Repubblica Islamica dell’Iran – Negoziato aperto con gli USA per evitare il ritiro dal TNP

L’Articolo X del Trattato di Non Proliferazione Nucleare consente a uno Stato di recedere dal Trattato se a difesa dei suoi interessi supremi

di Jamie Kwong*

The second session of U.S.-Islamic Republic of Iran nuclear talks will open tomorrow in Rome, following the first meeting a week ago in Oman. Islamic World Analyzes offers our Italian translation of Jamie Kwong’s article from Carnegie because its talented author, operating according to the intentions assumed by the prestigious Washington-based think-tank, clearly illustrates the terms of the ongoing negotiations to at least mitigate hostility between the two countries that has lasted for 45 years. Averting Tehrān’s exit from the NPT, put forward by the Iranian government in the event of deal failure, is the main intention of the talks and should be the methodology to be adopted by both sides. On the other hand, we add, an Iran devoid of atomic deterrence and subjected to the IAEA and the international community strict controls needs optimal and high-level guarantees on its security, in a geopolitical context such as the Middle East where a dangerous player, Israel, no longer meets the limits of international law, exercising its military influence and the consequent power of nuclear deterrence, without any inspections by the NPT, which it has never joined. This evident disparity did not prevent Tehrān’s political leadership from signing in 2015, together with the United States, the JCPOA limiting the Islamic Republic’s nuclear program. Just the White House’s short-sightedness during the first Trump Administration could induce Washington to abandon the Agreement, except that, after seven years, reevaluating the need for a new bilateral opening of talks. Despite Tehrān’s apparent reluctance, Rome seems the right place for further success of the initiative, for Italy’s energy and geopolitical interests in the Gulf region and the role played in the JCPOA favour by the High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy, the Italian Federica Mogherini, during the years of negotiation and entry into force of the Agreement.

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Si apre domani a Roma la seconda sessione dei colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Repubblica Islamica dell’Iran, facendo seguito al primo incontro di una settimana fa in Oman. Islamic World Analyzes presenta la sua traduzione in Italiano dell’articolo di Jamie Kwong per Carnegie perché la sua brava autrice, operando secondo i propositi assunti dal prestigioso think-tank con sede a Washington, illustra con chiarezza i termini della trattativa in corso per almeno attenuare un’ostilità tra i due Paesi che dura da 45 anni. Scongiurare l’uscita di Tehrān dal TNP, avanzata dal governo iraniano in caso di fallimento della trattativa, è il principale intendimento dei colloqui e dovrebbe essere la metodologia da adottare da entrambe le parti. D’altra parte, aggiungiamo noi, un Iran privo della deterrenza atomica e sottoposto ai ferrei controlli dell’AIEA e della comunità internazionale ha bisogno di garanzie ottimali e di alto livello in ordine alla sua sicurezza, in un contesto geo-politico come quello medio-orientale in cui un pericoloso player, Israele, non risponde più ai limiti del diritto internazionale, esercitando la sua influenza militare e il conseguente potere di deterrenza nucleare, senza alcuna ispezione contemplata dal TNP, cui non ha mai aderito. Questa evidente disparità non aveva impedito alla dirigenza politica di Tehrān di sottoscrivere nel 2015, anche assieme agli Stati Uniti, il JCPOA limitante il programma nucleare della Repubblica Islamica. Solo la poca lungimiranza della Casa Bianca durante la prima Amministrazione Trump poteva indurre Washington ad abbandonare l’Accordo, salvo oggi a rivalutare, dopo sette anni, la necessità di una nuova apertura bilaterale dei colloqui. Roma, nonostante l’apparente ritrosia di Tehrān, sembra la sede giusta per un ulteriore successo dell’iniziativa. Per gli interessi energetici e geo-politici dell’Italia nella regione del Golfo e per il ruolo svolto in favore del JCPOA dall’Alta Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, l’italiana Federica Mogherini, durante gli anni della trattativa e dell’entrata in vigore dell’Accordo.

