TEHRĀN VERSO PECHINO E MOSCA: LE ALLEANZE STRATEGICHE E IL SUPERAMENTO DELLE DIVERGENZE
di Glauco D’Agostino
La crisi in Ucraina sembra avere deviato l’attenzione del mondo dagli eventi geo-politici orientali. Eppure è l’Oriente a determinare i maggiori cambiamenti negli assetti globali. Dopo l’espulsione dall’Afghanistan, quello che suscita maggiori preoccupazioni alla Casa Bianca è la crescente importanza che assume l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, visto che l’aggregazione regionale d’iniziativa cinese comprende ormai anche Russia, Iran e, soprattutto, l’India. Washington esprime opposizione al potere commerciale cinese e alla Road and Belt Initiative, al surge imperiale della Russia, ma non riesce a superare neanche i veti alla ripresa della trattativa del JCPOA con l’Iran e perde la solidarietà dell’India coinvolta nel Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza asiatica. Forse il conflitto in Ucraina ha svelato un isolamento americano che, in prospettiva, si intravede anche nel difficile rapporto con i partner alleati europei, cui la Casa Bianca impone l’interruzione dell’approvvigionamento energetico da Mosca e veti sull’apertura ai progetti infrastrutturali della Via della Seta.
Questa analisi di Glauco D’Agostino, incentrata sulle relazioni crescenti, ma non sempre facili, tra Tehrān, Pechino e Mosca, è precedente alla crisi ucraina e la sua versione in Inglese è stata per prima pubblicata a febbraio scorso in “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XX, nr. 92-93 (1 / 2022) “INFRASTRUCTURI CRITICE EMERGENTE – RISCURI GEOPOLITICE“.
Sommario:
Se Tehrān guarda oggi a Pechino e Mosca, l’Occidente può solo rimpiangere la sua stessa miopia nella politica estera. L’ammissione dell’Iran alla SCO rompe l’isolamento internazionale dovuto alle sanzioni USA. La nuova leadership di Raisi, ma anche i cosiddetti “moderati”, non hanno potuto ignorare il problema che rischia di mettere in ginocchio la nazione. Non c’è dubbio che la fuoruscita unilaterale americana dal JCPOA e il suo uso muscolare della forza in Medio Oriente abbia spinto l’Iran ad accentuare la sua già presente visione geo-politica verso Est.
La Repubblica Islamica ha maturato intense relazioni con Cina e Russia. Tehrān guarda con grande apertura alla Belt and Road Initiative e con fiducia all’alleanza strategica con Mosca in Medio Oriente, benché i problemi non manchino soprattutto nell’area caucasica. In più, Pechino e Mosca sono partner nel JCPOA e possono giocare un importante ruolo nella ripresa delle trattative sul nucleare. La capacità di mediazione delle leadership cinese e russa si potrà valutare sul terreno della loro flessibilità. Tutto questo si inquadra anche nella forte contesa in atto tra USA e Cina e che ha la sua manifestazione esplicita nel teatro geo-strategico del Golfo e dell’Indo-Pacifico. L’India, l’Asia Centrale, il Caucaso, il Caspio, il Medio Oriente compreso Israele sono aree per cui la Cina sarà gioco-forza mediatrice di interessi contrapposti. Anche l’Iran dovrà tenere conto che la politica cinese di non-interferenza esclude l’allineamento con la logica dei blocchi, visti i suoi buoni rapporti con Arabia Saudita, Emirati e Israele.
Le relazioni tra Repubblica Islamica e Federazione Russa sono ambivalenti e riguardano soprattutto il Caucaso e il Caspio in funzione dei corridoi trasportistici. L’Iran potrebbe avere interesse sia a mantenere il suo asse con Armenia e Russia posti sul Corridoio Nord-Sud, sia ad aprire un rapporto con Turchia e Azerbaijan per motivi geo-strategici. Le reciproche diffidenze nascono proprio dall’incertezza del quadro geo-politico e dalla mutevolezza delle alleanze, che, fuori dalla logica ideologica del passato, sono flessibili e si costruiscono sui nuovi parametri lungimiranti del XXI secolo.
Parole-chiave: Iran, Cina, Russia, SCO, Belt and Road Initiative, JCPOA, sanzioni, corridoi trasportistici, non-interferenza, contesa USA-Cina, logica dei blocchi, Indo-Pacifico, Asia Centrale, Medio Oriente, Caucaso, Caspio.
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L’accesso alla SCO e le sanzioni americane
Il 17 settembre scorso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), riunita nella capitale tajika Dushanbe, ha dato il suo assenso all’ingresso della Repubblica Islamica dell’Iran come membro permanente dell’organizzazione. Adesso dovrà seguire l’iter per la piena appartenenza, come già avvenuto per Pakistan e India, membri dal 2017.
La decisione premia la costanza dell’Iran, che è già ammesso come stato osservatore dal 2005, nel perseguire questo obiettivo attraverso un graduale avvicinamento diplomatico, che alla fine ha prodotto i suoi frutti. Già dal 2007 Tehrān, con il Presidente Maḥmūd Aḥmadinejād, era partecipe di incontri multilaterali con i Capi di Stato delle 6 nazioni (Cina, Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan) che nel 2001 avevano fondato questa aggregazione regionale di carattere politico, economico e di sicurezza.[1] Nel 2008 la prima richiesta di ammissione era stata respinta per l’opposizione di alcuni stati dovuta alle sanzioni ONU sul nucleare. Lo stesso si era verificato l’anno dopo per la contrarietà del Tajikistan. L’accelerazione è avvenuta quando, a marzo del 2020, Pechino e Tehrān annunciarono un accordo per 400 miliardi di dollari USA in investimenti cinesi in Iran nei successivi 25 anni: era una prima visibile apertura verso l’accettazione di Tehrān nella SCO.[2] Esattamente un anno dopo, quell’accordo è stato formalizzato come partenariato strategico globale, con particolare riguardo ai settori energetico, infrastrutturale e tecnologico.[3]
La SCO, sostitutiva del Trattato sulla Fiducia Militare nelle Regioni Frontaliere (Gruppo di Shanghai) siglato nel 1996, raggruppa otto Paesi che rappresentano oggi il 40% della popolazione mondiale, il 20% del PIL globale e il 60% del continente euro-asiatico in termini di estensione.[4] Pechino la considera come uno strumento del multilateralismo e un’espressione della propria volontà politica di non-interferenza che impiega nella politica internazionale nel mondo.[5]
Sembra pensarla così anche il neo-Presidente iraniano Ebrāhīm Raisi, il quale, rivolgendosi ai leaders della SCO, secondo quanto riporta il Jerusalem Post, ha detto: “Il mondo è entrato in una nuova era. L’egemonia e l’unilateralismo hanno fallito … L’equilibrio internazionale d’ora in poi tende al multilateralismo e alla ridistribuzione dei poteri verso Paesi indipendenti. Le sanzioni unilaterali non prendono di mira un solo Paese. È diventato evidente che, negli ultimi anni, hanno colpito maggiormente i Paesi indipendenti, in particolare i membri della SCO”.
