū’l-Futūḥ dice che il boicottaggio pubblico delle elezioni di maggio scorso ha messo in dubbio affermazioni dei media che l’opinione pubblica si sia unita sugli ultimi sviluppi politici in Egitto.

Palestina

La presenza della Fratellanza è rappresentata da Ḥamās, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwwama al-Islāmiyya (Movimento di Resistenza Islamico). ‘Izz ad-Dīn al-Qassām, la sua ala militare, era richiamata nella lista iniziale che il Consiglio dell’Unione Europea aveva istituito nel dicembre del 2001 per congelare i fondi delle organizzazioni terroristiche. Il suo braccio politico era stato aggiunto due anni dopo. Ḥamās aveva impugnato la decisione e recentemente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha rilevato che questa era stata “basata non su atti esaminati e confermati in decisioni delle autorità competenti, ma su accuse di fatto derivate dalla stampa e da internet”.

Il Primo Ministro palestinese in carica Rāmī Ḥamdallāh è oggi frutto dell’assenso di Ḥamās ad avere un governo di unità nazionale con potestà insieme su Cisgiordania e Striscia di Gaza per la prima volta in sette anni. Infatti, Ḥamās ha elogiato il “governo di consenso nazionale, che rappresenta tutto il popolo palestinese” e a Gaza il suo leader Ismā’īl Haniyeh, il quale legittimamente rivendicava la carica di Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese a seguito della nomina del 16 febbraio 2006, ha invece elogiato la mossa “storica”​​ dell’insediamento del governo Ḥamdallāh. Il Primo Ministro israeliano Binyamin Netanyahu aveva abbandonato i colloqui di pace con Abū Mazen, dopo che a fine aprile dell’anno scorso questi aveva annunciato la volontà di formare un governo di unità nazionale, e ha ripetutamente affermato che Israele non avrebbe cooperato con una leadership palestinese che includa Ḥamās, considerata un gruppo terroristico.

L’incontro di metà marzo 2014 a Dōḥa tra Khālid Masha’l, Capo dell’Ufficio Politico di Ḥamās, e Ramaḍān Shallāḥ, Segretario Generale del Movimento per il Jihād Islamico in Palestina, ha reso evidente un cambiamento in atto nella geo-politica medio-orientale: ad ottobre 2013 Ḥamās aveva infatti ritirato il suo sostegno di lunga durata alla rivolta sunnita in Siria. Da allora ha attenuato le sue posizioni intransigenti nei confronti di Damasco e ha rafforzato i legami con il movimento sciita libanese Ḥizb Allāh, mentre, di pari passo, ha colmato le divergenze storiche con il Movimento per il Jihād Islamico in Palestina, da sempre saldo alleato di Tehrān nell’area. Ḥamās, in un primo tempo neutrale, aveva dovuto prendere posizione a favore dei ribelli sunniti siriani che combattevano gli `Alawīti soprattutto sulla spinta dell’opinione pubblica in Palestina e aveva chiuso il proprio quartier generale di Damasco, che aveva sostituito nel 2001 quello di Amman dopo l’espulsione dalla Giordania nel 1999. D’altra parte, l’influenza sciita di Tehrān su Ḥamās opportunamente non era mai debordata sul piano religioso, ideologico e culturale, osservando un pieno rispetto dell’identità sunnita del movimento e soprattutto della sua base di riferimento in Palestina. Così Ḥamās, come filiazione dei Fratelli Musulmani, ha evitato di enfatizzare qualsiasi disputa dottrinale e dogmatica, non soltanto per evidenti ragioni di opportunità politica, ma anche in ossequio ai principi di riavvicinamento tra Sunniti e Sciiti e di solidarietà tra Musulmani cui si ispira la Fratellanza, specialmente quando l’Islam subisce l’attacco da forze esterne al suo mondo.