Libera traduzione da: Carnegie Endowment for International Peace, aprile 2025

L’Iran sta esaurendo la sua influenza

Fondamentalmente, Tehrān cerca di ridurre la paralizzante pressione economica e, sempre più, strategica. Vuole liberarsi dalle sanzioni internazionali e unilaterali che hanno gravemente limitato le sue attività economiche, precluso opportunità di investimento e bloccato la crescita e lo sviluppo iraniani. E ha bisogno di tempo e spazio per riprendersi da una serie di colpi strategici che hanno significativamente ridotto la sua posizione e influenza nella regione.

Questi obiettivi, tuttavia, non possono essere raggiunti senza risolvere la questione nucleare. La decennale disputa sulla portata e le dimensioni del suo programma nucleare è stata estremamente costosa per l’Iran e ha limitato significativamente la sua libertà d’azione nel perseguire altri interessi nazionali. Ma oltre cinque anni di tentativi falliti di ripristinare completamente l’accordo sul nucleare iraniano, dopo il ritiro degli Stati Uniti e le successive violazioni iraniane, hanno gravemente limitato il numero di carte che Tehrān ha ancora da giocare.

Tehrān potrebbe, naturalmente, decidere di provare a costruire armi nucleari. La sua significativa espansione delle attività sensibili alla proliferazione dal 2019 significa che ha a disposizione percorsi più praticabili per farlo rapidamente. Tuttavia, è altamente probabile che la decisione di procedere con la militarizzazione venga rilevata, provocando praticamente una risposta militare da parte di Israele e forse anche degli Stati Uniti – un esito probabilmente devastante che i leader iraniani hanno assiduamente cercato di evitare.

Le linee recenti suggeriscono che i leader iraniani potrebbero invece confluire su una tattica diversa, per ottenere una leva negoziale: minacciare di ritirarsi dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Il TNP è il fondamento dell’architettura globale che proibisce la diffusione di armi nucleari. Se l’Iran dovesse sfidare decenni di sforzi internazionali per impedirgli di sviluppare armi nucleari, abbandonando questo trattato fondamentale, infliggerebbe un duro colpo alla continua fattibilità politica del sistema di non proliferazione nucleare. L’Iran potrebbe quindi ritenere la minaccia di un ritiro dal TNP come il modo migliore per ottenere una leva per raggiungere i propri obiettivi.

Contrastare qualsiasi strategia di ritiro richiede una diplomazia inventiva. Gli Stati Uniti ed altri Paesi perseguiranno naturalmente misure coercitive. Ma il successo richiederà probabilmente anche incentivi e azioni positive per elencare chiaramente i modi in cui rimanere nel TNP potrebbe avvantaggiare l’Iran. La comunità internazionale deve attingere a tutta l’influenza a sua disposizione per impedire il ritiro iraniano.

Quali carte ancora da giocare?

L’Iran ha cercato di ottenere una leva sufficiente, senza oltrepassare limiti che avrebbero potuto innescare attacchi militari, anche contro i suoi impianti nucleari. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano nel 2018, l’Iran ha ampliato il suo programma nucleare in modo graduale e sempre più significativo, passando dalle iniziali violazioni dei limiti di stoccaggio alla ripresa delle attività di arricchimento dell’uranio ben oltre i limiti dell’accordo, passando per altre attività sensibili alla proliferazione.

Inizialmente, Tehrān mirava a ottenere una leva negoziale nel contesto di una serie di tentativi di ripristinare completamente l’accordo. Quando ciò è fallito, ha spostato la sua attenzione sul raggiungimento di uno status di soglia per armi nucleari, dalla quale avrebbe potuto acquisire potere contrattuale attraverso una minaccia più tecnicamente capace di trasformare rapidamente il suo programma nucleare. Da allora Tehrān ha cercato di trarre vantaggio da tale status sfruttandolo come deterrente e ha ulteriormente cercato di far avanzare la sua posizione contrattuale, anche avvicinandosi a una Mosca sempre più ricettiva.

