EGITTO REAZIONARIO:
“LA DEMOCRAZIA È MIA E ME LA GESTISCO IO”
L’insostenibile leggerezza del populismo e delle lobbies affaristiche d’Occidente
di Glauco D’Agostino
Le tentazioni golpistiche del moralismo laico-militarista sono il vero pericolo per la democrazia. Ancora oggi
Sorpresa? Nemmeno un po’. Alla fine i detrattori della democrazia si sono rivelate le forze laico-militariste, che storicamente hanno come strumento politico tipico il colpo di stato. Se non ve lo ricordate, alla fine dell’articolo sono riportati alcuni dei colpi di stato (al netto di quelli solo tentati) condotti a termine da militari o ispirati da formazioni laiche nei Paesi del mondo musulmano.
Quanto sta succedendo in Egitto ricalca il solito copione, già visto e rivisto negli anni: prima, grandi enunciazioni verbali di difesa della democrazia, costosissimi simposi internazionali per riaffermare le nostre incrollabili certezze sul valore imprescindibile dei principi democratici, da difendere, se è il caso, anche con la fermezza dei giusti; poi, al primo golpe militare che sovverte l’ordine democratico con l’imposizione dei carri armati per le strade, si tenta di far passare la linea che sì, va bene, non bisogna esagerare. Colpo di stato? Quale colpo di stato? Al massimo, qualche analista ben informato (con annesso titolo accademico da esibire) ci rende edotti che non di colpo di stato si tratta, ma di “intervento correttivo”. Certo, non avevamo dubbi. È questione di semantica. Basta cambiare nome alle cose e, d’incanto, quelle cose cambiano la loro essenza. (Sarebbe come dire che il raid contro le Torri Gemelle di New York non è stato un attacco: dopo tutto sono cadute per un cedimento strutturale).
Incredibile! Eppure c’è qualcuno che afferma l’inesistenza del golpe. Naturalmente dall’alto delle sue competenze (tante!) e sempre al servizio del vincitore. Ma qui è sorto un piccolo problema: chi è il reale vincitore? Troppo intempestive le dichiarazioni di taluni esperti subito dopo il colpo di stato. E ora si rischia di perdere la credibilità presso le lobbies di riferimento e, quel che è peggio, le prebende per fare il lavoro mediatico sporco commissionato.
Nessuno sa che fare e nessuno sa come interpretare correttamente. Il Presidente della Repubblica d’Egitto ha come fonte di legittimazione istituzionale non il popolo, ma la ferrea volontà militare che parla a nome del popolo. (A proposito, che ne direste se questa nuova forma di democrazia fosse esportata anche in Occidente?). La Presidenza egiziana prima annuncia di avere conferito l’incarico di Primo Ministro ad uno stimato personaggio sì, ma espressione di un non quantificabile movimento della rumorosa minoranza: e il rumore, lo si sa, è l’essenza della democrazia, come viene insegnato in talune università progressiste occidentali. Poi, la stessa Presidenza di cui sopra, con l’assenso dei sempre più spaventati generali golpisti, fa filtrare agli organi di stampa dichiarazioni che aumentano l’incertezza: chi l’ha detto? L’incarico a chi? Ancora non abbiamo deciso niente. Avete capito male. Questo è un regime che difende la democrazia popolare e quindi stiamo consultando Piazza Taḥrīr. Peccato che nella Piazza simbolo della Rivoluzione del 2011 ci siano anche i Salafiti di an-Nour, i quali, in un primo tempo favorevoli all’intervento militare, poi ne prendono le distanze e per di più bocciano la candidatura del Premio Nobel per la Pace al-Barādʿī, che così, forse conscio di essere stato utilizzato, vede la propria brillante carriera al servizio delle lobbies di stato e internazionali piegarsi ad accettare una posizione di seconda scelta: il prezzo della riesumazione, in attesa di gloria futura. Neanche a parlare del povero “neo-premier ad interim”, assolutamente ininfluente nelle decisioni di coloro che contano.
Insomma, il caos.
La situazione si aggrava quando incominciano ad essere divulgate le prime dichiarazioni pubbliche:
– il Ministro degli Esteri britannico William Hague dichiara alla BBC: “È un pericoloso precedente, se un Presidente può essere deposto dai militari poi, naturalmente, un altro può esserlo in futuro”;
– il senatore democratico USA Patrick Leahy, Presidente della Commissione Giustizia, dice che “la legge è chiara: gli aiuti americani sono esclusi quando un governo democraticamente eletto viene deposto da un colpo di stato militare. Mentre lavoriamo sul nuovo bilancio, la mia Commissione valuterà futuri aiuti al governo egiziano, in attesa di un quadro più chiaro. In quanto più antica democrazia del mondo, in questo momento riaffermiamo il nostro impegno per il principio che i trasferimenti di potere dovrebbero avvenire in seguito ad un voto, non con la forza delle armi”;
– il senatore repubblicano USA John McCain, candidato presidenziale nel 2008, dichiara dall’Arizona: “Ho riflettuto a lungo su questo, ma credo che dobbiamo sospendere l’aiuto ai militari egiziani, perché l’esercito egiziano ha ribaltato il voto del popolo d’Egitto. Non possiamo ripetere gli stessi errori che abbiamo fatto in altri momenti della nostra storia, sostenendo la rimozione dei governi liberamente eletti. Lo dico con grande riluttanza, ma gli Stati Uniti d’America penso debbano imparare le lezioni della storia e cioè: non possiamo stare senza agire nei casi in cui i governi liberamente eletti sono spodestati dai militari di quelle nazioni” ha concluso.