Giordania

La Fratellanza, stabilitasi nel Regno hāshemita nel 1945, ha mantenuto un’utile relazione con la Monarchia (che la considerava una leale opposizione), specialmente durante il regno di Ḥuseyn tra il 1953 e il 1999. E ancora prima Re ‘Abdallāh, che l’aveva riconosciuta nel 1946 come associazione caritatevole, aveva incluso nel governo il suo segretario ‘Abd al-Ḥākim ad-Dīn. Tuttavia, pur mantenendo intatta la sua fedeltà istituzionale, altre volte il movimento ha apertamente espresso la propria contrarietà alla politica governativa, in particolare in tema di politica estera: come quando ha considerato troppo morbida la posizione di opposizione hāshemita al trattato di pace separato che il Presidente egiziano Anwār as-Sādāt aveva firmato nel 1979 con Israele; o come quando, dopo l’invasione iraqena dell’Iran nel 1980, si è opposto all’appoggio della Giordania al regime socialista ba’athista di Ṣaddām Ḥusayn, per il fatto che questa decisione si sarebbe concretizzata in un’aggressione all’unico movimento islamista vincente su base popolare del mondo musulmano e cioè proprio quello degli Āyatollāh.

Dal 1992 l’ala politica della Fratellanza Musulmana giordana è il Fronte d’Azione Islamica (Jabhat al-‘Amal al-Islami).

Europa

La fondazione nel 1960 di una moschea a Monaco, in Germania, segna il consolidarsi della presenza islamica in Europa. Ne è mentore Sa’īd Ramaḍān, genero del fondatore della Fratellanza Musulmana Ḥasan al-Bannā’ e già suo segretario privato, il quale si era stabilito a Ginevra, in Svizzera, da dove incomincia ad attrarre in Europa personalità musulmane dal Medio Oriente, dando vita ad una raffinata comunità culturale. Da quel momento i Fratelli, anche grazie all’azione in Germania di uomini come Muṣṭafā Mashhur e Muḥammad Mahdī ‘Ākif (poi rispettivamente 5a e 7a Guida Generale), si sarebbero insediati in tutti i Paesi dell’Unione Europea e perfino in Russia e Turchia.

Dal 1989 centinaia di organizzazioni islamiche di 28 Stati europei sono riunite nella Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa (FIOE) (il suo logo a destra), “basata sulla moderazione e l’equilibrio, che rappresenta la tolleranza dell’Islam”. La Federazione, che ha sede a Bruxelles, malgrado le attribuzioni di appartenenza alla Fratellanza Musulmana, ha smentito le illazioni, confermando l’esistenza di buoni rapporti: “Siamo interconnessi da un punto di vista comune”. Lo stesso può dirsi per due altre associazioni nate con il supporto della FIOE: il Forum della Gioventù e delle Organizzazioni Studentesche Musulmane (FEMYSO), fondata nel 1996; e il Consiglio Europeo per la Fatwā e la Ricerca (ECFR), fondazione privata nata nel 1997 a Dublino e presieduta dal teologo egiziano Yūsuf al-Qaraḍāwī. I suoi membri, per statuto residenti in Europa in numero non inferiore al 75%, si rivolgono “al Mondo Musulmano e alle minoranze musulmane dell’Occidente” per promuovere la Sharī’a nella vita personale di ciascuno, non per sostituire gli attuali sistemi giuridici con il diritto sharī’atico.

Fondamentale per il dibattito sul futuro dei Musulmani in Europa è l’opera dello scrittore svizzero Tāriq Sa’īd Ramaḍān, nipote diretto dell’Imām Ḥasan al-Bannā’, per il suo chiaro appello alla necessità per i Musulmani di integrarsi nella società europea.

Altre organizzazioni ritenute vicine ai Fratelli Musulmani sono indicate da alcuni studiosi:

  • l’Associazione dei Musulmani Britannici (MAB), organizzazione dedicata sin dalla fondazione nel 1997 a temi sociali come: “aumento della popolazione criminale e carceraria, insuccesso dell’istruzione, diffusione del razzismo, aumento dell’islamofobia, tossicodipendenza, violenza e crescente sconnessione dei giovani dalla società”;
  • l’Iniziativa Musulmana Britannica (BMI), nata nel 2007 dalla precedente associazione “per combattere razzismo e islamofobia, (…) incoraggiare la partecipazione dei Musulmani alla vita pubblica britannica e migliorare le relazioni tra l’Occidente e il Mondo musulmano”;
  • la Fondazione Cordoba (TCF) dell’iraqeno Anas at-Tikriti, un think tank indipendente di ricerca politica, che dalla fondazione nel 2005 promuove “il dialogo interculturale e la coesistenza tra le civilizzazioni, le idee, le culture e i popoli”, in particolare tra il Mondo musulmano e l’Occidente.