Il tema, da parte iraniana, sembra ruotare attorno all’isolamento internazionale cui Tehrān è costretta dalle sanzioni USA imposte da Trump e confermate da Biden. L’ammissione alla SCO rompe questo isolamento, dandole nuova forza per resistere alle pressioni occidentali. Senz’altro, la nuova leadership di Raisi e dei cosiddetti “intansigenti” ha facilitato l’abbraccio con Pechino. Ma anche i cosiddetti “moderati” non hanno potuto in passato e non possono oggi ignorare il problema dell’isolamento e delle “illegali e disumane”[6] sanzioni, che rischia di mettere in ginocchio la nazione. La volubilità della politica estera USA ha causato sconcerto tra gli Iraniani, ha messo in difficoltà la Presidenza Ruhani e ha fatto apparire la perdurante stretta americana contro l’Iran come un pericoloso cappio al collo. Dopotutto, il partenariato strategico globale con Pechino è stato gestito e siglato dal Presidente Ruhani, a dimostrazione dell’inevitabilità di queste decisioni, specie dopo l’insensato assassinio del Generale Sulaimānī.
Quanto gli sviluppi di questa politica iraniana sono solo il frutto di un risentimento verso Washington e quanto una organica strategia di alleanza con i due giganti asiatici, la Cina e la Russia? Probabilmente, né l’una né l’altra di queste ipotesi estreme. Ma non c’è dubbio che la fuoruscita unilaterale americana dal JCPOA e il suo uso muscolare della forza in Medio Oriente abbia spinto Tehrān ad accentuare la sua già presente visione geo-politica verso Est. D’altra parte, il varo dell’accordo decennale sull’espansione dello scambio commerciale tra l’Iran e la Cina data 2016, in occasione dell’incontro tra Xi Jinping e Ruhani a Tehrān.[7]
Di certo, la Repubblica Islamica ha maturato intense relazioni con Cina e Russia, peraltro anche loro colpite da sanzioni USA. Prioritariamente, Tehrān guarda con grande apertura alla Belt and Road Initiative e ai conseguenti contratti miliardari che consentiranno di adeguare le sue reti infrastrutturali e commerciali in affanno. E guarda con fiducia all’alleanza strategica con Mosca in Medio Oriente cementata con la difesa congiunta di Baššar al-Asad, benché i problemi non manchino soprattutto nell’area caucasica. In più, Pechino e Mosca sono partner nel JCPOA e possono giocare un importante ruolo nella ripresa delle trattative sul nucleare già iniziate il 29 novembre. Cercheremo di delineare un quadro delle problematiche bilaterali Iran-Cina e Iran-Russia nel più complesso ambito dei giochi geopolitici.
La Via della Seta e il “Marine Security Belt”
La Belt and Road Initiative, annunciata a settembre del 2013, ha ormai una portata intercontinentale, perché si inscrive nella problematica del controllo dei traffici commerciali tra Asia, Europa e Africa, sia via terra sia via mare. Nel primo caso, le rotte coinvolgono l’Asia Centrale, l’Iran e il Medio Oriente verso il Golfo Persico e il Mediterraneo; nel secondo, il Pacifico e l’Oceano Indiano, dalle Hawaii, Giappone, Filippine, Indonesia, Indocina, sub-continente indiano verso la Penisola Arabica, l’Europa e l’Africa orientale, coinvolgendo le strozzature degli Stretti di Malacca, Hormuz, Bāb al-Mandeb e Suez. Si comprende, quindi, l’interesse cinese a coinvolgere l’Iran come partner strategico primario nella sezione occidentale dell’iniziativa. L’Iran ha caratteristiche sia continentali sia marittime tali da accogliere i traffici dall’Asia Centrale e dall’Indo-Pacifico per convogliarli verso il Caucaso, il Mediterraneo, il Sahel e il Corno d’Africa. Un vero e proprio hub trasportistico di servizio che ha anche la peculiarità di Paese produttore di energia, utile per la propulsione dello sviluppo industriale e commerciale cinese.
Javad Owji, nuovo Ministro del Petrolio del Governo Raisi, ha dichiarato a settembre che sono in corso piani per i prossimi 4-8 anni per attrarre 145 miliardi di dollari USA da investitori iraniani e stranieri (probabilmente cinesi, russi e indiani). Il budget comprende la prima tranche del partenariato strategico globale sottoscritto con la Cina, che per i prossimi 25 anni destina all’Iran 280 miliardi di dollari USA allo sviluppo dei settori petrolifero, del gas e petrolchimico; e i restanti 120 per il potenziamento delle infrastrutture di trasporto e di produzione. A dimostrazione dell’interesse iraniano verso il partenariato, il Ministro ha aggiunto: “L’Iran è pronto a cooperare pienamente con le aziende cinesi per sviluppare progetti dell’industria petrolifera nei settori a monte e derivati … Ci aspettiamo che l’amministrazione abbia molte partnership e accordi tra Iran e Cina” (Watkins, 2021).
