Sconcertante la reazione di Washington: “Non siamo stati informati da Israele”. Tuttavia, queste parole individuano inequivocabilmente il colpevole dell’atroce eliminazione ad personam e dei suoi istigatori. Ah, la Corte Penale Internazionale…
di Glauco D’Agostino
Se il terrorismo di stato è duro a morire, lo è ancora di più la codardia di un Occidente infingardo e ipocrita. Anzi, colpevole, se Israele è parte dell’Occidente. L’errore del 1948 si ripercuote 76 anni dopo, ma la Storia non si giudica, si può soltanto prenderne atto e, allo stesso tempo, essere coscienti di quella imprudenza. Sconsideratezza voluta e ricercata per tenere diviso il Medio Oriente. Questi 76 anni di violenza bellica trovano oggi quell’escalation irresponsabilmente preventivata dall’Occidente e dagli alleati sovietici, che trovarono un punto d’accordo proprio sulla convenienza di perpetuare le influenze imperiali fino a nuovo ordine. Come dire, un’implosione annunciata e a tempo.
Quello che sconcerta non è il terrorismo israeliano, cui da decenni è consentita impunemente qualsiasi nefandezza certamente non in linea con la legge ebraica alla quale, da democrazia laica, pretende di ispirarsi, ma il surge di una politica estera che passa dalle guerre con obiettivi militari a quella contro i popoli, addirittura contro le singole persone. L’eliminazione dei capi politici, come nel caso dell’ex Primo Ministro palestinese Haniyeh, forse potrebbe addirittura diventare dottrina del diritto internazionale e caposaldo fondamentale dei diritti umani. Chi potrebbe escluderlo. Già siamo su questa via. D’altra parte, la Corte Suprema israeliana aveva dichiarato la legalità degli omicidi mirati. E chi osa opporsi allo stato di diritto vigente a Tel Aviv, se l’Entità Ebraica è una democrazia occidentale? Nessuno aveva protestato quando nel 2004 veniva perpetrato l’assassinio terroristico dello Shaykh paraplegico Aḥmad Ismā’īl Yāsīn, uno dei fondatori e leader spiriuale di Ḥamās, abbattuto per decisione dell’allora premier Ariel Sharon. E quando la stessa sorte era toccata dopo qualche giorno a ʿAbd al-ʿAzīz ar-Rantīsī, successore di Yāsīn alla guida del Movimento di Resistenza Islamica contro l’occupazione sionista. Tutto era giustificato dalla logica dell’anti-terrorismo, ma questa logica mai si era estesa agli intoccabili autocrati di Tel Aviv. E da allora Israele imperversa, seminando il terrore in tutto il Medio Oriente, con la complicità esplicita di Stati Uniti, Unione Europea e dei loro alleati del G7.
Tra i Paesi della NATO, spicca la posizione della Turchia, che, per bocca del suo non certo influenzabile Presidente Erdoğan, così si esprime: “Questo atto vergognoso mira a sabotare la causa palestinese, la gloriosa resistenza di Gaza e la giusta lotta dei nostri fratelli palestinesi”. Sul fronte del continente europeo, il Vice Ministro degli Esteri russo Mikhail Leonidovič Bogdanov ha dichiarato: “Si tratta di un assassinio politico del tutto inaccettabile, che porterà a un’ulteriore escalation delle tensioni”. A fare da contrappunto ai timidi e conniventi commenti delle diplomazie occidentali, condanna esplicita proviene dalla Cina. Lin Jian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha affermato: “Ci opponiamo fermamente all’assassinio, condannandolo”. Ḥizb Allāh, altro movimento vittima delle scorribande stragiste israeliane, commemora “uno dei grandi leader della resistenza del nostro tempo, che si è opposto coraggiosamente al progetto di egemonia americana e all’occupazione sionista”.
Progetti di pace? Due popoli, due Stati? Basta il commento di Moḥammed bin ʿAbd ar-Raḥmān bin Jassim ath-Thānī, Primo Ministro del Qatar, per fotografare la situazione: “Gli omicidi politici e il continuo prendere di mira i civili a Gaza, mentre i colloqui continuano, ci portano a chiederci: come può avere successo la mediazione quando una delle parti assassina il negoziatore dell’altra parte?”. Cosa altro aggiungere? Una cosa è certa: in Medio Oriente resta aperta la “questione israeliana”. Su questo tema le soluzioni sono tutte in campo. Tutte.