Palestina – La direttiva UE sugli insediamenti nei Territori invia un forte messaggio a Israele

Gli insediamenti ebraici nei Territori occupati palestinesi non sono considerati parte dello Stato di Israele, secondo il diritto internazionale

La riaffermazione della posizione da parte di Bruxelles riflette importanti cambiamenti sul terreno in Cisgiordania e a Gerusalemme Est

Elaborazione da fonte: Ian Black, Middle East editor, in guardian.co.uk,

Le direttive europee sono concise, ma scritte in un impenetrabile linguaggio burocratico e sono il prodotto di lunghe ore di dispute nelle commissioni di Bruxelles, ma possono ancora inviare un forte segnale. La furiosa reazione del governo israeliano sottolinea un punto importante sul conflitto più difficile del mondo: gli insediamenti ebraici nei Territori occupati palestinesi (nella cartina allegata la situazione a gennaio 2006) non sono considerati parte dello Stato di Israele, secondo il diritto internazionale.

Questa esplicita riaffermazione della posizione dell’Unione Europea intende porre fine all’ambiguità che ha permesso a Israele di mantenere ed espandere sin dalla guerra del 1967 la propria presenza al di là del confine dell’antica “linea verde”, senza incorrere in costi rilevanti.

“La clausola di applicabilità territoriale” dell’Unione Europea enuncia che possono derivare conseguenze dalla violazione delle risoluzioni dell’ONU e della legalità internazionale. Non enormi, in verità, ma potrebbero interessare i finanziamenti, la cooperazione, borse di studio, fondi di ricerca e premi per enti che operano negli insediamenti ebraici in Cisgiordania e Gerusalemme Est, i cui abitanti sono oggi circa 520.000. L’Università Ariel nei pressi della città palestinese di Nablus è un ovvio bersaglio.

Gli scambi commerciali tra l’UE e Israele non saranno interessati, anche se vi è una crescente domanda di una chiara etichettatura dei prodotti originari degli insediamenti, il cui valore ammonta a circa 200 milioni di sterline sugli 8,3 miliardi di esportazioni israeliane verso l’UE nel 2011.

Le nuove linee-guida di Bruxelles non sono certo il “terremoto” descritto a Gerusalemme. Ma rispecchiano i cambiamenti sul terreno nel territorio che la destra israeliana chiama con i nomi biblici di Giudea e Samaria e che non riconosce come il cuore delle aspirazioni nazionali palestinesi. L’impazienza dell’UE è cresciuta anche perché è rimasta un “pagatore piuttosto che un giocatore”, visto che finanzia l’Autorità Palestinese e paga il conto di un “processo di pace” inesistente o virtuale.

Sullo sfondo c’è il fallimento dei negoziati, le persistente agonia della soluzione dei due Stati e la recente elezione di un governo israeliano che in realtà non sembra credere nell’idea.

Anche i Palestinesi hanno chiaramente fallito, paralizzati dalla loro incapacità di superare le divergenze tra l’OLP e Ḥamās, ma vivono sotto occupazione militare, sono la parte più debole e sono indiscutibilmente le principali vittime dei 46 anni di status quo. È a loro che vanno prevalentemente le simpatie europee.

L’opinione pubblica liberale in Israele ha accolto con favore la mossa dell’UE, come prova, nelle parole della scrittrice di Haaretz Barak Ravid, “dello stato di bassa considerazione in cui è sprofondata Israele in Europa e di quanto sia pericoloso [il suo] strisciante isolamento internazionale”. La politica degli insediamenti del governo è stata anche un “chiaro e immediato pericolo per l’economia”. Il gruppo anti-occupazione Gush Shalom l’ha definita “un secchio di acqua fredda sulla testa di un ubriaco”.

La difesa automatica europea di Israele, nata dal senso di colpa per l’Olocausto, è ormai una cosa del passato. Eppure, stabilendo la legge sulla netta distinzione tra Israele e i Territori occupati, i governi dell’UE stanno agendo per allontanare richieste di un più ampio, più completo boicottaggio di Israele. Se i Palestinesi alla fine disperassero di ottenere uno Stato proprio e passassero invece ad una lotta per la parità dei diritti stile-Sud Africa, tali richieste sarebbero più difficili da contrastare.

Tzipi Livni, Ministro della Giustizia di Israele e veterana di negoziati con i Palestinesi, ha avvertito di recente che, se il processo di pace rimanesse congelato, l’UE potrebbe imporre sanzioni commerciali su tutti i prodotti israeliani. I provvedimenti potrebbero cominciare con interessare gli insediamenti, ha avvertito, ma non si fermerebbero con loro. Quindi, le parole da Bruxelles potrebbero rivelarsi più significative di un semplice dettaglio.

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