Da parte sua, anche la Cina guarda con fiducia alla Repubblica Islamica, tenendo conto delle seguenti caratteristiche:
- La propensione non ostile verso gli interessi territoriali e geo-politici di Pechino;
- La politica di baluardo contro l’invadenza geo-politica di Washington nell’area medio-orientale;
- La predisposizione a cercare alleanze nell’area per contrastare la forte pressione americana in termini economici e militari;
- Il suo ruolo di attore regionale capace di tenere a bada le pulsioni disgregatrici presenti in tutto il Medio Oriente;
- La stabilità (e conseguente affidabilità) delle istituzioni, che da oltre 40 anni restano saldamente in piedi, nonostante aggressioni esterne, guerre, minacce di “regime-change”, boicottaggi e sanzioni;
- La natura sciita dei suoi fondamenti religiosi e politici, che non esercita alcun appeal verso le popolazioni musulmane interne e confinarie della Repubblica Popolare.
Tutto questo si inquadra anche nella forte contesa in atto tra USA e Cina e che ha la sua manifestazione esplicita nel teatro geo-strategico del Golfo e dell’Indo-Pacifico, da cui le considerazioni precedenti sull’importanza della Belt and Road Initiative.
A dicembre 2019 l’esercitazione “Marine Security Belt” condotta da Iran, Cina e Russia nel Mare di Oman e nel Golfo sfidava per la prima volta la potenza egemonica americana, dimostrando l’inconsistenza del suo preteso incontrastato dominio sui mari. Considerato che dallo Stretto di Hormuz, che dà accesso al Golfo, transita circa il 30% del petrolio greggio mondiale, la concordia tra i tre Paesi non legati da alcun patto militare strategico inviava un messaggio di ferma opposizione alla politica americana delle sanzioni.[8] “Il messaggio strategico è che questi sono i Paesi che plasmano gli eventi in Medio Oriente”, si spingeva a dire Jonathan Eyal, Direttore Associato presso il think tank britannico per la difesa e la sicurezza Royal United Services Institute.[9] Quelle esercitazioni ricorrono annualmente e anche pochi mesi fa, lo scorso febbraio, navi militari le hanno ripetute nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano, con la probabile partecipazione di navi indiane, confermata dal Capo della Marina iraniana e smentita dalla Marina indiana.[10]
Le relazioni indo-iraniane e l’Indo-Pacifico
Tutto sembra ruotare attorno al ruolo dell’India. Appena un anno fa i media internazionali sembravano accreditare un’alleanza tra Russia, Cina, Pakistan, Iran e Turchia, una coalizione con dentro la Turchia, un Paese NATO, e fuori l’India, un Paese SCO. L’Ambasciatore iraniano in Pakistan Seyyed Moḥammad-‘Alī Ḥosseini aveva sollevato l’ipotesi durante una lecture presso l’Islamabad Strategic Studies Institute: “Paesi come Iran, Pakistan, Turchia, Russia e Cina hanno il potenziale per formare una nuova alleanza per un futuro migliore della regione”, aveva affermato, alludendo alla dovuta risposta alla politica isolazionista del Primo Ministro indiano Modi rispetto alla necessaria integrazione continentale.[11] E aveva continuato sottolineando la congruenza economico-commerciale tra Iran e Pakistan e la necessità di cooperazione tra i Paesi musulmani: “L’ECO offre a Iran e Pakistan un’opportunità adeguata per coordinare le proprie politiche”. Il riferimento all’ECO (Organizzazione di Cooperazione Economica)[12] chiamava in causa in modo particolare la Turchia e il suo coinvolgimento nella comune causa islamica, rimarcando, per contro, l’inefficacia dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica per gli scopi della Umma.[13]
Washington non sta con le mani in mano, ovviamente, e, tra le tante contro-iniziative di contenimento cinese, ostenta il QUAD. Il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia esprime l’intendimento ideologico di creare un “Arco Asiatico della Democrazia”. Lo definì così il Primo Ministro giapponese Shinzō Abe, pioniere del Dialogo nel 2007, benché mascherasse l’obiettivo di dominare il commercio indo-pacifico e forgiasse il neologismo “Indo-Pacifico” per motivare l’ampiezza geografica dell’alleanza in funzione anti-cinese.
Intanto, come detto, dal 2017 l’India è parte della SCO d’iniziativa russo-cinese e, se non ha rotto il Dialogo Quadrilaterale, quanto meno lo ha indebolito notevolmente. E poi, proprio quel dialogo ha contribuito a militarizzare l’area a sostegno dell’ordine geo-politico esistente presumibilmente minacciato dalla Cina (Fowdy, 2021). L’evidenza è data dalle annuali manovre navali dell’Exercise Malabar (con l’intervento di portaerei e operazioni di interdizione marittima e guerra antiaerea) e dall’area d’interesse delle esercitazioni, visto che un’edizione dell’esercitazione ha avuto luogo nel Golfo.
Insomma, aria di guerra fredda (Spyer, 2021), esacerbata dall’annuncio a settembre scorso del Patto trilaterale AUKUS tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti per dotare l’Australia di sottomarini a propulsione nucleare. A luglio, a margine della Conferenza Internazionale “Asia Centrale e Meridionale: la Connettività Regionale. Sfide e Opportunità” tenutasi a Taškent, e dopo un incontro con il Consigliere di Stato e Ministro degli Esteri cinese Wáng Yì, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov dichiarava che “i legami bilaterali esistenti superano una forma di interazione interstatale quali le alleanze politico-militari dell’era della Guerra Fredda”.[14] Le osservazioni di Lavrov erano rivolte alla tendenza della Casa Bianca a stabilire alleanze militari con chiari risvolti politico-ideologici, al fine di mantenere un ordine internazionale volto all’egemonia americana. Questo si traduce spesso in una pesante interferenza nella politica interna dei Paesi alleati.