Ma l’Iran potrebbe aver esagerato. Le sue attività nucleari espanse e gli sforzi per limitare il monitoraggio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) hanno, per molti versi, reso la minaccia di un possibile sviluppo di armi nucleari fin troppo credibile.

Invece di offrire a Tehrān una posizione favorevole alla contrattazione, questa espansione ha reso la comunità internazionale molto scettica nei confronti delle affermazioni iraniane secondo cui il suo programma sarebbe interamente pacifico.

Di conseguenza, le parti europee dell’accordo sul nucleare iraniano (Francia, Germania e Regno Unito, note collettivamente come E3) stanno seriamente valutando l’attivazione del cosiddetto meccanismo di “ripresa delle sanzioni”, che reimposterebbe tutte le sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite all’Iran sospese ai sensi dell’accordo sul nucleare iraniano, prima della scadenza di tale disposizione nell’ottobre 2025. Separatamente, la seconda Amministrazione Trump ha ripristinato una politica di “massima pressione”, sebbene, presumibilmente, lo avrebbe fatto indipendentemente dallo stato del programma nucleare iraniano. Trump ha anche minacciato di imporre sanzioni secondarie o addirittura di bombardare l’Iran se non raggiungerà un nuovo accordo sulla questione nucleare.

Nel frattempo, lo storico “conflitto ombra” tra Iran e Israele è diventato sempre più aperto e diretto. Da quando la milizia di Ḥamās, sostenuta dall’Iran, ha condotto un attacco mortale contro Israele nell’ottobre 2023, Israele ha intrapreso una vasta campagna per indebolire l’Iran e il suo cosiddetto “asse di resistenza”. Oltre a condurre una guerra di logoramento contro Ḥamās, che ha significativamente indebolito il gruppo e ha anche devastato Gaza, Israele ha preso di mira altri leader-chiave delle milizie e ha effettuato attacchi paralizzanti contro i sistemi di difesa aerea iraniani, esponendo e accentuando le vulnerabilità militari dell’Iran. Assieme alla caduta del regime di Baššar al-Asad in Siria, questi sviluppi hanno solo minato ulteriormente la posizione negoziale dell’Iran, riducendone la forza e l’influenza regionale, nonché la sua capacità di difendersi dagli attacchi militari ai suoi impianti nucleari.

La centrale elettrica di Bushehr del programma nucleare iraniano in una foto del 2015

In questo contesto di eventi, i funzionari iraniani hanno cercato modi per recuperare la leva perduta. I leader ora fanno regolarmente riferimento al ritiro dal TNP come a un imperativo per la sicurezza nazionale. A dire il vero, il ritiro dell’Iran potrebbe non essere un chiaro indicatore della sua intenzione di costruire armi nucleari. Da una posizione di enorme debolezza, Tehrān potrebbe percepire una minaccia di uscita dal Trattato, pur rimanendo a un passo dal raggiungere la bomba atomica, come una delle carte più forti che gli restano da giocare nel tentativo di ottenere la leva che cerca così disperatamente.

La posta in gioco

Anche se non accompagnato da una decisione di passare effettivamente al nucleare [militare, N.d.T.], il ritiro dell’Iran dal TNP avrebbe conseguenze disastrose per gli sforzi volti a prevenire la proliferazione iraniana e l’ulteriore diffusione di armi nucleari.

Il TNP è una linea di difesa fondamentale contro un Iran dotato di armi nucleari. Impone all’Iran l’impegno di non sviluppare armi nucleari e richiede un monitoraggio internazionale delle garanzie che fornisca alla comunità internazionale la certezza che l’Iran non stia barando. In cambio, l’Iran mantiene il diritto all’uso pacifico della tecnologia nucleare. Il Trattato fornisce una base giuridica, legata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per ritenere l’Iran responsabile di questo impegno di non proliferazione. E, poiché il Trattato è un accordo quasi universale, la comunità internazionale ha tutto l’interesse a far rispettare l’impegno dell’Iran, rischiando altrimenti un effetto domino di proliferazione in Medio Oriente.