Stati Uniti d’America

Nel 1963 all’Università dell’Illinois alcuni affiliati alla Fratellanza Musulmana e al movimento teo-democratico Jamā‘at-e-Islami danno vita alla Muslim Students’ Association (MSA National).

Nel 1982 in Indiana nasce la più grande famiglia di organizzazioni islamiche (oggi più di 4.000), la Islamic Society of North America (ISNA) (il suo logo a sinistra), con l’apporto della Muslim Students’ Association tra i fondatori.

L’anno prima in Pennsylvania i Fratelli Musulmani avevano finanziato le attività preliminari per la creazione dell’International Institute of Islamic Thought (IIIT), organizzazione no-profit fondata per realizzare progetti di ricerca, organizzare incontri intellettuali e culturali e pubblicare lavori scientifici.

Nel 1993 e 1994 nascono rispettivamente la Muslim American Society (MAS) e il Council on American-Islamic Relations (CAIR), i due gruppi ritenuti affiliati alla Fratellanza Musulmana e ora designati come organizzazioni terroristiche dagli Emirati Arabi Uniti, benché nel Paese del Golfo non intendano avere alcun ruolo. La prima, stabilita in Virginia, ha partecipato agli incontri promossi negli anni dalla Commissione per gli Affari Ecumenici e Interreligiosi della Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti. Il secondo, basato a Washington, D.C., è stimato di alto profilo e annovera tra i suoi frequentatori eminenti personalità americane, tra cui politici, leader interreligiosi, giornalisti e produttori del mondo dei media.

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È evidentemente troppo esteso procedere per singole Nazioni nel registrare la presenza dei Fratelli Musulmani, per cui indicheremo soltanto alcune notazioni per grandi aree geo-politiche:

Africa Orientale

La Fratellanza Musulmana è presente in Sudan da quando il teologo wahhābita Ḥasan ‘Abdallāh et-Turabi, che poi sarebbe stato Presidente del Parlamento durante gli anni ‘90, già negli anni ‘60 aveva fondato il Fronte Nazionale Islamico sudanese. Poi ne sarebbe stato leader fino al 1999, per poi abbandonarlo quando la leadership del Fronte, nel frattempo divenuto Congresso Nazionale, sarebbe stata conquistata dal Generale ‘Omar Ḥasan Aḥmad el-Bashir, attuale Presidente del Sudan da ottobre del 1993.

In Somalia due sono le formazioni di riferimento: Harakat al-Islah (Movimento di Riforma), organizzazione nata nel 1978 ad opera di Sheykh Moḥamed Aḥmed Nur “Garyare”, il cui obiettivo è la creazione di uno Stato Islamico, ma con la marcatura di riforma e rinascita dell’Islam per affrontare le sfide del mondo moderno. Nonostante la difficoltà della situazione politica e istituzionale in Somalia, il movimento conferma a tutt’oggi le basi democratiche della sua struttura anche sul piano interno, eleggendo il proprio Presidente all’interno di un Consiglio Consultivo, la Shura; Damul Jadid (Sangue Giovane), fuoriuscito da Islah nel 2004, che oggi esprime il Presidente della Somalia Ḥasan Sheykh Moḥamud e da marzo dello scorso anno accoglie lo stesso “Garyare”.

Africa Nord-Occidentale

In Mauritania nel 1974 i Fratelli Musulmani avevano ispirato la formazione della Jamā‘a al-Islāmiyya (Gruppo Islamico), primo movimento islamico del Paese. Il 3 agosto 2007 sono autorizzati i primi due partiti islamisti, tra cui il Rassemblement National pour la Réforme et le Développement (informalmente Tawassoul, Intercessione), ispirato dai Fratelli Musulmani e di cui è fondatore e Presidente Moḥammad Jemil Ould Manṣūr. Dopo l’entrata per la prima volta nella compagine governativa nel 2008, alle elezioni parlamentari di dicembre 2013 Tawassoul ha conquistato 16 seggi su 146 dell’Assemblea Nazionale.