La questione centro-asiatica e le relazioni sino-russo-iraniane
Se l’Asse Mosca-Pechino non è così di ferro come i protagonisti la presentano, è vero che l’alleanza dimostra quella flessibilità necessaria a consentire reciproca autonomia nelle decisioni di politica estera, con l’evidente limite di non approfittare troppo della libertà di azione. Lo si può constatare nel non completo accordo russo riguardo alla politica di espansione strategica della Cina nel Pacifico, nell’area asiatica ex sovietica o in Pakistan, così come nella preoccupazione cinese sull’attivismo diplomatico russo nel Sud-Est asiatico o sulla cooperazione militare con Delhī.[15] Ancora una volta l’India! Ma è su questo terreno che si può valutare la capacità di mediazione delle leadership cinese e russa, pronte a comporre eventuali divergenze in una programmazione strategica di medio-lungo periodo. Così è stato per l’entrata nello SCO di India e Pakistan e adesso dell’Iran. Così sarà probabilmente per la definizione dell’Afghanistan talebano.
Quando Jason Campbell, già Direttore per l’Afghanistan presso l’Ufficio USA della Difesa per la Politica Militare, dice che “l’effetto geostrategico potrebbe essere profondo … Cina, Russia e persino l’Iran potrebbero trarre vantaggio dal nuovo ordine politico a Kabul”,[16] parla da una prospettiva americana, come è giusto visto il suo ruolo e nazionalità. Se si aggiungono le considerazioni del Presidente iraniano Raisi che “la sconfitta militare americana deve diventare un’opportunità per ristabilire la vita, la sicurezza e una pace duratura in Afghanistan”,[17] l’allarme da parte di Washington diventa ancora più comprensibile. E tuttavia, viste da una un’altra angolatura, quel beneficio e quella opportunità riguardano non solo il vantaggio geo-politico che possono derivarne per Cina, Russia e Iran, ma le prospettive che si aprono per i Paesi centro-asiatici. Le ex repubbliche sovietiche dell’area e lo stesso Afghanistan, tutti Paesi senza accesso al mare, trovano sbocco soltanto verso Cina, Russia e Iran; e pertanto vogliono anche loro condividere il processo di sviluppo che la Belt and Road Initiative e la SCO consentono. Il prezzo da pagare in termini di dipendenza non sarà più oneroso di quello imposto dall’atteggiamento politico-bellico americano.
Alex Vatanka, nato a Tehrān e Direttore del Programma Iran presso il Middle East Institute di Washington, ricorda, ad esempio, la spinta del Kazakhstan per stabilire rapporti di collaborazione commerciale e infrastrutturale con l’Iran come sbocco sui mercati mondiali e come transito per le merci provenienti dalla Cina: la linea ferroviaria di 925 km Kazakhstan-Turkmenistan-Iran inaugurata a dicembre 2014 è servita a febbraio 2016 per il transito del primo convoglio ferroviario merci dalla Cina all’Iran. La disponibilità iraniana ha anche consentito il ruolo di mediazione del Kazakhstan durante i colloqui sul nucleare svolti ad Almaty. È un esempio che rende evidente come la collaborazione tra quattro Paesi dell’area coinvolti in un processo economico sia fruttifero per l’interesse di tutti.
Viceversa, sempre lo stesso Vatanka segnala la non facile composizione di interessi tra membri dello SCO e non solo. Questa volta l’esempio riguarda il porto iraniano di Chābahār e quello pakistano di Gwadar, entrambi sulle sponde dell’Oceano Indiano ad una distanza di appena 170 km. Nonostante le note iraniane volte alla plausibilità di una reciproca complementarietà (Iqbal, 2020), molti sono gli ostacoli perché questo si avveri. Il Porto di Chābahār, hub privilegiato per l’accesso all’Afghanistan e all’Asia Centrale e destinato a complementare la funzione del congestionato scalo marittimo di Bandar-e ‘Abbās, dal 2016 gode di notevoli investimenti da parte di Delhī, interessata a favorire questa infrastruttura rispetto al Porto dell’ex possedimento omanita di Gwadar per evidenti contrasti con il Pakistan sua rivale.[18] La Cina ha invece investito proprio su quest’ultimo nell’ambito dei programmi legati alla Belt and Road Initiative, la quale comprende anche l’Iran ed evidentemente le sue infrastrutture portuali. Dunque, ancora una volta la Cina sarà gioco-forza mediatrice di interessi contrapposti.
Tenuto conto di questo complesso quadro geo-politico asiatico, la domanda è quanto Pechino si lascerà coinvolgere nelle contese medio-orientali. Per ora la politica cinese di non-interferenza esclude che possa allinearsi con la logica dei blocchi. Se oggi va profilandosi un più stretto rapporto con l’Iran, bisogna registrare che la Cina è il maggior acquirente di petrolio saudita e mantiene ottimi rapporti commerciali con gli Emirati e Israele, tutti oppositori della politica iraniana. Questo significa che Pechino ha tutte le carte in regola per offrirsi come credibile elemento di mediazione. E la abiliterebbe ad avere voce in capitolo sulle controversie in Yemen tra i Sauditi e gli Sciiti Ḥūthi, con un occhio alla stabilità dello Stretto di Bāb al-Mandeb e Djibuti, dove è già presente con una base navale in competizione nell’area con quelle di USA e Giappone.