Se l’Iran svilupperà armi nucleari, anche l’Arabia Saudita ha affermato che lo farà. La proliferazione iraniana e saudita, a sua volta, potrebbe indurre altri attori regionali a perseguire i propri programmi. Qualsiasi corsa agli armamenti di questo tipo sarebbe altamente destabilizzante in una regione già instabile, le cui conseguenze si farebbero sentire in tutto il mondo.
Tutto ciò non significa che il TNP sia uno strumento perfetto. Perfino in qualità di membro del Trattato, l’Iran ha violato le sue garanzie e gli accordi di monitoraggio, anche rifiutandosi di risolvere le questioni in sospeso e non condividendo le informazioni progettuali sui nuovi impianti nucleari in costruzione. Ha anche bloccato l’attuazione del Protocollo Aggiuntivo [accettata provvisoriamente dall’Iran nel 2015 con la sottoscrizione del JCPOA, N.d.T.]. Ma la situazione sarebbe significativamente peggiore se l’Iran abbandonasse il Trattato.

Il ritiro comporterebbe molto probabilmente la perdita totale dell’accesso internazionale e della supervisione del programma nucleare iraniano. Senza questo monitoraggio, la comunità internazionale non avrebbe un modo affidabile per sapere se l’Iran stia costruendo armi nucleari. Anche se Tehrān istituisse un accordo di salvaguardia al di fuori del TNP, la comunità internazionale probabilmente considererebbe altamente discutibile qualsiasi iniziativa che non sia la piena attuazione di un accordo di salvaguardia completo, e, idealmente, del Protocollo Aggiuntivo. Questa mancanza di trasparenza nel programma nucleare iraniano aumenterebbe il rischio di errori di calcolo e di escalation alimentata da ipotesi pessimistiche. Israele potrebbe, ad esempio, interpretare qualsiasi sviluppo programmatico rilevato attraverso i mezzi di sorveglianza nazionale come un segnale della decisione di Tehrān di dotarsi di armi nucleari. Senza una rassicurazione attendibile che dica il contrario, potrebbe citare questo sviluppo come giustificazione per lanciare un attacco contro gli impianti nucleari iraniani. Ciò segnerebbe una nuova e molto più pericolosa fase di confronto aperto nella regione.

Il ritiro iraniano potrebbe anche minare la fiducia degli attori regionali nella capacità del sistema di non proliferazione di limitare efficacemente le ambizioni nucleari di Tehrān. Questa disillusione, a sua volta, potrebbe offrire ad altri un motivo – o una scusa – per abbandonare i propri obblighi derivanti dal Trattato. Questa cascata di ritiri non solo aumenterebbe il rischio di una corsa agli armamenti nucleari a livello regionale, ma minerebbe anche radicalmente il TNP e il più ampio regime di non proliferazione che sostiene.

Negoziare attraverso il ritiro?

Data la posta in gioco, Tehrān potrebbe ritenere che sfruttare la minaccia del ritiro dal TNP sia un’utile strategia negoziale per raggiungere i propri obiettivi.

L’Iran potrebbe, ad esempio, minacciare di abbandonare il Trattato a meno che gli Stati Uniti e altri non frenino ulteriori aggressioni israeliane. Potrebbe anche cercare di ottenere sollievo economico. A seguito delle indicazioni di alti funzionari iraniani secondo cui [l’Iran, N.d.T.] si ritirerebbe nel caso in cui le sanzioni venissero “riassunte” prima di ottobre, l’Iran potrebbe interpretare l’assenza di una decisione E3 per attivare questo meccanismo come prova dell’efficacia delle minacce di ritiro.

Tehrān potrebbe impiegare ulteriori tattiche per rafforzare l’efficacia della minaccia di ritiro. Ad esempio, potrebbe lanciare una campagna internazionale per qualificare la sua minaccia di ritiro come una valida risposta alla percepita violazione del suo diritto alla tecnologia nucleare pacifica, come sancito dal TNP. Potrebbe provare a ottenere supporto da altri Stati che sono solidali con le argomentazioni secondo cui il Trattato discrimina i Paesi in Via di Sviluppo, il che potrebbe, a sua volta, vanificare gli sforzi degli Stati Uniti, dell’E3 e di altri per attrarre ulteriori Stati per esercitare pressioni sull’Iran.