Evidentemente le motivazioni dei moti di piazza scatenati contro il legittimo Presidente Morsi non erano così genuine. Forse c’è dell’altro. E qualcuno che non ha la mente influenzabile se n’è accorto.
Quale il futuro? Certo, un compromesso è sempre possibile. Per esempio (come proposto), andare al voto di nuovo, questa volta sotto l’occhio attento di sciabole, alamari e cingolati e forse questa volta le genuine forze democratiche laiche riusciranno a conseguire l’agognata vittoria. L’unica, questa sì, che verrebbe accolta con giubilo nei vellutati salotti dell’intelligentsia occidentale, quella del politically correct, per intenderci. Come dire, votiamo tante volte, fino a quando non vinciamo noi.
Povera democrazia! Ridotta a brandelli da interpreti del nuovo ordine mondiale, spesso ipocriti, senza ideali da difendere e in molti casi anche esecutori di burattinai senza volto. Tanto varrebbe, senza scomodare la democrazia, ammettere la legittimità dell’uso della forza tanto in sede internazionale quanto in sede interna, che è il film che vediamo da oltre un secolo e che i dotti chiamano “necessità della geopolitica”.
Per il resto, la democrazia la vorrebbero relegare nell’ambito dei dibattiti teorici, o meglio invocarla soltanto quando fa comodo. Appunto, secondo il motto “La democrazia è mia e me la gestisco io”.
Alcuni tra i principali colpi di stato condotti a termine da militari e/o ispirati da formazioni laiche nei Paesi del mondo musulmano
Anno |
Paese |
Ispiratore |
Uomo forte |
|
1952 |
Egitto |
Movimento dei Liberi Ufficiali |
Gen. Muḥammad Yūsuf Najīb |
|
1953 |
Consiglio del Comando Rivoluzionario |
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1954 |
Col. Abū Khālid Jamāl ‘Abd an-Nāṣir Ḥusayn (Nasser) |
|||
Siria |
Bloc national (sinistra) |
Hashim Bay Khālid al-Atāssī |
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1957 |
Tunisia |
Néo-Destūr |
Habib ben Ali Bourguiba |
|
1958 |
Iraq |
Partito Nazional-Democratico (sinistra) |
Gen. ‘Abd al-Karīm al-Qāsim e Col. ‘Abd as-Salām ‘Āref |
|
1962 |
Yemen |
Nasser |
Col. ‘Abd Allāh Yaḥyā as-Sallāl |
|
1963 |
Siria |
Partito Arabo Socialista Ba’ath |
Hashim Bay Khālid al-Atāssī |
|
Iraq |
‘Abd as-Salām ‘Āref |
|||
1965 |
Algeria |
Consiglio Nazionale della Rivoluzione |
Col. Houari Boumédiène |
|
1966 |
Siria |
Partito Arabo Socialista Ba’ath |
Gen. Ḥāfiẓ al-Asad |
|
1969 |
||||
Libia |
Nasser |
Ten. Mu‘ammar Abū Minyar al-Qaḏāfī |
||
1970 |
Siria |
Partito Arabo Socialista Ba’ath |
Gen. Ḥāfiẓ al-Asad |
|
1973 |
Afghanistan |
Principe Muḥammad Dāwud Khān |
||
1978 |
Mauritania |
Comité Militaire de Redressement National |
Col. Muṣṭafā Ould Saleck |
|
Afghanistan |
Partito Democratico Popolare (di ispirazione comunista) |
Nur Moḥammed Taraki |
||
1979 |
Hafizullah Amin |
|||
Mauritania |
Comité Militaire de Salut National |
Col. Aḥmed Ould Bouceif e Col. Moḥamed Khouna Ould Haidalla |
||
1980 |
Col. Moḥamed Khouna Ould Haidalla |
|||
1983 |
Burkina Faso |
Libia |
Blaise Compaoré |
|
1984 |
Mauritania |
Comité Militaire de Salut National |
Col. Ma‘āwīya Ould Sīdī Aḥmad aṭ-Ṭāya‘ |
|
1987 |
Burkina Faso |
Front Populaire |
Blaise Compaoré |
|
Tunisia |
Bettino Craxi (Italia) |
Gen. Zine el-Abidine ben Ali |
||
1990 |
Tchad |
Mouvement Patriotique du Salut |
Idriss Déby Itno |
|
1992 |
Algeria |
Esercito |
||
1994 |
Gambia |
Esercito |
Col. Yaḥyā ‘Abdul-Aziz Jemus Junkung Jammeh |
|
2005 |
Mauritania |
Consiglio Militare per la Giustizia e la Democrazia |
Col. Ely Ould Moḥamed Vall e Col. Moḥamed Ould ‘Abd el-Aziz |
|
2007 |
ANP |
al-Fataḥ |
Maḥmud ‘Abbās |
|
2008 |
Mauritania |
|
Gen. Moḥamed Ould ‘Abd el-Aziz e Gen. Moḥamed Ould Sheykh Moḥamed Aḥmed el-Ghazouani |
|
2010 |
Niger |
Conseil Suprême pour la Restauration de la Démocratie |
Luogotenente Generale Salou Djibo |
|
Guinea-Bissau |
Esercito |
Gen. Antonio Indjai |
||
2012 |
||||
Mali |
Esercito |
Cap. Amadou Haya Sanogo |
||
2013 |
Rep. Centrafricana |
Coalizione Séléka |
Michel Am-Nondokro Djotodia |
|
Egitto |
Tamarod |
Gen. ʿAbd al-Fattāḥ Ḫalīl as-Sīsī |