L’Iran e gli impegnativi rapporti caucasici
Per quanto riguarda il rapporto di Tehrān con Mosca, scontata l’intesa in Siria sul suo fronte occidentale, su quello settentrionale le relazioni tra Repubblica Islamica e Federazione Russa sono ambivalenti e riguardano soprattutto il Caucaso e il Caspio. Si ribadisce ancora l’importanza dell’Iran come crocevia di traffici commerciali e come potenziale polo trasportistico. L’Iran è parte integrante o quantomeno interessata ad altre proposte realizzazioni parzialmente in itinere:
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Il Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud multimodale di 7.200 km, che nell’area coinvolge i territori di Iran, Azerbaijan e Russia ed è destinato a convogliare verso l’Europa merci e beni dall’India e dall’Asia Centrale,[19] evitando le difficoltà e i tempi di trasporto determinati dagli Stretti di Bāb al-Mandeb e Suez. L’interesse nella realizzazione del Corridoio è dimostrato dal fatto che, a parte i promotori Russia, Iran e India, oggi sono Stati membri del relativo accordo anche alcuni Paesi centro-asiatici, la Turchia e l’Armenia, l’Ucraina e la Bielorussia, la Siria e l’Oman;
- La rotta di trasporto internazionale transcaspico del Corridoio Centrale, che parte dal Sud-est asiatico e dalla Cina attraverso il Kazakhstan, il Mar Caspio, l’Azerbaijan, la Georgia e prosegue fino alla Turchia e la Polonia attraverso il Mar Nero. La relativa Associazione di logistica è nata nel 2016 per iniziativa di enti e organizzazioni trasportistiche di Kazakhstan, Azerbaijan e Georgia;[20]
- Il Corridoio Economico Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale, che collega la Cina ai Paesi dell’Asia Centrale, Iran e Turchia.[21] Il Corridoio è incluso nella Belt and Road Initiative, ma Pechino non ha ancora investito sul potenziamento delle relative infrastrutture iraniane.
È evidente che i mutui rapporti trasportistici e commerciali tra Iran e Russia siano influenzati dagli assetti di due aree sensibili interconnesse: il Caucaso e il Caspio.
La fine del conflitto azero-armeno per il Nagorno-Karabakh ha riconosciuto la mediazione russa di Putin, artefice dell’armistizio del 10 novembre 2020. Uno dei punti dell’accordo riguarda il ripristino dei collegamenti di trasporto e, in particolare, delle connessioni tra la Repubblica Autonoma azera del Naxçıvan e il resto del territorio nazionale, tra cui si frappone la provincia di Syunik nell’Armenia meridionale. Mentre Erevan dà atto che l’apertura dei trasporti beneficia l’Armenia nelle sue connessioni con Iran e Russia (da decenni suoi espliciti o discreti sponsor), la proposta di Bakı di un corridoio trasportistico conducente verso l’alleata Turchia secondo la Dichiarazione di Şuşa del giugno 2021 era stata già respinta preventivamente dal Primo Ministro armeno Pashinyan, in quanto assumeva una “logica di corridoio” geo-politico,[22] tra l’altro sulla rotta del Corridoio Meridionale del Gas. Questa posizione è stata poi reiterata dal suo Ministero degli Esteri, che accusava Turchia, Iran e Azerbaijan di “stipulare accordi pubblici contro l’integrità territoriale e la sovranità della Repubblica di Armenia”.[23] Lo scorso 15 ottobre Pashinyan ha poi acconsentito alla costruzione di una ferrovia attraverso il territorio di Syunik, che confina con l’Iran.[24] Ma allora come si spiega l’attacco armeno all’Iran nella contesa armeno-azera?
Russia e Iran, come si è già detto, appartengono alla direttrice del Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud; Azerbaijan e Turchia giacciono su uno dei percorsi del Corridoio Centrale trans-caspiano; ma Iran e Turchia hanno comuni interessi nel Corridoio Economico Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale di futura realizzazione. Per superare i contrasti nell’area, il Presidente Erdoğan ha proposto l’anno scorso la “Six-way Platform”, camera di compensazione composta da Russia, Turchia, Azerbaijan, Iran, Georgia e Armenia.[25] La “ratio” di programmazione dei corridoi non si inquadra soltanto nelle esigenze di breve periodo della politica commerciale, è palese. Le reciproche diffidenze, per contro, nascono proprio dall’incertezza del quadro geo-politico e dalla mutevolezza delle alleanze, che, fuori dalla logica ideologica del passato, sono flessibili e si costruiscono sui nuovi parametri lungimiranti del XXI secolo.[26]
Nel caso in questione, l’Iran potrebbe avere interesse sia a mantenere il suo asse con Armenia e Russia in funzione dell’attivazione del Corridoio Nord-Sud, sia ad aprire un rapporto con Turchia e Azerbaijan per motivi geo-strategici. Bisogna ricordare anche il suo rapporto storico con il territorio azero (parte dell’Impero persiano fino al 1813) e con la popolazione azera (in Azerbaijan il 90% è di confessione sciita[27] e in Iran tra il 18 e il 30% dell’intera popolazione iraniana è di etnia azera[28]). Tuttavia, le recenti incomprensioni tra Bakı e Tehrān determinate a ottobre scorso da esercitazioni militari iraniane vicino al confine con l’Azerbaijan (seguite dalle conseguenti esercitazioni congiunte turco-azere-pakistane), non vanno nella direzione della distensione. E le parole dal tono beffardo del Presidente turco Erdoğan del 21 ottobre aggravano la situazione: ““Non mi aspetto che i recenti eventi si traducano in uno scontro militare tra Iran e Azerbaijan, perché da un lato l’Azerbaijan ha relazioni con Israele, e dall’altro l’Iran deve tenere conto della consistente popolazione azera al suo interno”.[29]
Il Caspio, mare condiviso ma disarmonico
Il confronto azero-iraniano con l’ombra dell’incombente atteggiamento della Turchia (Paese NATO) chiama in causa anche il difficile rapporto tra i Paesi che affacciano sul Caspio. Nel 2019 Iran e Russia hanno rinnovato la cooperazione militare nel Caspio,[30] inquadrata nell’Accordo siglato nel 2015.[31] Ma le loro posizioni sul Mare interno non sono perfettamente allineate e non mancano le controversie. Fino alla caduta dell’Unione Sovietica, la gestione del Caspio era condivisa da Mosca e Tehrān. Quando Kazakhstan, Azerbaijan e Turkmenistan raggiunsero l’indipendenza, le tre nazioni asiatiche rivendicarono il diritto di condividere i fondali, la gestione delle risorse e la navigazione con gli altri Paesi costieri. Con la Federazione Russa in difficoltà rispetto alle quote da riconoscere (anche rispetto alle obbligazioni derivanti dalla Dichiarazione di Alma-Ata[32] che istituiva la Comunità degli Stati Indipendenti), Mosca incominciò trattative bilaterali con i Paesi interessati (Tafazzoli, 2021).