La strategia negoziale di ritiro offre anche potenziali vie per alzare la posta in gioco. Se Tehrān non raggiungesse i suoi obiettivi solo con la minaccia del ritiro, potrebbe avviare il processo di ritiro vero e proprio invocando l’Articolo X del TNP. L’Articolo X consente a uno Stato di recedere dal Trattato se decidesse che eventi straordinari legati all’oggetto del Trattato abbiano messo a repentaglio i suoi interessi supremi. Secondo questa disposizione, uno Stato deve dare un preavviso di tre mesi per il suo ritiro. Tehrān potrebbe valutare che questa pressione temporale costringerebbe gli interlocutori a sedersi al tavolo delle trattative e contribuirebbe a ottenere concessioni in cambio della recessione dal ritiro.

Infine, se ancora insoddisfatto, l’Iran potrebbe completare il ritiro dal TNP e utilizzare la prospettiva di un suo ritorno al Trattato come leva negoziale.

Tuttavia, il ritiro effettivo dal Trattato potrebbe inavvertitamente ridurre l’eventuale potere contrattuale che Tehrān potrebbe aver acquisito. Supponendo che vengano fatti tentativi per impedire il ritiro iraniano, la comunità internazionale avrebbe probabilmente poca fiducia nel fatto che Tehrān mantenga la sua parte in un eventuale accordo per il ritorno al Trattato. E senza più barriere legali che impediscano all’Iran di sviluppare armi nucleari, gli Stati potrebbero decidere di non avere altra scelta che adottare le risposte più punitive per impedire la proliferazione iraniana.

Ma anche al di là dei rischi di un’effettiva uscita dal Trattato, una strategia negoziale di ritiro dal TNP presenta dei costi intrinseci. Perseguendo un simile approccio, l’Iran potrebbe aspettarsi un contraccolpo internazionale sotto forma di misure diplomatiche, economiche, legali e forse anche militari. E se le sue tattiche di ritiro innescassero una cascata di ritiri a livello regionale, potrebbe trovarsi ad affrontare una maggiore insicurezza. Uno scenario in cui i vicini dell’Iran abbandonassero il Trattato per perseguire strategie di copertura nucleare, ad esempio, attenuerebbe i benefici percepiti in termini di sicurezza derivanti dal suo status di soglia. Uno scenario in cui il ritiro dell’Iran precipitasse la regione nella presenza di molteplici Stati dotati di armi nucleari sarebbe ancora peggiore per Tehrān, sbilanciando l’equilibrio di potere regionale a scapito di qualsiasi presunto vantaggio iraniano.

Prevenire il ritiro iraniano

Nonostante i rischi e i potenziali costi, l’Iran potrebbe comunque decidere che perseguire questa strategia di ritiro sia l’opzione migliore che gli rimane. Gli Stati Uniti, l’E3 e altri attori-chiave devono impegnarsi seriamente per convincere Tehrān del contrario.

Le sole misure punitive probabilmente non saranno sufficienti. Gli Iraniani vivono da anni le privazioni derivanti dalle sanzioni internazionali; è improbabile che il semplice aumento della pressione esistente costringa i leader iraniani a cedere. Inoltre, l’evoluzione del partenariato tra Mosca e Tehrān implica che la Russia probabilmente cercherà di proteggere l’Iran dagli effetti di queste misure. La Cina ha sempre più manifestato la volontà di fare lo stesso.

Gli Stati che intendono limitare il programma nucleare iraniano dovranno invece adottare uno sforzo articolato che bilanci eventuali misure coercitive con la garanzia che tali misure non sarebbero imposte o riprese se l’Iran invertisse la rotta. È fondamentale che tale sforzo includa anche incentivi positivi accompagnati da rigide disposizioni per la permanenza dell’Iran nell’ambito del TNP e il rispetto dei suoi obblighi di non proliferazione, nonché misure che dimostrino come l’adesione dell’Iran al TNP ne rafforzi la sicurezza.