In Algeria due sono i movimenti che fanno riferimento alla Fratellanza Musulmana: Harakat an Nahḍa al-Islāmiyya (Movimento di Rinascita Islamica), fondato nel 1989 dal predicatore riformista Saad ‘Abd Allāh Djaballah Guetaf, che è stato espulso dal movimento nel 1998 e oggi è Presidente del Front pour la Justice et le Développement (comunemente el-‘Adāla); e Harakat Mujtama’ as-Silm (Movimento della Società per la Pace), nato nel 1991 ad opera di Shaykh Mahfoud Nahnah come riedizione di Harakat al-Mujtama’ al-Islāmī (Movimento per la Società Islamica) fondato un anno prima. I due movimenti sono collocati all’opposizione e sono molto critici nei confronti del Presidente algerino ‘Abdelaziz Bouteflika.

In Marocco Ḥizb al-‘Adāla wa’t-Tanmiyya (Partito Giustizia e Sviluppo), ispirato dai Fratelli Musulmani benché non dichiari ufficialmente alcuna affiliazione internazionale, esprime il Primo Ministro ‘Abdelillāh Benkirane, leader del Partito da luglio 2008, in virtù della vittoria ottenuta il 25 novembre 2011 alle elezioni parlamentari, che gli hanno affidato 107 dei 395 seggi disponibili. Già alle elezioni legislative del 2002 il Partito aveva ottenuto il 12,99% dei suffragi e 42 seggi e nel 2007 aveva conquistato il secondo posto alle elezioni legislative, ottenendo 46 seggi. Giustizia e Sviluppo, nato nel 1998 ad opera del chirurgo ‘Abdelkrim el-Khatib, aveva subito dato visibilità alla sua presenza, quando aveva proposto l’annullamento progressivo dell’interesse bancario, in quanto considerato usura; e sarebbe diventato maggiormente utile alle conquiste sociali, appoggiando nel 2004 l’approvazione del nuovo Codice di Famiglia che ha reso possibile alle donne l’acquisizione di maggiori diritti.

Penisola Arabica

In Yemen i Fratelli Musulmani sono rappresentati in Parlamento dalla Congregazione Yemenita per la Riforma (nota come al-Islah). Fondata subito dopo la nascita del nuovo Stato unificato dall’ex mujāhid della guerra anti-sovietica in Afghanistan Shaykh ’Abdul Majid az-Zindani, la formazione è stata la maggiore alleata del Presidente Hādī e per questo, in seguito alle recenti vicende politiche, il suo ruolo è ora ridimensionato rispetto al passato.

In Arabia Saudita, come si è detto all’inizio, la Fratellanza Musulmana non solo non può esprimere un proprio partito (perché i partiti sono vietati), ma è anche stata dichiarata organizzazione terroristica. Tuttavia, la sua capacità di agire sulle coscienze individuali svolge indubbiamente un’opera di orientamento culturale: per esempio, molte sono state le voci di condanna del colpo di stato in Egitto, che l’Arabia Saudita ha invece riconosciuto e largamente finanziato, e quelle di disapprovazione del comportamento dei Salafiti egiziani del partito an-Nour, considerato collegato ai Sauditi; o, ancora, molte sono state le proteste per i massacri di Rābiʿa al-ʿAdawiyya ordinati da Sīsī da parte di intellettuali sauditi che pur non aderiscono alle posizioni politiche dei Fratelli Musulmani.

Le nuove disposizioni nei confronti della Fratellanza hanno provocato la reazione dei suoi esponenti: “È uno dei principi fondanti del gruppo non interferire nelle questioni di altri Stati e questa nuova posizione del Regno è un allontanamento completo dai rapporti del passato con il gruppo, sin dal governo del Re fondatore fino ad ora”. E Amnesty International ha dichiarato che le autorità saudite potrebbero usare la legge per sopprimere il pacifico dissenso politico.

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