Dopo i tentativi multilaterali e i summit presidenziali di Aşgabat, Tehrān, Bakı e Astrakhan, nel 2018 la Convenzione sullo Status Giuridico del Mar Caspio (conosciuta come Accordo di Aktau, dal nome della città kazakha sul Caspio) fissava i termini giuridici della contesa nel quadro del diritto internazionale.[33] Iran e Russia incassavano due importanti risultati:
- La mancanza di acque internazionali nel Caspio (diviso interamente tra i Paesi costieri), che di fatto impediva la presenza di flotte militari dei Paesi occidentali e consentiva, per contro, quella predominante russa e iraniana;[34]
- Il potere di veto sui condotti sottomarini per il trasporto di gas e petrolio da Kazakhstan e Turkmenistan verso l’Azerbaijan e l’Europa.
Tuttavia, a Tehrān non sono mancate le polemiche circa le presunte indebite concessioni di quote marittime, accordate a Mosca dalla Presidenza Ruhani, e il malcontento per l’inefficacia del coordinamento militare con la Russia relativo al rafforzamento della marina militare azera con il contributo di Israele e Turchia (Tafazzoli, 2021). Questo fa il paio con altre scorrettezze che gli Iraniani attribuirebbero ai Russi sulla trattativa per il nucleare e sulla gestione dell’agenda per l’armistizio del 2020 in Nagorno-Karabakh. Spetta ora al Presidente Raisi fugare questi dubbi e ristabilire un asse che negli ultimi anni ha sofferto notevolmente.
Conclusioni
Se Tehrān guarda oggi a Pechino e Mosca, l’Occidente può solo rimpiangere la sua stessa miopia nella politica estera: mai mettere un avversario con le spalle al muro! La politica delle “inique” sanzioni di stampo novecentesco e la guerra asimmetrica degli interventi “democratici” attraverso assassini mirati fuori dal diritto internazionale non danno i frutti sperati. Nel mondo globalizzato non può reggere la strategia dell’isolamento imposta da un potere monocratico e auto-referenziale. E, alla fine, il racconto taroccato dagli slogan (gli “stati canaglia”) trova i suoi limiti ideologici quando impatta nella concretezza della realtà, che è fatta di comunità di persone e non di falsi miti. Senza scomodare il Ribelle di Ernst Jünger, l’analista indipendente deve riconoscere che la Repubblica Islamica incarna il rifiuto di sottomissione ad un ordine mondiale di cui non è stata storicamente partecipe. Rivendica la propria libertà di autodeterminarsi e scegliersi le alleanze (anche non formali) al di fuori degli schemi “politicamente corretti” presuntuosamente ritenuti universali. Sotto accusa, l’incapacità degli Stati Uniti e dei suoi alleati di coinvolgere realtà separate in un dialogo costruttivo, evocando, invece, simboli esoterici del potere dal “Libro del Comando”.
L’americano medio (e il mondo) si domanda: Trump o Biden? Come se tutto dipendesse da un uomo al comando. L’Iraniano medio forse risponderebbe: Trump o Biden per me pari sono quando i destini di una nazione sovrana dipendono dalla volubilità di un lontano uomo al comando, che impone i suoi fondamentalismi e detta le regole universali del gioco. Non funziona, soprattutto sul lungo periodo. La storia lo sta dimostrando. Washington probabilmente lo ha capito, ma potrebbe essere troppo tardi.
L’Iran guarda ad Est. Forse con le spalle al muro, forse per libera scelta. L’operazione ha i suoi rischi, ma gli Āyatollāh non sono degli sprovveduti. Da 40 anni resistono alle indebite interferenze nei propri assetti rivoluzionari, che nessuno ha chiesto siano condivisi. Il prezzo da pagare è stato un isolamento asfissiante, mentre il resto del mondo giocava attorno ai confini iraniani per una supremazia cui la Repubblica Islamica non si è mai piegata. Oggi, forse, quell’isolamento sta per concludersi. Cina e Russia, ognuna perseguendo propri fini non così dissimili da quelli di Washington, offrono strategie più flessibili rispetto alla determinazione dei Marines e puntano intelligentemente sulla composizione delle controversie in ambiti continentali e oltre, che non possono essere ignorati proprio in forza del loro schema inclusivo.
Anche Tehrān lo ha capito. Forse non si tratta di porsi sotto le bandiere di nuovi conquistatori per motivi di ripicca contro Washington. Sarebbe la sua fine. Il Presidente Raisi lo sa bene e i suoi primi passi da leader tengono conto degli interessi dei suoi vicini. L’India, l’Asia Centrale, la Turchia, il Caucaso, il Caspio, il Medio Oriente compreso Israele sono tutti parte di un complesso sistema geo-strategico che non è scolpito nella pietra di definizioni giuridiche internazionali ormai desuete in ragione di esplicitazioni ideologiche. È invece un sistema flessibile e necessita dell’elasticità e adattamento al cambiamento tipici degli organismi viventi. Tutto il contrario degli integralismi bellici posti in atto dall’Occidente che, infatti, rifiuta la decostruzione, ma è in forte arretramento rispetto al compito storico che si era orgogliosamente auto-attribuito.
Infine, un’ultima notazione. L’innalzamento della tensione sino-americana in tempi di COVID-19 e sue varianti indica la pericolosità di un gioco che potrebbe evocare scenari di confronto sul piano batteriologico una volta in grado di «selezionare» genotipi specifici.[35] I think tanks non possono ignorarne i rischi e schierarsi irresponsabilmente dietro uno dei blocchi. Significherebbe non avere ancora assimilato la lezione sul nucleare del secondo dopoguerra e degli anni successivi, quando i Paesi vincitori hanno imposto il loro monopolio sulla possibilità di reiterare quello scempio. Non lo hanno precluso, hanno solo autocraticamente avocato la potestà di proliferazione nucleare, così dominando i destini geo-politici del resto del mondo.