Prevenire efficacemente il ritiro iraniano richiederà anche il coordinamento di azioni differenziate da parte dei vari Stati, a seconda delle loro relazioni con l’Iran.

In risposta a una minaccia esplicita di ritiro iraniano, una serie di misure coordinate potrebbe concentrarsi sulle sanzioni e sulla loro potenziale riduzione. Francia, Germania e l’Unione Europea in senso più ampio, assieme al Regno Unito, potrebbero offrire un alleggerimento delle sanzioni a determinate condizioni, come ad esempio: l’Iran non deve dare seguito alla minaccia di ritiro e deve ribadire il suo impegno nei confronti del TNP ai massimi livelli; l’Iran deve rispettare pienamente gli accordi di salvaguardia dell’AIEA e forse anche ulteriori requisiti di monitoraggio per evitare che Tehrān neghi l’accesso alle ispezioni dell’AIEA per eventuali ulteriori vantaggi; e l’Iran deve adottare misure-tampone sul nucleare, come la limitazione delle attività di arricchimento e l’astensione da ricerche sensibili sulla produzione di armi.

In cambio, l’Europa potrebbe impegnarsi a ridurre la pressione economica sull’Iran. Ma invece di concentrarsi sull’alleggerimento delle sanzioni europee, che potrebbero non fornire molto in termini di effetti economici rapidi e tangibili per l’Iran, i leader europei potrebbero lavorare, ad esempio, con alcuni Stati del Golfo che hanno espresso interesse ad aumentare gli scambi commerciali con Tehrān. In particolare, la riduzione delle restrizioni europee che hanno limitato il commercio e gli investimenti dell’Iran nel Golfo potrebbe avere un impatto maggiore sui calcoli di Tehrān. Per facilitare questo impegno e contribuire a rendere questo alleggerimento ancora più credibile dal punto di vista iraniano, sia i leader europei che quelli del Golfo potrebbero anche lavorare per convincere Washington a revocare alcune sanzioni secondarie, che hanno ostacolato gran parte dell’impegno economico tra Golfo e Iran.

Se l’Iran non aderirà alle disposizioni, compreso il ricorso all’Articolo X, l’E3 potrebbe attivare il meccanismo di “ripresa delle sanzioni” prima della sua scadenza a ottobre. Ciò assesterebbe un grave colpo diplomatico all’Iran, garantendo che il dossier nucleare rimanga aperto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Reintrodurrebbe gravi restrizioni sull’economia iraniana e, indipendentemente dal fatto che tutti gli Stati applichino tali restrizioni, complicherebbe gli sforzi dell’Iran per eludere le sanzioni. Inoltre, e in uno scenario in cui il meccanismo di “ripresa delle sanzioni” fosse scaduto, gli Europei potrebbero lavorare a stretto contatto con gli Stati Uniti per imporre un rispetto più ampio delle sanzioni attraverso sanzioni secondarie. Ciò potrebbe aumentare ulteriormente la pressione sull’economia iraniana. L’applicazione delle norme ad alto livello potrebbe anche contribuire a creare ulteriori colli di bottiglia, rendendo più difficile per l’Iran eludere efficacemente le sanzioni.

Folla ai funerali del Generale Qāsim Sulaimānī nella città natale Kermān

Una seconda serie di misure coordinate potrebbe concentrarsi sulle implicazioni del ritiro dal TNP per la risoluzione pacifica della più ampia questione nucleare. Gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero evidenziare come la mancanza di trasparenza e di supervisione del programma nucleare iraniano, come discusso in precedenza, potrebbe rendere l’Iran più vulnerabile ad attacchi alimentati da ipotesi peggiori.