RIFERIMENTI
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- Yerevan to provide no corridor for Baku, if transport restrictions persist, says Pashinyan (19 maggio 2021). Vedi https://tass.com/world/1291617.
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[1] Iran seeks an alliance with China, Russia and central Asia against the USA (17 agosto 2007). Vedi http://www.asianews.it/news-en/Iran-seeks-an-alliance-with-China,-Russia-and-central-Asia-against-the-USA-10085.html.
[2] Jonathan Spyer (26 settembre 2021). Is there an alliance between Iran and China? The Jerusalem Post. Vedi https://www.jpost.com/middle-east/iran-news/is-there-an-alliance-between-iran-and-china-680167.
[3] Tom Fowdy (28 marzo 2021). China’s new partnership with Iran is not a full alliance, but enough to undermine US sanctions & rock global status quo. Vedi https://www.rt.com/op-ed/519429-iran-china-partnership-deal/
[4] Simon Watkins (28 settembre 2021). Iran Cements Alliance With China, Russia In Clear Message To Washington. Vedi https://oilprice.com/Geopolitics/Africa/Iran-Cements-Alliance-With-China-Russia-In-Clear-Message-To-Washington.html.
[5] Glauco D’Agostino (27 febbraio 2018). La Cina “strizza l’occhio” all’Asia Centrale tra connivenze, incertezze e rifiuti. Vedi https://www.islamicworld.it/wp/iwa-monthly-focus-30/
[6] Gli aggettivi sono espressioni del “sentiment” iraniano e, come tali, sono state utilizzate il 3 novembre scorso da ‘Alī Bagheri Kani, Vice Ministro degli Esteri iraniano, nell’annunciare l’assenso iraniano alla ripresa delle trattative sul JCPOA a Vienna. Vedi Iran: Nuclear talks with world powers to resume on November 29 (3 novembre 2021), https://www.aljazeera.com/news/2021/11/3/iran-nuclear-talks-with-world-powers-to-resume-on-november-29.
[7] Alex Vatanka (26 aprile 2021). Making sense of the Iran-China strategic agreement. Middle East Institute. Vedi https://www.mei.edu/publications/making-sense-iran-china-strategic-agreement.
[8] Elijah J. Magnier (1° gennaio 2020). China-Iran-Russia Alliance Ending US Unilateral Global Hegemony. Vedi https://popularresistance.org/china-iran-russia-alliance-ending-us-unilateral-global-hegemony/
[9] ‘Marine Security Belt’ drill in the eyes of world media (29 dicembre 2019). Vedi https://www.tehrantimes.com/news/443510/Marine-Security-Belt-drill-in-the-eyes-of-world-media.
[10] Reports of Indian Navy part of Iran-Russia maritime drill false (18 febbraio 2021). Vedi https://economictimes.indiatimes.com/news/defence/reports-of-indian-navy-part-of-iran-russia-maritime-drill-false/articleshow/81089728.cms?from=mdr.
[11] Saman Iqbal (10 settembre 2020). Defense Analyst: Russia, China, Pakistan, Iran and Turkey alliance emerging in Asia. Vedi https://insiderpaper.com/russia-china-pakistan-iran-turkey-alliance/
[12] The ECO is an ad hoc organisation under the United Nations Charter founded in 1985 in Tehrān by Iran, Pakistan, and Turkey. Today, in addition to the founders, full members are Azerbaijan, Afghanistan and all the former Soviet Central Asian countries.
[13] Islamuddin Sajid (5 febbraio 2020). Iranian envoy proposes new alliance of 5 countries. Anadolu Agency. Vedi https://www.aa.com.tr/en/middle-east/iranian-envoy-proposes-new-alliance-of-5-countries/1724935.
[14] Tom O’Connor (15 luglio 2021). Russia Says Its Ties to China Are Now Closer Than Any Cold War Military Alliance. Vedi https://www.newsweek.com/russia-says-its-ties-china-are-now-closer-any-cold-war-military-alliance-1610265.
[15] Ian Hill (14 maggio 2021). Russia–China: An Unholy Alliance? Vedi https://www.lowyinstitute.org/the-interpreter/russia-china-unholy-alliance.
[16] Paul Crespo (3 settembre 2021). China, Russia, and Iran may Form New Alliances That Ultimately Hurt America. Vedi https://americandefensenews.com/2021/09/03/china-russia-and-iran-may-form-new-alliances-that-ultimately-hurt-america/
[17] Lauren Fruen (3 settembre 2021). Chilling cost: Taliban takeover in Afghanistan may be huge loss for US as China, Russia & Iran may form new alliances that hurt America. The U.S. Sun. Vedi https://www.the-sun.com/news/3587790/taliban-afghanistan-china-russia-iran-alliances/
[18] Alex Vatanka (8 novembre 2016). Why Iran and India Are Getting Closer. Vedi https://nationalinterest.org/feature/why-iran-india-are-getting-closer-18336.
[19] Thomas de Waal (8 novembre 2021). In the South Caucasus, Can New Trade Routes Help Overcome a History of Conflict? Vedi https://carnegieeurope.eu/2021/11/08/in-south-caucasus-can-new-trade-routes-help-overcome-history-of-conflict-pub-85729?utm_source=carnegieemail&utm_medium=email&utm_campaign=announcement&mkt_tok=MDk1LVBQVi04MTMAAAGAoqzHEGadzmtmGy4HTNuv71SHEoO2qZmdzCNkA6aaxL_53K_c0qiL8wH3pGRwbVrAO00lzL4KUIBfo5AqqrsQP4AWWhM_2gOkms59vRuhZNpJhQ.
[20] Trans-Caspian International Transport Route (s.d.). Vedi https://middlecorridor.com/en.