Questo non deve necessariamente – e non dovrebbe – assumere la forma di una minaccia esplicita di intervento militare USA in caso di ritiro dell’Iran. Piuttosto, i funzionari USA potrebbero evidenziare nei forum internazionali rilevanti che il ritiro dell’Iran aumenterebbe drammaticamente le incertezze tecniche sul programma e sulle attività nucleari dell’Iran, rendendo estremamente impegnativa qualsiasi nuova negoziazione o accordo sulla questione nucleare. Il suo ritiro potrebbe anche rischiare di spingere alcuni leader USA ad avviare piani e preparativi per rendere più credibile la minaccia di un’azione militare in caso di militarizzazione dell’Iran. Potrebbe anche spingere Washington a perseguire accordi di sicurezza più forti con altri attori regionali, non solo per contrastare l’Iran, ma anche per aiutare a prevenire un ritiro e, soprattutto, una proliferazione a cascata.

È importante sottolineare che questi sforzi potrebbero avere un impatto maggiore sui calcoli dell’Iran se accompagnati da rassicurazioni credibili sul fatto che Washington eserciterebbe moderazione qualora Tehrān non si ritirasse e cessasse le altre attività potenzialmente pericolose in termini di proliferazione. Washington potrebbe iniziare, ad esempio, rilasciando una dichiarazione chiara e ad alto livello in cui affermasse di essere effettivamente disposta a limitare per ora i negoziati alle preoccupazioni relative alla militarizzazione del programma nucleare iraniano, che Tehrān ha indicato come un’apertura necessaria per eventuali colloqui futuri.

Nel frattempo, l’E3 potrebbe integrare questi sforzi, sottolineando il valore dell’adesione dell’Iran al TNP. Potrebbero spiegare come il mantenimento del Trattato avrebbe un effetto positivo di garanzia per Tehrān. Se l’Iran collaborasse pienamente con l’AIEA, gli Stati avrebbero poche ragioni per fare supposizioni pessimistiche sul suo programma, rafforzando così la sicurezza dell’Iran. La Cina potrebbe trasmettere un messaggio simile e potrebbe essere in una posizione migliore per favorirne la risonanza tra i leader iraniani, dati i recenti sforzi di Pechino per mediare un nuovo accordo nucleare e la sua disponibilità a sostenere la posizione iraniana.

I Paesi in Via di Sviluppo con ruoli di rilievo nel sistema del TNP, come Brasile ed Egitto, potrebbero ulteriormente rafforzare questi sforzi per segnalare un impegno più ampio sulla questione e indebolire le tattiche negoziali iraniane. Potrebbero affermare chiaramente che è l’adesione dell’Iran al TNP a garantire il suo diritto alla tecnologia nucleare pacifica. Potrebbero anche chiarire che, in caso di ritiro, la mancanza di monitoraggio internazionale, unita alla retorica dell’Iran sulla sua capacità tecnica di costruire la bomba, indebolirebbe significativamente qualsiasi potenziale attrattiva per gli Stati favorevoli alle argomentazioni sulla discriminazione nel TNP.

Conclusione

In un momento in cui il regime di non proliferazione è in gravi difficoltà, proteggere il TNP dalle manovre politiche di Tehrān non potrebbe essere più urgente. Prevenire il ritiro dell’Iran dal TNP è un passo cruciale nel più ampio sforzo volto a prevenire l’armamento iraniano e l’ulteriore diffusione delle armi nucleari.

L’obiettivo di tali sforzi non dovrebbe essere quello di revocare o limitare il diritto dell’Iran a ritirarsi dal TNP. L’obiettivo dovrebbe essere quello di convincere Tehrān che la migliore possibilità di raggiungere i suoi obiettivi è rimanere nel Trattato e rispettare pienamente i suoi obblighi, piuttosto che rinunciare a negoziare la sua adesione al TNP.

 

* Jamie Kwong è ricercatrice presso il Programma di Politica Nucleare del Carnegie Endowment for International Peace. La sua ricerca si concentra sulle questioni di non proliferazione, sulla Penisola coreana e sui regimi multilaterali, tra cui il Processo P5 e il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Ha anche condotto nuove ricerche sul nesso tra cambiamento climatico e armi nucleari ed è autrice del documento del Carnegie, How Climate Change Challenges the U.S. Nuclear Deterrent.

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