[21] Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) (2018). OECD Business and Finance Outlook. Chapter 2. The Belt and Road Initiative in the global trade, investment and finance landscape. Vedi https://www.oecd-ilibrary.org/sites/bus_fin_out-2018-6-en/index.html?itemId=/content/component/bus_fin_out-2018-6-en#back-tabnote-d1e7358.
[22] Yerevan to provide no corridor for Baku, if transport restrictions persist, says Pashinyan (19 maggio 2021). Vedi https://tass.com/world/1291617.
[23] RA MFA Comment on the Declaration Signed by the Presidents of Turkey and Azerbaijan (versione inglese) (17 giugno 2021). Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Armenia. Vedi https://www.mfa.am/hy/interviews-articles-and-comments/2021/06/17/mfa_statement_on_the_decl/10995.
[24] Robert M Cutler (2 novembre 2021). A Geopolitical Reshuffle in the South Caucasus. Vedi https://www.geopoliticalmonitor.com/vast-changes-under-way-in-the-south-caucasus/
[25] 6-country regional cooperation platform win-win for actors in Caucasus, Erdoğan says (11 dicembre 2020). Vedi https://www.dailysabah.com/politics/diplomacy/6-country-regional-cooperation-platform-win-win-for-actors-in-caucasus-erdogan-says.
[26] Invece, il Ministro degli Esteri georgiano David Zalkaliani, prendendo di mira la “Six-way Platform” di Erdoğan, ha affermato in modo significativo: “We cannot join the geopolitical project that includes the country [Russia] which held our territories under its occupation. I have openly expressed this position in meetings with my Turkish, Azerbaijani and Armenian counterparts.” FM: Georgia offers alternative format to “3 + 3” cooperation initiative (19 novembre 2021). Vedi https://report.az/en/foreign-politics/fm-georgia-offers-alternative-format-to-3-3-cooperation-initiative/
[27] Glauco D’Agostino (2020). The Rise of Iran in the Middle East and the Alleged “Shiite Crescent”. Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie, 83(2). Bucureşti: Editura Top Form, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea.
[28] Glauco D’Agostino (2017). Azerbaijan: A Turkic-Shiite Identity Hanging on Oil. Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie, 68-69(1). Bucureşti: Editura Top Form, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea.
[29] Saeid Jafari (5 novembre 2021). Iran’s Middle East influence may actually be declining. Vedi https://www.atlanticcouncil.org/blogs/iransource/irans-middle-east-influence-may-actually-be-declining/?mkt_tok=NjU5LVdaWC0wNzUAAAGAtLVGLJlIsJt-oznYuDfTIUR27U7Tm2k6WpveQcVzPWbh_gbWPbzE7kxA3sOPgGvaUhd-Uj-Pi9CbTuM2du3ygAOCRoBHvkAMk9FTR7QO.
[30] Bijan Tafazzoli (1° settembre 2021). OPINION – Iran and Russia in the Caspian; real allies? Anadolu Agency. Vedi https://www.aa.com.tr/en/analysis/opinion-iran-and-russia-in-the-caspian-real-allies/2352308.
[31] Agence France-Presse (20 gennaio 2015). Russia Signs Military Cooperation Deal with Iran. Vedi https://www.defensenews.com/home/2015/01/20/russia-signs-military-cooperation-deal-with-iran/
[32] Uno dei punti fondamentali della Dichiarazione di Alma-Ata recita: “Gli Stati partecipanti alla Comunità garantiscono, secondo le proprie procedure costituzionali, l’adempimento degli obblighi internazionali derivanti da trattati e accordi conclusi dall’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche”. Council of Europe, European Commission for Democracy through Law (8 settembre 1994). Agreements establishing the Commonwealth of Independent States. Vedi https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL(1994)054-e.
[33] L’Accordo di Aktau determinava, tra le altre, queste prescrizioni:
- Ciascuna Parte stabilirà l’ampiezza delle proprie acque territoriali fino ad un limite non superiore a 15 miglia nautiche (art. 7);
- La delimitazione del fondale e del sottosuolo del Mar Caspio in settori sarà effettuata di comune accordo tra Stati con coste adiacenti e contrapposte (art. 8);
- Ciascuna Parte istituirà una zona di pesca di 10 miglia nautiche adiacente alle acque territoriali (art. 9);
- Le navi battenti bandiera delle Parti godranno della libertà di navigazione oltre i limiti esterni delle acque territoriali delle Parti (art. 10);
- I termini e le procedure per il passaggio di navi da guerra, sottomarini e altri veicoli subacquei attraverso le acque territoriali saranno determinati sulla base di accordi tra lo Stato di bandiera e lo Stato costiero o, in mancanza di tali accordi, sulla base della normativa dello Stato costiero (art. 11);
- I percorsi di cavi e condotte sottomarini saranno determinati d’intesa con la Parte il cui settore di fondale deve essere attraversato dal cavo o dalla condotta (art. 14).
President of Russia (12 agosto 2018). Convention on the Legal Status of the Caspian Sea. Vedi http://en.kremlin.ru/supplement/5328.
[34] Dopo aver firmato l’Accordo di Aktau, Ḥasan Ruhani, in una riunione di gabinetto tre giorni dopo, ha dichiarato: “In questo accordo è stata vietata la creazione di una base militare e la presenza di navi straniere nel Mar Caspio ed è stato convenuto che qualsiasi nave che vuole navigare in questo mare deve essere sotto la bandiera di uno dei cinque stati litoranei”. Hossein Arian (30 agosto 2018). Caspian sea; The realm of peace and friendship or militarism and militarism? Vedi https://www.radiofarda.com/a/commentary-on-militarization-of-Caspian-sea/29461446.html.
[35] L’ipotesi è formulata nel seguente documento fondamentale: The Project for the New American Century (September 2000). Rebuilding America’s Defenses. Strategy, Forces and Resources For a New Century, V. Creating Tomorrow’s Dominant Force. Retrieved from https://cryptome.org/rad.htm.